
Homeland: Recensione dell’episodio 4.04 – Iron in the Fire
Disturbante è l’aggettivo che mi viene in mente alla fine di questo episodio. Ed è come ho descritto con una sola parola questo Iron in the Fire, a margine di questa recensione. Tutto per quell’ultima scena, così forte, così sbagliata, così d’impatto. Parto proprio dalla coda, perché racchiude un po’ tutto il senso di questa prima parte di stagione, o meglio, racchiude quello che è l’interrogativo morale che serpeggia sottotraccia: fino a dove è lecito spingersi quando si vogliono ottenere dei risultati? Fino a che punto in guerra, perché di guerra si tratta, ci si può muovere e quali confini si possono o non possono superare? Quasi nessuno ormai per Carrie, a quanto ci danno a vedere.
Non dico che non siamo scafati nel vedere certe cose, sono convinto che altri, come me, oltre a questo show vedano anche The Americans e lì l’andare a letto con qualcuno per ottenere informazioni è la prassi, ma qui stiamo parlando di un ragazzino, non credo abbia nemmeno 20 anni e dall’altra parte c’è una donna, una madre, anche se lo è a malincuore. Io sinceramente ho provato molto fastidio, non so voi.
Queste però sono considerazioni personali, l’episodio, d’altro canto, è sicuramente in linea con quello che ci sta mostrando Homeland in questa stagione: alla costruzione che è sempre di pregio, si affiancano quest’anno un ritmo e una compattezza di trama che non sempre erano presenti nelle stagioni precedenti. Memori degli errori e criticità che c’erano stati in passato, qui mi sembra che si stiano proprio evitando momenti morti (presenti un po’ in tutte le stagioni passate, ma soprattutto nella prima) e storie di contorno a dir poco inutili (eh, sì, Diana Brody, parlo proprio di te). Quest’anno, finora, tutta la storia si sta concentrando su un unico filone, la complessa trama spionistica che è partita dall’assalto coi droni e che ora sta spaziando in un sotterraneo conflitto tra USA e Pakistan, Paesi sulla carta alleati, ma con non sempre la stessa agenda. Tutte le cose marginali, come il rapporto Carrie/sorella/figlia, sono state direttamente funzionali a descrivere lo stato psicologico dei protagonisti, cosa di cui necessitavamo soprattutto per via del balzo in avanti di diversi mesi nella narrazione.
Il ritmo, inoltre, è sempre abbastanza sostenuto: certo siamo in Homeland e non in 24, dove esplodono macchine e persone ogni 4 minuti, ma possiamo ben vedere come succedano molte cose durante ogni episodio e ci siano continui piccoli passi avanti e la trama a tratti sembra chiarirsi a tratti s’infittisce, richiedendo un livello d’attenzione allo spettatore alto, ma proporzionale al target che segue questo show, che certo non è chi guarda le serie tv stirando.
Entrambe i personaggi sono “rotti”, se Quinn, e lui stesso ce lo ricordo, ha ucciso un bambino nel corso di una missione e quest’onda lunga lo ha colto un po’ di tempo dopo mentre si assommava ad altre, Carrie non ce lo ricorda, ma noi lo vediamo, lo abbiamo visto nel suo sguardo mentre era con la figlia o quasi costantemente nei suoi momenti di “pausa dall’azione”, ha visto impiccare davanti ai suoi occhi l’uomo che amava, il padre di sua figlia ed ha fallito nell’impossibile tentativo di salvarlo.
In questo gioco di specchi, però, il dominante è Carrie, perché attorno a lei ruota molto: non solo la storia ma anche i restanti personaggi, Detto di Quinn e della sua poco chiara affezione a Carrie, possiamo vedere anche Saul che con orgoglio “paterno” fa di tutto per la sua figlioccia putativa, rimettendosi in un gioco dal quale non era mai uscito veramente, ma anche Fara che vorrebbe essere una Carrie, ne stiamo vedendo le movenze, i tentativi, i fallimenti, i successi, ma soprattutto il copiare la spregiudicatezza e il rischio di quella che è la sua mentore.
Iron in the Fire, quindi, conferma la buona partenza di questa stagione, intrattiene, fa pensare, intriga e disturba, lascia la voglia di sapere cosa accadrà la prossima settimana.
4.04 - Iron in the Fire
Disturbante
Valutazione globale