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Gomorra: non ti fidare della famiglia – Recensione episodi 3.01 e 3.02

La famiglia è qualcosa di cui non ti puoi fidare. I primi due episodi della terza stagione di Gomorra lo dicono chiaramente. Pietro Savastano ucciso dal patto stipulato dal figlio e dall’ex pupillo. Gli affari di Genny Savastano minacciati dal padre della moglie, uscito di galera, al quale lui stesso sta rubando tutto il patrimonio. Purtroppo oltre a questo non succede molto altro.

Dopo l’anteprima nelle sale cinematografiche e l’ovvio embargo alla stampa, Gomorra torna in televisione su Sky col botto, segnando il record di spettatori per il canale satellitare nella messa in onda di una serie televisiva: 1 milione 13 mila spettatori medi per la prima puntata, scesi a 978 mila nella seconda. Trend topic sui social network. E i più goliardici che scherzano con le similitudini al Trono di Spade. E in effetti poco ci manca. Il trono di Gomorra è il predominio su Scampia e Secondigliano, solo che appena se ne prende il controllo, come nel Trono di Spade, c’è subito qualcuno che trama per buttarti giù.

E già qui si potrebbe discutere sul fatto che questi boss non instillano molta paura e rispetto negli altri. In più, il peggior nemico, come nella serie fantasy americana, te lo trovi proprio all’interno della tua stessa squadra, se non nella tua stessa famiglia, benché famiglia allargata. Come nel Trono di Spade, “tradimento” sembra la parola all’ordine del giorno, con la quale tutti si alzano.

Gomorra
Da quando è stata portata sugli schermi televisivi, fortunatamente, Gomorra ha rispettato la programmazione tipica italiana del doppio episodio. In questo modo le lacune di una puntata possono facilmente essere mitigate dalla puntata successiva o precedente. È questo il caso del debutto di Gomorra 3. Nel primo episodio infatti succede il nulla.

Gente che si guarda male, gente che soffre, che dice che a Napoli si muore solo, non ci sono più le mezze stagioni e si chiede se tutto sarà come prima. Se lo chiedono anche i boss degli altri quartieri della città, venendo rassicurati da Genny. Quest’ultimo poi mette in scena una recita come se lo spettatore non sapesse niente di quanto avvenuto la stagione precedente e si arriva alla sequenza finale dove ci si ritrova Genny e Malammore armati sulle tracce di Ciro, presumibilmente armato pure lui. Musica di tensione in sottofondo e in testa una sola domanda: ma perché?

Ma davvero hanno pensato di creare suspense, facendo credere che i due protagonisti della serie (o uno dei due) potessero morire in prima puntata? In confronto il funerale di Savastano, scopiazzato dal funerale dei Casamonica a Roma, è sembrato una perla di originalità. Ma se la strategia di pescare dalla realtà è condivisibile, la costruzione della narrazione ha lasciato non poco allibiti. Anche perché dall’altra parte non hai guizzi linguistici di novità. Uscito Sollima dal progetto, si è badato semplicemente a replicarne lo stile e a sviluppare la narrazione sullo stesso copione narrativo ed emotivo della prima puntata della seconda stagione, con il gioco di alternanza di vita e morte (Pietro Savastano a terra con un buco in testa vs il piccolo Pietro Savastano coccolato dal padre Genny) che ormai è una contrapposizione che andrebbe bandita dallo schermo (abbiamo capito che avete visto Il Padrino) e che comunque c’era già stata propinata sul finire della stagione scorsa.

Gomorra

La seconda puntata, ambientata un anno dopo, tanto per continuare a distaccarsi dalla seconda stagione, ci porta almeno qualche carne in più sul fuoco. Si dipinge meglio la tela di potere di Genny, fra Roma, Napoli e il sud America e si affrontano diverse linee narrative, scelta che si sarebbe potuta introdurre in prima puntata, pur rispettando l’idea di raccontare unicamente la morte di Pietro Savastano, ma evidentemente a qualcuno faceva schifo.

Anche con i secondi cinquanta minuti, però, si paga dazio alla mitologia cinematografica mafiosa di Hollywood, introducendo in scena un nuovo personaggio, il contabile (“Arrestiamo il contabile e fermeremo Al Capone” diceva qualcuno un po’ di anni fa): Gegè, interpretato da Edoardo Sorgente, è il classico pesce fuor d’acqua, un uomo che per modi, fisicità, linguaggio non ha nulla a che fare con le famiglie mafiose con le quali è costretto a lavorare. E infatti si trova puntualmente in mezzo ai casini.

Sorvolando sull’omosessualità trattata nella serialità alla stregua delle quote rosa nella vita quotidiana, la linea di Gegè segue la struttura già introdotta in passato da Gomorra: prendersi una parentesi dalla linea principale e soffermarsi sulle evoluzioni che questa ha su un personaggio secondario. L’episodio 2 è praticamente tutto raccontato dal punto di vista del contabile, dall’impero di Genny in espansione al tradimento di don Giuseppe. Peccato però che per il nostro protagonista di puntata tutto si risolva praticamente in egual modo: grande turbamento e casini.

Mentre la mattanza degli honduregni sembra anche qui una citazione o una scopiazzatura da Narcos, non si capisce alla fine il motivo dell’esistenza di Gegè. Genny racconta infatti a don Giuseppe, mandandolo in bestia, di averlo scelto perché sconosciuto alle forze dell’ordine e perché bravissimo. Qualità riconosciuta anche da don Giuseppe, salvo poi fargli portare alla luce nell’arco di due minuti di puntata, anche meno, il sistema di scatole cinesi utilizzato per sottrarre fondi alla famiglia. Pensa se non fosse stato bravo…

Gomorra
Nel mezzo, si rianima pure Patrizia che, dopo aver esercitato il ruolo di comparsa nel primo episodio, torna ad agire, questa volta per conto di Chanel, la quale mira a comprare il silenzio di Marinella dopo averle ucciso l’amante. E anche in questo caso, la famiglia allargata non ci fa una bella figura (Marinella cornificava il figlio di Chanel e allora lei le ha ammazzato l’amante).

Questa terza stagione di Gomorra inizia alla fine con molta puzza sotto il naso. Una prima puntata scritta tanto per scrivere, come se non sapessimo i patti segreti fra i protagonisti; una seconda puntata che prende spunto dalla sconfinata narrazione criminale cinematografico-televisiva sperando che nessuno se ne accorga. Indubbiamente per lo spettatore meno colto rimane anni luce avanti alla serialità italiana, e se viene esportata in oltre cento paesi, così sì dice, un motivo ci sarà, ma in questi due episodi è più che altro sembrato un racconto furbacchione presentato da dei furbacchioni.

 

Federico Lega

Fra gatti, pannolini, lavoro, la formazione del fantacalcio e qualche reminiscenza di HeroQuest e StarQuest, stare al passo con le serie tv non è facile ma qualcuno lo deve pur fare

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