
Homeland: Recensione dell’episodio 5.03 – Super Powers
Una nuova vecchia Carrie è la regina incontrastata di questo avvio di quinta stagione di Homeland. Perché se la storia in sé deve ancora ingranare, l’approfondimento del personaggio della Mathison sta prendendo il centro della scena e offuscando tutto il resto come una stella coi pianeti che le girano intorno. Tutto questo episodio è lei, anche se succede ogni tanto dell’altro, ma è solamente una discesa negli inferi del personaggio interpretato dalla sempre meravigliosa Claire Danes, gli inferi che sono la sua coscienza alla fine, perché il prezzo del liberare i suoi “super poteri” per lei è di nuovo guardare in fondo al buco che è la sua vita passata.
La bellezza di Homeland, a mio giudizio, a livello di scrittura, è il presentare le situazioni sempre con una doppia lettura e rendere ognuna di esse sempre (almeno in parte) accettabile, così che spesso lo spettatore vedrà conferma del suo pensiero in quello che si dice nello show, qualunque sia il suo pensiero, grazie alla rappresentazione di entrambe i punti di vista esposti in modo credibile rispetto ai personaggi che li esprimono e senza mai decretarne un vincitore. Un po’ paraculo, certo, ma non di facile realizzazione, quindi apprezzabile.
Qui invece ci si sbilancia nel far vedere l’animo completamente distrutto di Carrie per tutto quello che ha fatto nella sua vita, per scelta o per necessità, ma che viene esposto nella sua “carrellata degli orrori”, perché se è vero che chi non vuole sporcarsi le mani le guerre le perde, a volte Carrie si è spinta molto oltre per la causa; il che può essere un “male necessario” ma evidentemente in una persona non fondamentalista lascia delle ferite emotive difficili da sanare.
Il massimo climax emotivo dell’episodio si vive chiaramente nelle scene in cui prima il compagno di Carrie, Jonas, deve confrontarsi per la prima volta con il vero passato della donna che ama (anche se poco prima aveva millantato di averne abbondantemente studiato la biografia) e non sembra in grado di reggere l’urto e poi quando Carrie, devastata, in mezzo ad un cerchio di facce persone morte, delirante, afferma di meritare quello che passa per via delle sue azioni passate. Oltre alla Danes è molto bravo nel gestire il difficile confronto anche Alexander Fehling, che riesce a variare il registro interpretativo in funzione del momento con estrema naturalezza e in modo assolutamente convincente.

Attorno a Carrie però succedono anche altre cose, che però al momento sono abbastanza prevedibili o solo accennate, dalla prevedibile relazione di Saul con Allison (ma quanto mi piace Miranda Otto) al giro di informazioni trafugate che il ragazzo idealista pensa di aver dato alla stampa mentre il suo amico desideroso di soldi vuole vendere ai russi. Niente di nuovo o fresco in queste storie, ma sono solo spunti o semi buttati lì che dovranno svilupparsi in qualcosa di più concreto prima di meritare un giudizio più deciso.
Più interessante di sicuro è quello che sta succedendo tra Carrie e Peter. Nessuno di noi crede che lui sia la per ucciderla, né alcuno può aver creduto che lui fosse morto dopo quello sparo, però le dinamiche della caccia sono spietate e di ottima realizzazione e la tensione tra loro due si avverte anche se si guardano al buio in un bosco tramite mirini telescopici, quindi hanno, come sempre, tutto il mio interesse. Ora vedremo come si svilupperà questa storia, così come l’altro amo lanciato nel nulla a fine episodio tra Saul e Dar Adal sul golpe che gli americani vogliono ordire in Siria.
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Visitor Rating: 5 Stars
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