
Hidden Figures – Il diritto di contare: intervista a Octavia Spencer
Le tre attrici principali di Hidden Figures (in Italia col titolo Il diritto di contare) sono così connesse tra loro, ma al tempo stesso uniche, che non è stato semplice capire chi sarebbe stata protagonista della stagione delle premiazioni. Il regista Theodore Melfi ha infatti fornito molto materiale con cui poter mettere in mostra tutto il loro talento e le tre attrici hanno portato sul grande schermo la storia vera, seppur poco conosciuta, delle tre matematiche afroamericane che hanno assunto un ruolo di vitale importanza nella corsa allo spazio degli anni ’60.
Taraji P. Henson interpreta Katherine Johnson, a cui era stato assegnato il compito di calcolare le traiettorie di volo dell’Apollo 11. Janelle Monàe è la vivace Mary Jackson, che ha lottato per il diritto di continuare gli studi in un ambito professionale riservato ai bianchi. Octavia Spencer veste i panni di Dorothy Vaughan, che ha usato la sua posizione come supervisore per migliorare le condizioni lavorative delle donne di colore nel suo ufficio. Questa sua performance le ha fatto guadagnare una nomination come miglior attrice non protagonista ai SAG e ai Golden Globes.
Vedendo questo film dopo il risultato delle elezioni presidenziali americane ha fatto sì che il messaggio che voleva trasmettere cambiasse: la storia è diventata infatti un incentivo a continuare a promuovere e cercare un cambiamento.
In un’ intervista a Variety, Octavia Spencer ha ammesso che l’ultimo periodo è stato emotivamente difficile.
Durante l’intervista il giornalista di Variety ha ammesso di aver visto Hidden Figures – Il diritto di contare la mattina dopo l’elezione di Trump a Presidente esebbene il film gli abbia sollevato il morale, non è stato per le ragioni che si aspettava. “Ti capisco” ha commentato l’attrice. “C’è una battuta di Janelle che fa: ‘Ogni volta che avanziamo, continuano a spostare la linea d’arrivo‘. Mi sono sentita allo stesso modo; sapevo che avrei dovuto fare la promozione di questo film che adoro e, dopo l’elezione, mi sono trovata in una situazione difficile: amo il mio lavoro e quello che faccio, specialmente quando amo il materiale da cui viene tratta l’ispirazione. Ma onestamente non sapevo come avrei fatto; ho pensato ‘come posso farlo senza arrabbiarmi e piangere ogni 2 minuti?‘. Poi la sera degli Academy’s Governor’s Awards, quando eravamo tutti insieme, io, Janelle, Taraji, Pharrell Williams (che ha lavorato alle musiche del film e ne è produttore), Stacey Snider e Ted Melfi ho avuto un’illuminazione: queste donne vivevano in un mondo segregato, misogino e apertamente razzista e nonostante questo, si sono rimboccate le maniche e hanno fatto qualcosa di straordinario per il mondo. Così ho realizzato che, invece di essere un urlo trionfale, il film sarebbe stato informativo, avrebbe ispirato ed incitato la gente”.
Il giornalista ha poi ammesso che la storia lo ha colto alla sprovvista: la corsa allo spazio è stata il soggetto di numerosi film, ma non aveva mai sentito nominare queste donne brillanti prima d’ora; è stato così anche per Octavia Spencer? “Sì, 2 anni fa la mia agente mi ha detto che mi sarei incontrata con Donna Gigliotti (produttrice) per un progetto su queste tre matematiche che hanno aiutato John Glenn (Glen Powell) nel nostro programma spaziale e ho pensato ‘Ok; presumo sia una fiction storica come The Help‘, perché ho visto ogni tipo di film su questo argomento e non ho mai sentito nominare nessuna donna, men che meno una donna afroamericana. Poi ho scoperto che si trattava di una storia vera, ero senza parole. Le ho detto che volevo farne parte ad ogni costo”.
Qualunque tipo di storia incentrata su un gruppo di donne di colore è ancora una rarità, soprattutto quelle ambientati in una professione avanzata. “C’è una dissonanza cognitiva quando penso alle donne afroamericane di quel tempo ed ai loro contributi. Non c’è nessun precedente per questo film; anche con The Help c’erano tre donne di colore, ma la protagonista era una ragazza bianca. C’è un pubblico che aspetta storie come questa, di donne che lavorano e hanno successo. Ormai si è stufi di storie sugli schiavi o di oppressione che, per qualche motivo, sono in eccesso a Hollywood. Penso che questo film avrà un forte impatto, perché le donne afroamericane hanno fatto così tanto, ma sono considerate così poco. Ci sono ancora molte storie da raccontare”.
