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Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick: la recensione

It is an ancient mariner / and he stoppeth one of the three / … / “There was a ship” quoth he.

Cinquantatre anni separano The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge e Moby Dick di Hermann Melville e centosessantaquattro sono quelli che passano dal capolavoro della letteratura americana all’ultimo film di Ron Howard con Chris Hemsworth, Benjamin Walker e Ben Whishaw. Eppure, i versi dell’incipit della ballata del visionario esponente del romanticismo inglese sono i primi che vengono alla mente vedendo scorrere sul grande schermo le due ore di questa ennesima dimostrazione del talento dell’ex Richie di Happy Days. Sebbene il sottotitolo italiano e la campagna pubblicitaria abbinata abbiano venduto il lavoro come il prequel del capolavoro della letteratura americana, Heart of the Sea è la storia di una nave e del suo equipaggio piuttosto che quella della grande balena bianca (comunque presente e determinante anche se ancora priva del suo iconico nome).

Heart of the SeaSenza entrare in dettagli per evitare fastidiosi spoiler (ma probabile che molti già sappiano di cosa si sta parlando già prima di entrare in sala), basterà dire che il film segue abbastanza fedelmente la storia vera della baleniera Essex puntando un virtuale occhio di bue sul primo ufficiale Owen Chase (un Chris Hemsworth disposto a mostrare i muscoli del carattere più che quelli del fisico) e del capitano George Pollard (un Benjamin Walker rassegnato ad un ruolo importante ma comunque secondario). Chase e Pollard rappresentano due modi simili eppure diversi di rapportarsi al mare in un’epoca in cui l’oro liquido non aveva il colore del nero del petrolio, ma quello giallastro dell’olio di balena. Come efficacemente raccontato da Melville nel suo fluviale romanzo dove molte pagine sono dedicate proprio alla descrizione dell’ossessione per questo prezioso elemento, la pericolosa caccia alle maestose balene era all’epoca fortemente motivata dalle capacità combustibili di questo liquido che lo rendevano ideale per l’illuminazione pubblica assicurando a chi ne fosse in possesso profitti così elevati da giustificare investimenti tanto rischiosi quanto renumerativi. Il film di Howard riesce a chiarire questo aspetto grazie a una prima parte quasi didascalica e al finale moralistico non mancando di accennarvi a sprazzi qua e là per motivare le scelte altrimenti incomprensibili per uno spettatore moderno che vede nella caccia alle balene una immotivata crudeltà da combattere (il che è pienamente vero oggi ma non allora). Efficace è anche la ricostruzione degli ambienti (sia a terra che in mare) e dei costumi dell’epoca ed anche le scene di caccia riescono ad essere realistiche restituendo l’ariosità degli spazi aperti e l’entusiasmo di uomini che anelavano al confronto con una natura vista come un forziere a loro disposizione da cui poter prelevare tesori senza limiti e senza chiedere permesso (come esplicitamente suggerisce il capitano Pollard tra i dubbi del primo ufficiale Chase). Howard lascia che la regia si metta diligentemente al servizio della sceneggiatura accontentandosi di riprese lineari e impeccabili, ma al tempo stesso prive di originalità e di quel qualcosa in più che permetta di distinguere chi si limita fare il compito da chi prova a meritarsi la lode dello spettatore. Quasi che il regista fosse troppo sicuro della presa che la storia avrebbe avuto su chi guarda per preoccuparsi di offrire qualcosa di più.

HeartOfTheSeaPollardPeccato che anche la sceneggiatura abbia lo stesso difetto. Trattandosi di una storia vera, gli autori (tra cui figura Nathaniel Philbrick scrittore di un libro sulla tragedia della Essex), possono partire da una base già scritta, ma si limitano a seguirla senza aggiungere nulla di più che qualche breve dialogo che svolge facilmente il didascalico incarico di caratterizzare i personaggi principali. Sono questi scambi di rapide battute e sguardi severi che scolpiscono in maniera netta le personalità dei due protagonisti. È, in particolare, il personaggio interpretato da Chris Hemsworth a caricarsi il film sulle spalle mostrando come l’indomito desiderio di primeggiare lo porti prima a scontrarsi con chi ritiene inferiore a lui, poi a sfidare con una sicurezza orgogliosa che sfiora una perniciosa superbia le creature del mare per finire con un pentimento amaro che non cancella la lealtà verso i compagni ma ne cambia l’atteggiamento spavaldo verso il mare. Ingabbiato in abiti che ne nascondono la fisicità prorompente, Chris Hemsworth ha gioco facile ad interpretare un eroe reale che ha, in fondo, molto in comune con i precedenti personaggi interpretati dall’attore australiano. Sebbene questi fossero spesso supereroi immaginari (il Thor della Marvel ma anche il Cacciatore della versione guerriera di Biancaneve e il Cacciatore), si possono comunque ravvisare in Chase molte virtù tipiche quali il coraggio, la determinazione, il sacrificio, la maturazione attraverso la sfida con un nemico indomabile. Solo che Owen Chase è davvero esistito il che rende ancora più semplice empatizzare con la sua versione filmata. Più defilato resta, invece, il capitano Pollard condannato ad una posizione subalterna e inizialmente quasi da antagonista involontario (sottolineata dalla sua carica ottenuta senza meriti precedenti e da una scelta apparentemente forzata). La Storia (quella vera) ci dice quanto solo apparente sia il suo contrasto con Chase e la storia (quella del film) si incarica di riabilitare rapidamente anche questo personaggio lasciando alla grande balena bianca il posto da antagonista distante (anche a costo di una forzatura difficile da digerire a dire il vero). Benjamin Walker ha la giusta mimica facciale e i modi compassati necessari a donare credibilità al suo personaggio, ma la sua performance appare nondimeno quasi scolastica. Quasi solo dei camei sono riservati al resto del cast anche se Cillian Murphy e Frank Dillane (visto di recente in Fear the Walking Dead) hanno l’occasione per emergere giusto un attimo dall’anonimato.

HeartOfTheSeaMelvilleUn discorso a parte meriterebbe l’idea di rendere il film la versione animata del racconto a posteriori fatto da Thomas Nickerson, ultimo sopravvissuto ancora in vita della Essex, allo stesso Melville affidando a Brendan Gleeson e Ben Wishaw i ruoli dei due dialoganti, mentre Michelle Fairley (famosa per Lady Catherine Stark in Game of Thrones) è la pragmatica moglie che incoraggia il riottoso marinaio in pensione ad accettare i soldi dello scrittore in cerca di ispirazione. Forte è la tentazione di vedere in Melville un alter ego di Howard: come lo scrittore si informò della storia della Essex per trarre ispirazione per il suo romanzo, così il regista ha letto lo stesso copione per realizzare il suo film. Solo che proprio questo paragone gioca a sfavore del regista. Laddove Melville mantenne solo l’idea della balena bianca e del capitano ossessionato dalla bestia (come in parte fu per Pollard) aggiungendo poi molto del suo per arrivare ad un’opera completamente originale e innovativa, Howard si limita quasi ad un copia e incolla che gli impedisce di guadagnarsi più di una sufficienza senza infamia e senza lode.

Heart of the Sea non è un film fatto male e procede come una nave condotta in tranquillità su una rotta sicura verso un porto più volte visitato. Un film, però, dovrebbe assomigliare di più ad una di quelle baleniere che, come la Essex, provavano ad osare rotte nuove per raggiungere un successo oltre le aspettative. Ma, forse, per Howard la paura di naufragare era troppa per rischiare.

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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