
Go with me: la Recensione del film a Venezia 72
Go with me deve aver detto Daniel Alfredson ad Anthony Hopkins e il grande attore che temo soffra della stessa demenza senile che attanaglia il protagonista di Remember, ha pure detto di si a partecipare ad un film piatto, mal scritto e abbastanza noioso; sarà che era la proiezione delle 22.00 e in Mostra alle 22.00, soprattutto dopo 9 giorni, ci si arriva stanchi, ma il numero di persone addormentate in sala era abbastanza impressionante.
Go with me, venite a Venezia con me Anthony, Ray e Julia… ma non ci hanno nemmeno provato, hanno preferito evitare di presenziare a questa brutta figura e sinceramente li capisco. Quello che capisco meno è il perché portare a Venezia un film bruttino come questo; capisco i grandi nomi, ma se questi nemmeno si presentano, perdi anche l’unico motivo buono per proiettare un film che, dicendo proprio la verità tutta ma tutta, si può anche guardare la domenica pomeriggio se facendo zapping te lo trovi su un qualche canale generalista e nel mentre stai stirando o devi fare da mangiare, insomma se non devi prestare troppa attenzione alle stupidaggini che succedono.
Perché diciamocelo, il presupposto del film è una stupidaggine colossale. Lo potrei anche perdonare ad un film se poi l’esecuzione è meravigliosa, ma non è proprio il caso di Go with me. Lillian, interpretata dalla Stiles, che da molto tempo vive a Seattle, alla morte della madre torna nello sperdutissimo paesino dove è cresciuta, cittadina di frontiera col Canada, semideserta, noiosa e che fa venire voglia di tagliarsi le vene solo a guardarla. Chiaramente, morta la madre, ereditata la casa, anziché vendere tutto e, non dico scapparsene ai tropici, ma almeno tornare alla civiltà, decide di star li a fare la cameriera. Un grosso mah, però proseguiamo. Lillian viene presa di mira dal criminale locale, temuto da tutti, “produttore di metanfetamina e altro” (cit.), capace di ammazzare gente senza pensarci che la molesta e le uccide il gatto (sic.!). Ora la gente le suggerisce di andarsene dal predetto paesino del caxxo in cui si trova, onde salvarsi la vita e quindi cosa fa? No, sto giro sceglie di rimanere e nessuno capisce il motivo, tanto che ad un certo punto un altro personaggio glielo chiede e lei risponde “ho sempre mollato nella mia vita, questa volta no”…. Ma non potevi aspettare il corso di cucina per decidere di non mollare? Proprio l’unica volta in cui dovresti correre ti viene voglia di far la figa?
La recitazione è generalmente sovradimensionata alla storia, con gli attori che vengono portati, probabilmente dal regista, a caricare troppo dei personaggi che altrimenti sarebbero descritti in maniera scialba e superficiale, i dialoghi sono evanescenti e spesso banali, tanto che la caratteristica migliore del film è che dura relativamente poco (sempre troppo per quel che è, ma un ora e mezza la riesco ancora a reggere).
Insomma, se dovesse venirvi in mente di vederlo al cinema, lasciate perdere, spendeteli meglio i soldi.