Nonostante questo sia un film politico, è anche incentrato sulle piccole vittorie e sulle peripezie di ogni giorno. “Non è un’opera polemica. A dispetto di tutto quello che accadeva nella società, queste donne hanno perseverato. E’ la loro storia, non una storia all’interno di una storia sul movimento per i diritti civili. E’ qualcosa che ci eleva, ed è questo che ho trovato diverso nel copione; Allison Schroeder e Ted (gli sceneggiatori) hanno fatto un lavoro fantastico nel presentare quello che già sappiamo del periodo, rendendolo personale. Il fatto che esistano film come questo, come Fences (con Viola Davis e Denzel Washington) è incoraggiante: non sono necessariamente storie sulle difficoltà delle persone di colore, ma sulla vita quotidiana. Se ne sente il bisogno e c’è un pubblico che vuole vederle. Ci sono commedie romantiche che stanno facendo la stessa cosa. Spero che continui e che questi progetti non siano solo sugli afroamericani: abbiamo bisogno di spaccati di vita latina, asioamericana; ci sono così tante storie che devono essere raccontate e solo perché le tre protagoniste sono di colore non vuol dire che l’audience generale non possa capire o essere interessato. Non è un ‘film nero’, ma un film su persone di colore“.
Tra Hidden Figures, Moonlight, Fences e altri, quest’anno sembra che i film socialmente rappresentativi abbiano finalmente quello che meritano in termini di pubblicità e riconoscimento; è l’effetto della campagna #OscarsSoWhite? “Parlando da vincitrice di un premio Oscar, penso sia fantastico avere così tanti film con attori afroamericani con buone possibilità di far parte della premiazione, ma spero non venga visto come reazione a qualcosa se ottengono delle nomination; o come concessione simbolica. Se quei film verranno nominati sarà perché lo meritano. Lasciami dire che quando ci sediamo per dare il nostro voto, non pensiamo alla politica, votiamo perché ci è piaciuto il film”.
Pensi che vincere l’Oscar ti abbia aperto porte professionalmente? “Oh certo, ho avuto più scelta nei ruoli negli ultimi anni, ma con le donne di colore sembrano avere i paraocchi. Avevamo finito The Help da due mesi e mi venivano offerti solo ruoli da domestica, e intendo tutti quelli disponibili. Li ho rifiutati, perché avevo appena interpretato la migliore. Se qualcuno me ne offrisse uno oggi, con aspetti diversi, accetterei. Se si trattasse di una domestica serial killer, lo farei subito. Sono disponibile per un thriller su una domestica serial killer. Ora che ci penso, lo voglio davvero fare”.
Basta trovare uno studi di produzione e iniziare; fosse così facile… “Beh, mi sto cimentando nella produzione e sono intenzionata ad occuparmene di più in futuro. Al momento sto guardando i vari progetti; ho appena prodotto un film indipendente con John Hawkes chiamato Small Town Crime, in cui interpretiamo fratello e sorella. Ci sono anche Anthony Anderson e Robert Forster”.
Ti associo sempre al gioco di squadra; sembri brillare in un gruppo collaborativo. “Ti dirò una cosa: per alcune persone l’obiettivo è l’essere protagonista. E’ difficile stare lontano da casa per lunghi periodi… Mi piacciono i progetti di gruppo, mi piace lavorare spalla a spalla con i miei colleghi. Sono più propensa a prendere il timone dietro le quinte, ed è per questo che mi sto dando alla produzione, ma sarò sempre una persona che lavora meglio in gruppo, sai perché? Mi piace dormire e mi piace avere una vita al di fuori del lavoro. Sono in questo ambiente da 20 anni e il successo è arrivato relativamente tardi per me. Non mi ci vedo a inseguire costantemente la notorietà, non è qualcosa che sono incline a fare”.
Mezzo secolo dopo gli eventi mostrati in Hidden Figures – Il diritto di contare, si può correre il rischio di dare per scontato ogni tipo di progresso. Ora che entriamo in un nuovo capitolo della storia americana, non bisogna dimenticare di fare sentire la propria voce. “E’ una chiamata alle armi, meglio dire all’azione, perché alle armi è tutta un’altra cosa. E con la retorica che è venuta alla luce in quest’elezione, bisogna essere più specifici: una chiamata all’azione, a essere più vigili su quello che succede intorno a noi. Non possiamo permettere che vengano attaccate libertà civili ottenute dopo anni di sacrifici e duro lavoro. Non importa chi sia al governo, non permetteremo che vengano fatti cambiamenti su questi argomenti”.
La tua differenziazione tra armi ed azione mi fa pensare alla definizione, ancora limitata, che Hollywood ha della donna forte. “Siamo un po’ diventati apatici al concetto di figura femminile forte: usano pistole, sono in film d’azione e via dicendo, ma quella è solo una definizione superficiale. Un donna forte è una persona che, in qualsiasi situazione si trovi, ha una voce, è vulnerabile in molti modi e attraverso questa vulnerabilità, vediamo la sua forza. E’ ciò che definisce una persona: un personaggio femminile forte non è qualcuno che si deve comportare come un uomo, ma è una persona che mostra la propria femminilità. Nonostante la situazione in cui si trova, definisce la propria identità. Questo per me vuol dire essere una donna forte e le donne di Hidden Figures corrispondono a questa descrizione”.
Con questo in mente, con quale attrice vorresti lavorare? “Ho appena incontrato Nicole Kidman e mi piacerebbe fare qualcosa con lei. Sally Field, Angela Bassett, ancora con Jessica Chastain. Io e Taraji stiamo lavorando a qualcosa insieme, perché ci siamo divertite un mondo. Ovviamente Meryl Streep e Amy Adams”.
L’uscita del film in Italia è prevista a febbraio-marzo 2017.