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Grey’s Anatomy: recensione episodio 11.12 – The Great Pretender

Partiamo dalle cose scontate: The Great Pretender gioca sull’ambivalenza del termine “pretender”. Da una parte abbiamo una lista di pretendenti, goffi come Amelia, appiccicosi come Todd, bramosi come Maggie, non ben inquadrati come la Herman, illusi come Webber, scoraggiati come Callie; dall’altra parte invece c’è un’intera formazione di simulatori, attori, commedianti, persone che recitano una parte e illudono chi sta intorno loro: Curt, Meredith, Catherine, Hillary. Alla fine dei conti, con la loro recita, riescono ad ingannare tutti. Mentre fra i pretendenti solo Amelia e Callie (che guarda caso, per contrappasso, si erano appena lamentate di non riuscire a rimorchiare) riescono a segnare un punto a proprio favore, nella schiera dei simulatori si vince e si perde nello stesso momento. Curt entra nel programma dell’ospedale per il cambio di sesso, ma perde la comprensione e l’appoggio del fratello; vlcsnap-114358Meredith guadagna sé stessa, ma inevitabilmente compie un passo più lontano dal marito; Catherine ottiene con l’inganno di parlare al figlio, ma per farlo è costretta a tradire (nuovamente) la fiducia di Webber; Hillary riesce a far scaricare Todd  da qualcun altro, perdendo la propria dignità. Fra tutti questi quadri, due risultano più uguali gli uni dagli altri: Meredith e Herman, in compagnia di Arizona. Entrambe le dottoresse sono sole, abbandonate dai propri uomini (e dalle amiche), sono ad un punto di svolta della loro vita che nasconde solo incognite e nessuna certezza, ma soprattutto sole stanno meglio. Mentre la Herman l’ha già scoperto ed ora vorrebbe insegnarlo ad Arizona, Meredith lo scopre nel lungo weekend passato da sola all’hotel dell’aeroporto; non più medico, non più madre, non più moglie, solo Meredith Grey, in pace con sé stessa. L’unico inconveniente di quando ti trovi da solo, è che poi da solo ti tocca affrontare i tuoi problemi. E a quel punto, per non perderti, per tenere la testa occupata come suggerisce Catherine al figlio, trasformi la tua vita nel tuo lavoro, rifiutandoti di tornare a casa perché troveresti ad accoglierti solo la verità, ovvero la tua solitudine, i tuoi problemi, oppure ti crei un rifugio fuori dalla tua normalità di tutti i giorni, la stanza d’albergo, fuori dal quale tuttavia sei perso e non sai cosa fare, hai solo dubbi e paure e pensi che anche una cosa che dovrebbe essere scontata, il sorriso di un marito che ti rivede dopo tanto tempo, possa nascondere insidie e altre possibili realtà. E la paura alla fine ti blocca in uno stato intermedio, indefinito, dove sei tu, ma non sei completamente tu. Neghi quello che fino ad ora eri stata (una madre, una moglie, un medico, il membro di un qualche consiglio direttivo di associazioni  a caso), ma la condizione che affermi soddisfarti, in realtà non ti soddisfa affatto, quindi provi a trascinare dentro questo mondo qualche altra persona (Arizona o Karev) nella speranza di riempire il vuoto, che solo il cancro (i dubbi sul matrimonio) sta occupando.

Opposta a questa condizione di vita, potremmo definirla la paura/paranoia che ti blocca, c’è invece la paranoia che ti spinge a compiere azioni ed è la paranoia di Callie e Amelia. Callie sta vivendo esattamente la stessa situazione di Arizona, ma al contrario dell’ex moglie non si rifugia nel lavoro, va avanti nella propria strada, commiserandosi, fino a quando, la paranoia di non essere più invlcsnap-117783 grado di attrarre una persona, non la spinge a buttarsi in un bar e a provare ad intrallazzare il primo che passa. E a buttarsi è anche Amelia, vittima della stessa paranoia, messa di fronte allo spauracchio delle moine della Herman. Solo che, priva di quel nascondiglio dentro il quale si sentiva sicura di sé stessa e si sentiva persino sé stessa (le droghe), non ne imbrocca una per il verso. Ma nonostante tutto, alla finzione dei commedianti, come suggerisce Owen, si contrappone la sincerità. E qui scatta il pistolotto moralistico della puntata: chi mente, rimane con un pugno di mosche; chi premette la verità, ottiene quello che desidera. Da questa dicotomia non sono esclusi personaggi come Curt, Maggie o  Catherine. I primi due hanno mentito e hanno recitato la loro commedia, quindi vengono puniti; Curt rimane privato della comprensione del fratello, Maggie della verità della sorella. Pure Catherine, che della messa in scena ne ha fatto un’arte, rimane scottata dall’ennesimo inganno perpetrato, ma nel suo caso è una scottatura già programmata, messa in conto per raggiungere il proprio obiettivo, parlare con il figlio.

Alla fine, qualsiasi arma si decide di usare, si rimane comunque nudi di fronte alla realtà da affrontare. E, come sottolineano le due scene di Jo, questo può avvenire inavvertitamente, senza che ce ne accorgiamo, e improvvisamente, quando meno ce lo aspettiamo. La quantità di verità che abbiamo deciso di rivelare all’esterno è solo una piccola coperta con la quale tentiamo inutilmente di coprirci.

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11.12 – The Great Pretender

Recensendolo, l'episodio è migliorato

User Rating: 3.55 ( 1 votes)

Federico Lega

Fra gatti, pannolini, lavoro, la formazione del fantacalcio e qualche reminiscenza di HeroQuest e StarQuest, stare al passo con le serie tv non è facile ma qualcuno lo deve pur fare

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