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Happy days, un “piccolo mondo antico”

Anni ’50. Un tripudio di gonne colorate, cinema all’aperto, giacche da giocatori di football e pomiciate al belvedere. Sono gli anni di Grease, della gelatina fra i capelli e dei drive-in negli spazi aperti fuori città. Sono gli anni del benessere post-bellico: nelle case americane arrivano i telefoni e le TV in bianco e nero, ma le mamme sfornano ancora torte di mele mentre i papà lavorano fuori casa. Il piccolo fast-food di Arnold è un locale alla moda dove i ragazzi mangiano hamburger e patatine, nuova variante americana del fish and chips vetero-europeo, e ballano lenti al suono di un semplice jukebox. Tra i clienti più affezionati di Alfred abbiamo Richie Cunningham (Ron Howard), Warren “Potsie” Weber (Anson Williams) e Ralph Malph (Donny Most), tre studentelli di liceo amanti delle auto e delle belle ragazze. Ma la vera celebrità del locale è Arthur “Fonzie” Fonzarelli (Henry Winkler), un giovane meccanico con l’aspetto di un bullo: jeans, giubbotto di pelle nera e brillantina fra i capelli. Fonzie è il mito dei ragazzi e l’idolo delle donne di ogni età: a ogni suo schiocco di dita una coppia di ragazzine adoranti corre ad abbracciarlo e i maschietti lo seguono per farsi strigliare nel bagno dei ragazzi. Il suo carisma è tale che persino il jukebox gli ubbidisce!

Così diversi e così uguali, Ricky e Fonzie sono molto amici: il primo è quello che oggi chiameremmo “nerd”, un ottimo studente vagamente sfigato, e il secondo un leader di periferia; un “cocco di mamma” e un ragazzaccio che una mamma non ce l’ha. Forse è per questo che la signora Marion Cunningham si occupa di entrambi: una donnina a modo, sposata con il tipico “uomo medio” americano, casalinga affezionata alla famiglia. A completare questo caleidoscopico quadretto impressionista la sorellina Joanie, una piccola peste rompiscatole con il vizio del pettegolezzo.

Tutti i personaggi della serie sono stereotipi: in casa Cunningham i giorni sono tutti uguali, come in quella fantomatica Inverary ai confini tra la vita e la non-vita. Un mondo tranquillo che fa da contraltare agli anni frenetici in cui la serie nasce: i “seventy”. Mitici sì, ma frenetici, con i loro figli dei fiori e gli eredi del ’68. Anni in cui si predica la pace ma la si rincorre a stento. Ecco che allora la stabilità di una famiglia borghese desueta e un po’ grottesca è quello che ci vuole per evadere . Anche oggi tutto sommato: la serie è sempre piacevole!

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