
Homeland: Recensione dell’episodio 4.11 – Krieg nicht Lieb
Ci sono serie che muoiono con il loro protagonista. Che ci provano pure ad andare avanti dopo che per qualche motivo l’attore che interpretava il ruolo principale decide di lasciare la baracca. E poi ci sono serie che sanno affrontare questa sfida e uscirne vincitrici. Merito di chi è rimasto, ma soprattutto degli sceneggiatori che vedono in quello che potrebbe essere una pericolosissima sfida una feconda opportunità. A questa categoria appartiene sicuramente Alex Gansa e questa quarta stagione di “Homeland” ne è la prova evidente.
Niente più Brody; Saul dimissionario e fuori dall’azione sul campo; Carrie trasferita ad altra sede e con il fardello di una figlia; Quinn a pezzi; Lockhart odioso; nessun avversario. Queste erano le premesse della quarta stagione di “Homeland”. Nessuna nostalgia di Brody; Saul quasi vittima impotente di eventi che non riesce più a controllare; Carrie al centro di intrighi che per la prima volta riescono a metterla in difficoltà incrinando quell’aura di invincibilità che rischiava di farne una poco credibile caricatura; Quinn efficiente macchina da guerra con un animo tormentato dal rimorso e dall’amore impossibile; Lockhart costretto a scelte spesso impopolari dettate comunque da oggettive circostanze, ma anche capace di reazioni spontanee in disaccordo con il suo ruolo; un nemico infido che sostanzialmente costringe alla resa l’invincibile team dei nostri eroi. Questa la sinossi dei primi undici episodi di questa stagione segnati da un ritmo a tratti adrenalinico e mai lento, da una storia compatta che evita di disperdersi in rivoli secondari poco interessanti, da colpi di scena che lasciano lo spettatore indeciso se continuare a ripetere il motto di Lockhart (quell’ormai iconico “what the fucking fuck ?!”) o restare nel silenzio di una bocca spalancata. Sebbene lo si fosse capito già dai primi episodi, giunti a questo pre – season finale si può ormai azzardare che questa è stata la migliore stagione della serie.
Risuona in questo undicesimo episodio la nota più inattesa ma anche più presente dell’intero arco narrativo di questa stagione. Un senso di sconfitta che condiziona le reazioni dei personaggi e ne indirizza le azioni su strade che mai avrebbero pensato di dover percorrere. Se questa rassegnata amarezza era evidente nella precedente puntata (si pensi a Lockhart e Marta che si rimpallano la fatica di rispondere al telefono o a Saul che subisce passivamente l’interrogatorio di Quinn), non è comunque meno presente in questo “Krieg nicht Lieb” dove è Carrie a doverne subire i pungenti strali. Continuamente accusata da un Max spietato nell’incessante rinfacciarle la sua inaffettività, annientata dalla morte del padre (avvenuta forzatamente off screen per l’improvviso decesso di James Rebhorn), consapevole che il lavoro a cui ha sacrificato la propria intera vita è probabilmente arrivato ad un inevitabile capolinea, Carrie si dedica alla difficile impresa di fermare Quinn per evitare l’ennesima dolorosa perdita.
Cosa le resterebbe? Una figlia che chiede di vedere solo per sentire che qualcosa non è ancora crollato e un diverso futuro potrebbe essere forse possibile? Non può certo bastarle questa scommessa. Deve salvare Quinn per non aggiungere un altro nome alla troppo lunga lista dei sommersi (e il flashback su Aayan, per quanto didascalico, è un opportuno memento). Non è la stessa Carrie che i primi episodi ci avevano mostrato. La morte di Aayan prima e di Fara ora, il salvataggio in extremis di Saul, la trappola in cui è cascata per colpa di Tasneem e Haqqani hanno minato le sue certezze ed anche la ricerca di Quinn, per quanto coronata da un rapido successo, è quasi un implorare aiuto, un supplicare invece che un ordinare. Non a caso Carrie riuscirà a convincere Peter appellandosi ai sentimenti e non alla ragion di Stato o alla logica razionale. Risultato ottenuto, quindi, proprio affidandosi a quell’umanità che aveva sempre visto come pericoloso punto debole. Ma che, infine, emerge prepotente quando, in stridente contrasto con la sua stessa missione, pensa di uccidere Haqqani provvidenzialmente fermata da Khan. Una incoerenza dal punto di vista della logica, ma una quasi inevitabile conseguenza dell’aver lasciato al cuore il comando delle azioni.
Tante domande, pure troppe quando manca un solo episodio alla fine di una stagione che doveva essere il canto del cigno. E, invece, il cigno è vivo e vola ancora più in alto.
4.11 - Krieg nicht Lieb
E che ci fa qua?
Valutazione Globale
Quella piaga di Daddaradà! Ecco perchè stava nel riassunto dell’episodio… come se potessimo dimenticarci di lui! :O Maledetto… Haqqani pupazzo di chi?
E Carrie… sinceramente, Peter, falla saltare per aria! Se l’è cercata!! Pfff… come fare uscire di testa un povero uomo. Credevo che questa stagione di Homeland non l’avrei vista senza Brody e senza mete chiare. E invece mi ha sorpreso davvero in positivo.
Forza peter, salva l’universo da solo!!!