fbpx
CinemaNews CinemaRecensioni Cinema

Heart of a Dog – la recensione, Venezia 72

Una nuova curiosa protagonista compare sullo schermo della Sala Grande: si chiama Lolabelle, ha quattro zampe ed abbaia, comunica molto più di quanto riescano molti uomini e donne di questo festival. Per essere precisi, quella di cui parla Laurie Anderson nel suo Heart of a Dog è una femmina di rat terrier, della quale accenna la storia, pretesto per riflessioni letterarie, filosofiche ed esistenziali. L’acclamata regista decide di riproporre e raccontare più o meno ampi periodi della sua vita, molti dei quali sono stati vissuti in compagnia di una piccola creatura indifesa e fedele, una graziosa cagnolina, di cui vengono offerti alcuni video e foto. I presupposti sono buoni, capaci di attirare qualunque spettatore che possegga un animale domestico. Tuttavia, come molte volte mi facevano notare nei compiti in classe a scuola, il discorso condotto risulta alla lunga essere “fuori tema”.

L’esperienza di vita con Lolabelle è sicuramente un solido e tenero punto di partenza per lanciarsi nell’ancora inesplorato terreno della narrazione cinematografica. La regista, infatti, ammette di aver sempre nutrito un grande amore per il raccontare storie, ma di non aver mai sperimentato questa tecnica moderna, essendo ella più più un’artista multimediale che una cineasta. L’influenza della sua formazione si vede anche troppo, che offusca troppo gli spunti interessanti da lei offerti.19454-Laurie_Anderson_-_Heart_of_a_Dog_1

Nel suo Heart of a Dog, cinefilia e cinofilia potrebbero finalmente essere confuse senza troppi problemi e trovare un terreno fertile negli occhi degli spettatori sensibili, ma non lo fanno abbastanza, o almeno per troppo poco tempo. Il rapporto con l’animale domestico viene troppo frequentemente abbandonato per lasciar spazio a voli pindarici di argomento vario, che assomigliano di più a dei flussi di coscienza che a delle riflessioni costruttive vere e proprie. Certo, non esiste solo l’animale domestico, ma se questo film ci viene presentato come tale dai piccoli assaggi captati per la mostra tramite commenti e riviste, durante la visione qualcuno rischia di sentirsi un po’ tradito, ingannato. La morte dell’animale, stando a quanto dice della regista, è il sentiero meno arduo attraverso il quale può giungere a parlare della morte in generale, percorso che porta fin troppo indirettamente al pensiero del deceduto, storico compagno Lou Reed, cui il film è dedicato. Era un film su di lui? Non mi è sembrato molto chiaro o non l’ho capito. Era un film sul rapporto cane-uomo? Mi sembra ne parli un po’ poco. Sembra forse più un film di spettri, nella misura in cui ella stessa dice: “ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”.

Facendo mente locale sui film visti finora, Heart of a Dog potrebbe essere paragonabile ad un Sokurov più addolcito ed personale: l’alto grado di sperimentazione estetica li accomuna e li rende film indubbiamente particolari, anche se l’opera della Anderson ha una portata più domestica o al massimo interiore. Non pochi infatti sono i riferimenti alla filosofia e alla religione buddista, che si sposano con la riflessione che cerca di portare avanti, ma che non risulta in ultima istanza molto limpida. C’è tanta carne al fuoco, c’è tanta profondità, tanta partecipazione, ma il quadro finale sembra più un abbozzo che un’opera d’arte e si discosta troppo da quello che dovrebbe (?) essere il soggetto principale: Lolabelle (?).19450-Heart_of_a_Dog_2

Certo, affezionarsi ad un animale è cosa più che inevitabile, così come lo è il conseguente arricchimento dello spirito, del cuore, anche se i più rudi non osano ammetterlo. Spesso e volentieri è la fonte di innumerevoli discorsi profondi o strappalacrime per via dell’autenticità del rapporto; è un modo per vivere e accettare diversamente i fatti che travolgono le nostre esistenze. Posso confermare pienamente questa posizione, ma non credo sia giusto confondere troppo le cose, le tragedie, le dipartite, parlare di una per riferirsi all’altra, non è un atteggiamento lucido. Lei stessa ricorda uno degli insegnamenti che il suo maestro/mentore le diede dopo che Lolabelle se ne andò: non si deve piangere al pensiero di un caro che non c’è più, questo non fa che confondere i morti, meglio compensare con una buona azione. Profondissimo pensiero, ma per tutta la visione i più confusi rischiamo di essere noi.

Racconti paralleli di fatti significativi rivissuti alla luce di un rapporto speciale con un altro essere vivente, sia esso un cane o una persona: poteva benissimo essere un film estremamente intenso, e lo sono tutte le perle disseminate nella pellicola, che offre degli insegnamenti commoventi, dei mantra da tenere sempre a mente per non farci abbattere. Eppure trovo che la Anderson si perda in se stessa, e che ciò affievolisca la magia. Il prodotto finale assomiglia più ad un’opera d’arte contemporanea e concettuale, meno intima di quanto, forse, volesse sembrare.

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio