
Hell on Wheels – 2.01 Viva la Mexico
La prima stagione di Hell on Wheels si era aperta con un pilot folgorante dal punto di vista della capacità realizzativa ma poi la stagione si era persa nel pantano della frontiera, con pochi avvenimenti e poca anima. Solo nella sua conclusione e negli ultimi episodi aveva recuperato del ritmo ma rimanendo con un problema di fondo molto pesante, ossia di avere personaggi troppo bidimensionali.
AMC ha deciso di rinnovarlo al termine della prima stagione più per i risultati della prima parte in cui aveva l’ottimo lead-in di The Walking Dead, ma l’ha utilizzato come tappabuchi estivo, decidendo di non crederci troppo e infatti il riscontro del pubblico è stato decisamente negativo.
Ma veniamo al prodotto in se; come hanno deciso di giocarsi questa chance gli autori? Decisamente male. Rimane quello che era un tentativo di ricerca della tecnica troppo “forzato”, anche se in misura inferiore alla prima stagione, ossia, per esser più chiari, un “mo ti infilo l’inquadratura dal basso col cielo cupo e ti faccio vedere che c’ho i controcazzi come regista”, ma il resto è caduto nel piattume più assoluto.
Se le tende che riempivano il campo fangoso nella prima stagione, rappresentavano la mancanza di un’anima della serie, la nascita degli edifici poteva essere un segno benaugurale, ma nel frattempo anche la bidimensionalità dei personaggi s’è trasformata in monodimensionalità.
Lo Svedese, che era uno dei personaggi più affascinanti della prima stagione (Christopher Heyerdahl, visto recentemente anche in True Blood), s’è trasformato in Smeagol, scava fosse e tiene in mano monete come fossero il suo tessssoro e va a chiedere un po’ di elemosina per il suo orgoglio azzerato. Il protagonista, Bohannan (Anson Mount) che già era uno stereotipo con le gambe, ha l’involuzione peggiore, passando per anima dannata, che si mette a far rapine, non tanto perché sia diventato malvagio (anche se il male in zona di frontiera diventa un concetto relativo), né perché abbia un sogno di una piccola fattoria in Mexico, ma sostanzialmente perché il bello-sofferente-dannato si scava la fossa con le sue mani e si perde nei suoi dolori, anche se poi la visione di una madre e bambino in pericolo (Oh My God, volevo vomitare qui) lo fa dubitare delle sue azioni (c’era in parte già riuscito il profondo senso di amicizia e riconoscenza, Oh God) e lo fa andare sereno verso la morte, ma dietro l’angolo ci sarà la redenzione…. Noia.
Tutti gli altri recitano la parte dell’attaccapanni di sfondo, con Elam (Common) che vuole avere il potere un po’ per se ma un po’ anche perché è il riscatto dello schiavo afroamericano, Tomas Doc Durant (Colm Meaney) che è sempre macchinoso e luciferino, Lily Bell che va a letto con Doc (ma regalandoci un sospiro da “guarda che me tocca fare” che non so se è uscito dal personaggio, dall’attrice Dominique McElligott dopo aver letto il copione o dalla massa di spettatori stanchi) e che è il riscatto della donna di potere… il giovane indiano assistente parroco che è il riscatto dell’indiano che va a letto con bianca consenziente, con aggiunta di prete ubriacone con passato torbido e irlandesi assetati di soldi. Insomma un minestrone che sembra decisamente senza sapore.
Oltretutto anche lo script, non solo per i personaggi, ma anche per la trama si rivela molto pressapochista. Le scene degli assalti ai treni, come quella della figlia che non vuole far bere il Padre mettendogli la bottiglia sotto il naso, sembrano scene messe li con la motivazione ufficiosa di “dovevamo farlo succedere, ma non avevamo idea come, quindi l’abbiamo fatto e basta”.
Insomma, se la prima stagione aveva de momenti buoni e altri da scordare, questa seconda e probabilmente ultima si apre nel peggiore dei modi, con scelte scontate, scene sciatte e attori che potevano fare di meglio. Sicuramente troveremo anche quest’anno dei buoni episodi e momenti interessanti, ma le premesse sono poca roba.