
Glee – 3.10 Yes/No
Oh sì! Sì sì sì! Signor Ryan Murphy, ben tornato! “Yes/No” è senz’ombra di dubbio il migliore della stagione e anche di diversi episodi delle altre due stagioni. Finalmente Ryan ci ha dato dentro con la sua sapienza e abilità e ha condotto il team di autori su un terreno felice e funzionalissimo.
Prima di tutto, l’episodio non si disperde in quattro o cinque trame verticali contemporanee. Ci sono dei risvolti per molti personaggi, tuttavia ci sono solo due trame e mezzo. Una è quella di Becky, una quella della proposta di matrimonio e il “mezzo” è quella di Mercedes e Sam, che tra l’altro dà il via all’episodio, con una versione Glee di Summer Nights di Grease. Una serie corale (è proprio il caso di dirlo) come Glee ha bisogno di far procedere tutte le sottotrame, questo è certo. Il modo però è rischioso, perché portandole avanti tutte insieme, si ha un effetto caotico, che impoverisce la narrazione a favore di un mero proseguo orizzontale. La soluzione migliore è prendersi tempo e dedicare più spazio ad ogni sviluppo, rendendolo più dinamico, vario, profondo e quindi, più bello il pubblico. Questa è la chiave di successo di questo episodio.
La trama di Becky, l’assistente di Sue Sylvester affetta da Sindrome di Down, è piacevole, divertente e delicata a tempi alterni, una di quelle sottotrame scritte con profondità senza scadere nel retorico. Scene che mi hanno da sempre fatto apprezzare Glee per la capacità di Murphy & Co di rendere in maniera credibile delle situazioni sicuramente difficili nella vita intima delle persone, particolari, speciali, e allo stesso tempo rendendole positivamente tenere.
Altre situazioni come questa sono state le scene del primo bacio di Coach Beiste, gli incontri di Sue con sua sorella in casa di cura, il funerale della stessa sorella, alcune parti del primo episodio natalizio. Questa delicatezza raffinata mista ad allegria è il modo migliore per raccontare un certo tipo di storie, senza eccessi di moralismo da un lato e di leggerezza dall’altro. Becky è il pretesto per parlare ancora più a fondo di diversità, per lanciare una riflessione a cui per bocca di Artie viene dato un chiaro statement.
Il primo è “Moves like Jagger”, pezzo che di per sé nel mondo pop ha il merito di idolatrare sua maestà Mick Jagger, che non è mai idolatrato abbastanza. La versione Glee è piuttosto fedele all’originale.
Il secondo è ancora meglio, una versione decisamente bella di “The First Time Ever I Saw Your Face”, un pezzo del 57 ma rifatto da una trentina di artisti, tra cui George Michael in quell’album stupendo “Songs from the last century”, versione che per la sua delicatezza mi ha sempre commosso. Beh, questa versione ne è molto vicina e devo dire che è stata in grado di avvicinarmi alla commozione, perché il testo è davvero il massimo che si possa dire per esprimere lo stupore di un vero amore e quella totalizzante sensazione questo sentimento sa dare.
Insomma, questo episodio scivola via senza uno strappo, veloce, con ogni personaggio al suo posto, che si comporta come ci si aspetterebbe ma senza diventare una presenza ingombrante. La trama non si ingolfa, procede spedita verso un finale a cliffhanger che sicuramente ci spiazzerà al suo ritorno nel prossimo episodio. Le canzoni vanno tutti tra il buono e il molto buono, le scene sono veloci, ben rese. C’è divertimento, c’è profondità, c’è sviluppo della trama, c’è gusto nel seguire la storia, senza noia né confusione. C’è anche il finale a fiato sospeso.