
Homeland: recensione dell’episodio 5.02 – The Tradition of Hospitality
Non siamo nuovi ad inizi circospetti per quanto riguarda Homeland ed in fondo è giusto lasciare che gli sceneggiatori navighino con la dovuta calma prima di lanciare con competenza i gran botti che in questa serie non mancano mai. Ne avevamo avuto un assaggio con il “rapimento” di Carrie nel primo episodio, che ci aveva ricordato quanto bravi siano quelli di Homeland a costruire e maneggiare la tensione, ma qui i petardi esplodono in grande stile e ancora una volta, come in passato, ci ritroviamo a trattenere il fiato, quasi a coprirci gli occhi in un crescendo di tensione insopportabile.
In questo The Tradition of Hospitality, ancora si tratta di costruire con cura le basi per quello che verrà. Lotte di potere e scarica barili all’interno dell’agenzia rimangono all’ordine del giorno, mentre Saul vi si destreggia apparendo un po’ grigio e stanco e sempre più burocrate. Minacce interne ed esterne si muovono nell’ombra, mentre nuovi personaggi fanno capolino pronti a schierarsi da una parte o dall’altra a seconda di come tirerà il vento ed il teatro che va dalla Germania, alla Siria, all’Ucraina è vastissimo. In mezzo c’è come al solito la nostra Carrie, che in questo episodio scivola nuovamente a suo agio nei vecchi panni, destreggiandosi tra militari e terroristi come se fosse per lei la cosa più naturale del mondo. E’ vero, molte cose sono cambiate, dice ad Otto During festeggiando otto mesi di sobrietà, ma noi ci sentiamo un po’ come tutti quei personaggi che incrociandola se la ridono ed esclamano: “Dai, Carrie! E’ uno scherzo!”.
Le bombe esplodono alla grande durante la gita umanitaria di Otto al campo dei rifugiati, ma stranamente per una volta nessuno ci lascia le penne; c’è ben altro in ballo. Effettivamente alla frenesia a cui Homeland ci ha abituati arriviamo piuttosto presto, molto prima di quanto era successo con la quarta stagione che aveva dovuto ricostruirsi con cura. Non solo le bombe esplodono, ma senza troppo filosofeggiare apprendiamo che erano destinate proprio a Carrie. Possibile che proprio ora che lei vuole farsi i fatti suoi tutti abbiano deciso che è troppo pericolosa per restare in vita? Ma la reazione di Carrie all’attentato è ben lontana da quella di una persona che con il suo passato ha tagliato nettamente. Si sa, senza un bel pianto di Carrie, Homeland non è Homeland, ma è proprio quella breve scena di sfogo che ci dice più di mille parole. Carrie decide di restare a Beirut per chiarirsi le idee sull’accaduto, ma è più che ovvio immaginare che la tentazione di ributtarsi tra le braccia della sua droga preferita sia irresistibile. In bagno piange per la tensione, per lo scampato pericolo, ma anche per la consapevolezza che il mostro ha spalancato le fauci e la tentazione di saltarci dentro di nuovo è insopportabile.
Ma è il destino a farle un favore: nel rivelarle che le bombe erano destinate a lei, le toglie ogni possibilità di scelta; anche volendo, come potrebbe fare ritorno alla sua vita di quieta serenità famigliare con un tale pericolo pronto a seguirla ovunque?
Ma quello che la nostra Carrie non sa ancora è che proprio TUTTI la vogliono morta. Con uno strattone che rigetta insieme tutte le storyline che sembravano separate, durante una scena di quiete notturna, in una piazzetta pittoresca dove cantano i grilli, Peter Quinn riceve l’ordine di uccidere Carrie ed è Saul a darglielo. BAM! In pochi minuti si è spalancato il casino e noi non possiamo fare altro che allacciarci le cinture.
E va bene, la posizione di Carrie all’interno della During Foundation può apparire delicata e sì, la sfortuna ha voluto che si ritrovasse in mezzo ad una fuga di dati riservati, ma basta questo a giustificare un ordine così drastico?
E poi di mezzo ci sono Peter e Saul. Per quanto Saul possa essere rimasto amareggiato dalle scelte di Carrie (ma pure lui non ne era uscito troppo pulito durante il finale della scorsa stagione), impossibile credere che abbia ordinato l’assassinio di quella che per lui è sempre stata come una figlia.
E Peter? Per quanto, più che mai, sembri aver riposto ogni briciolo di umanità in un angolo lontano di se stesso, è difficile immaginarlo il freddo assassino di una donna che ha molto amato. Ed è poi credibile che Saul, e la stessa CIA (pur facendo sempre la figura dei caciottari), non siano al corrente del legame che ci fu tra i due?
Molte domande a cui è inutile cercare di dare una risposta ora.
Il nostro trio di eroi è sparso e sperso, ma con Carrie al cuore di tutta l’azione non possiamo far altro che aspettarci grandi cose con un Homeland che parte col turbo, molto più in fretta di quanto potessimo aspettarci. Avanti tutta!
Secondo me non è stato Saul ad aver lasciato l’ordine di uccidere Carrie ma è qualcuno della CIA che lo ha scavalcato, anche perché far arrivare Saul a questo punto mi sembrerebbe esagerato come chiedere a Quinn di ucciderla, inoltre chi ha ordito l’attentato nel campo è lo stesso,a mio avviso, che ha lasciato l’ordine a Berlino. Calire Danes è veramente brava, lo diciamo sempre ma è veramente straordinaria nel dare vita a questo personaggio.
Ma era Saul quello che è entrato e ha lasciato la busta? In verità non era chiarissimo ma ho dato per scontato che fosse lui. Ma se era lui possibile che gli facciano fare solo il fattorino senza che sappia quello che sta dentro la busta?
a me non sembrava Saul, sai… me lo devo riguardare 🙂
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