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Game of Thrones: Recensione dell’episodio 6.10 – The Winds of Winter

E alla fine è arrivato davvero. Un corvo bianco e poche parole, che quasi passano in secondo piano per tutto quello che accade in questo episodio (un po’ come è accaduto al flashback sulla nascita dei White Walkers qualche puntata fa). Il tanto decantato, atteso e temuto Inverno ha fatto capolino alle porte di Winterfell, con la sua neve sottile e l’aria secca.
Eppure in questo finale di stagione di Game of Thrones (con molte probabilità il miglior finale di stagione di sempre), l’Inverno non è l’unica cosa che lascia a bocca aperta noi spettatori, turbati e al tempo stesso affascinati da questi intensi, intensissimi 68 minuti.
Rompendo lo schema a cui eravamo abituati, con la nona puntata in cui si concentrava la maggior parte dell’azione (risolutrice delle storyline della stagione ma anche iniziatrice dei percorsi narrativi della successiva), David Benioff e D.B. Weiss costruiscono questo episodio avvicendando colpi di scena su colpi di scena, regalando allo spettatore un prodotto che  – per chi scrive – è nettamente superiore per scrittura, regia e fotografia ai precedenti capitoli.

game of thronesA partire da una delle trame che più avevano stancato ultimamente, la faida inesplosa tra High Sparrow e Cersei. L’episodio parte proprio da King’s Landing, dove sembra ormai tutto pronto per il processo di Loras Tyrell e della madre del Re. E se il primo (non avevamo dubbi) si sottomette al volere del capo della setta devota ai Sette Dei più per volontà della sorella che per sua sponte, la seconda mette finalmente in atto il piano di vendetta che tutti attendevamo con ansia. Perché se una cosa ha sempre affascinato del personaggio di Cersei è stata sicuramente la sua capacità di tramare e manipolare chi si trovava accanto a lei. Credere che si fosse prostrata all’arrivo di una manica di esaltati, che avesse accettato di essere stata disonorata pubblicamente è stato un errore o forse più una leggerezza. Cersei, la Cersei che conosciamo era lì a preparare e prepararsi a vedere bruciare vivi i suoi nemici, a partire dall’High Sparrow per arrivare a quella donna che aveva manipolato il suo amato figlio. Cersei è ognuno di quei ragazzini che pugnalano a morte Pycelle e Lancel, quell’Alto Fuoco che nel suo verde fluorescente si alza impetuoso e distrugge il Tempio di Baelor, quella brocca di vino che septa Unella vede sgorgare sul suo viso, quei tre Shame che pronuncia con fierezza mentre lascia la sua carceriera a familiarizzare con il suo nuovo Dio, quel Frankenstein della Montagna. Ma Cersei è anche quel figlio che decide di buttarsi giù, all’ennesima dimostrazione che in fondo lui non è mai stato il Re e che nonostante tutto è sempre stata sua madre a comandare. La profezia della strega si è compiuta. Ora non le rimane che il Trono e lo sguardo – misto di dolore e di rabbia – di suo fratello Jamie.
E la stessa sete di vendetta conduce Lady Olenna Tyrell a Dorne, dove troverà l’appoggio non solo delle Serpi delle Sabbie e Ellaria, ma anche del Ragno Tessitore, Lord Varys. E magari questa nuova alleanza ridarà dignità ad un luogo che con tutta sincerità non ha regalato che teatrini al limite del patetico.

game of thronesNonostante la volontà di dedicarle gli ultimi minuti di questo finale, la storia di Danaerys al contrario continua ad essere la più noiosa. Questo perché, con una probabilità (quasi) certa, sarà lei a dare inizio alle danze della prossima stagione, ora che le navi, i guerrieri, i draghi e soprattutto un Primo Cavaliere navigano al suo fianco alla volta di una battaglia a cui sta andando incontro. E se all’inizio l’accoppiata Danaerys – Tyrion poteva sembrare in qualche modo stonata (per quanto la fanbase abbia ipotizzato una possibile parentela tra i due), vederli ora guardare quell’orizzonte di guerra sembra invece una delle migliore opportunità delle serie. Nessuno dei due ha la forza di un guerriero, ma entrambi posseggono la stoffa dei governanti.
E non è mai stato e non sarà mai un guerriero Samwell, il quale giunge finalmente insieme e Gilly e al piccolo Sam a Citadel. Ma quella libreria, che i suoi occhi scrutano con incanto, nelle sue mani avrà un potere uguale a quello di una spada di Valyria.

E poi arriviamo a Nord, quel Nord dove la nostra storia ebbe inizio, quel Nord dove troviamo una soddisfazione ed un appagamento narrativo simile se non superiore a King’s Landing, nel presente come nel passato (geograficamente lontano ma emotivamente vicino).
L’abbiamo vista in questa stagione combattere una guerra interiore che in realtà non è mai stata sua, fronteggiare nella totale cecità un addestramento che l’avrebbe dovuta portare al totale annullamento di se stessa e della sua eredità. game of thronesNessuno ci ha veramente creduto, neppure Jaqen H’ghar, che nell’ottavo episodio guardava quasi divertito quella ragazzina che gli consegnava la testa dell’Orfana. Arya Stark (come Cersei) è sempre stata lì, non è mai stata Nessuno e soprattutto non ha mai dimenticato la sua lista. E la sua soddisfazione è la nostra quando guarda Walder Frey gustare la carne dei suoi stessi figli e poi morire, conservando negli occhi come ultima immagine il sorriso di chi ha privato della sua famiglia. Il gesto di Arya giustifica finalmente la presenza di un personaggio che ci chiedevamo come mai fosse di nuovo spuntato fuori. Forse eravamo noi ad aver dimenticato la lista.

Il Nord non dimentica e il Nord non può essere dimenticato. E quel filo stretto che lega i figli di Ned e Catelyn Stark è così spesso da riuscire a resistere ai numerosi tentativi perpetrati da Littlefinger di spezzarlo. Per quanto cerchi di manipolare Sansa, l’ennesima pedina mossa per avvicinarsi sempre di più al suo sogno di sedere un giorno sul Trono di Spade, la giovane Stark ha gli occhi molto più aperti di quanto lui possa pensare. Cedere alle lusinghe di un uomo più grande e a suo modo affascinante può essere anche allettante per una qual si voglia ragazza di dubbia intelligenza. Ma Sansa non lo è. Porta sul volto le sofferenze che una delle sua età non dovrebbe conoscere e nel cuore la nostalgia e la forza della sua casata. Quella forza che sua zia Lyanna  sul letto di morte chiede al fratello Ned di custodire.
In questi anni si sono susseguite teorie su teorie sull’origine di Jon Snow, sin da quando il giovane bastardo aveva chiesto al padre adottivo di raccontargli la storia di sua madre il giorno in cui si sarebbero visti. Quell’incontro non c’è stato, ma a noi spettatori è stato finalmente concesso di scoprire quella verità attraverso gli occhi di Bran, un altro Stark appunto. E sì, avevamo indovinato tutto, eppure l’emozione di vedere quei piccoli occhi, neri e perduti, è fortissima.
Ad inizio stagione avevamo temuto di non vederlo più, nella seconda puntata avevamo chi gioito chi inveito per la sua rinascita, nella scorsa puntata avevamo avuto di nuovo paura di perderlo. Ora lui siede al posto che fu di Ned e poi di Rob e tutti – noi, i bruti, le Casate del Nord – sentiamo che quello è il suo posto. 

game of thronesGame of Thrones conclude con The Winds of Winter una stagione che ha avuto i suoi alti e bassi, e anche questo episodio porta con sé quei difetti che la serie non riesce proprio a lasciare andare. Ma i pregi sovrastano così tanto i demeriti che a fine visione rimane solo la voglia di scoprire cosa c’è in serbo per noi il prossimo anno. Anche tecnicamente la puntata è una gioia visiva, tra i primi piani egregiamente illuminati e un’inaspettata variazione del tema musicale principale che accompagna il nostro viaggio verso la conclusione.

E in questo anno che ci divide dalla settima stagione non ci resta che continuare ad ipotizzare teorie e parentele, immaginare sviluppi ed alleanze. Tenendo sempre a mente che una sola cosa è certa in Game of Thrones. Valar Morghulis. Soprattutto ora che l’Inverno è arrivato.

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Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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