
Game of Thrones: i si e i no del pre series – finale
Dice il saggio: non è tutto oro quel che luccica. Non si sa se lo stesso saggio abbia mai detto qualcosa a proposito di quel che fa tutt’altro che luccicare. Anche qualcuno cantava che dal letame nascono i fiori. Alle volte, però, non è che si possa scegliere. E ci si deve tenere sia quel che luccica beandosi del riflesso dorato che quel che puzza sperando prima o poi ne nasca qualcosa che profumi.
Qualcosa di simile accade con The Bells, il pre series – finale di Game of Thrones. Un episodio controverso che ha acceso violente discussioni tra chi non ha accettato le scelte inattese del duo Benioff & Weiss e chi, invece, si è trincerato dietro le lodi alla regia e al comparto visivo. Chi ha ragione? Tutti e nessuno perché dopotutto un qualunque episodio di una qualunque seria si giudica inevitabilmente in base a parametri propri che privilegiano questo o quell’aspetto.
Alcuni dati sono, tuttavia, oggettivi e possono servire a pesare questo episodio. Consapevoli comunque che la somma di più e meno non fa il totale perché manca l’elemento soggettivo di cui sopra, di seguito proviamo a elencare i pro e i contro di questo episodio. Sempre, secondo il nostro molto sindacabile giudizio, ovviamente.
Avviso per chi lo chiedesse: non parleremo di Jaime perché lì ci vorrebbe un articolo a parte! E, perché, dopotutto, non è poi così banale capire se il suo ultimo atto sia un tradimento del percorso fin qui fatto o un essere coerente con un amore malato ma sincero.
Perché si
Non tutto ha funzionato, ma alcune cose decisamente si. E vale la pena elencarle discutendole brevemente.

La regia di Miguel Sapochnik
Leggere il nome del regista ed aspettarsi un grande episodio a livello visivo è un privilegio che tocca a pochi. E tra questi c’è sicuramente Miguel Sapochnik che si è guadagnato questo onore grazie alle splendide prove precedenti, su tutte la Battaglia dei Bastardi. Il regista londinese ripaga la fiducia confezionando un episodio che è puro spettacolo visivo. Sebbene non ci sia una battaglia da mostrare (e questo non per colpa sua), Sapochnik dimostra di padroneggiare il linguaggio del cinema e tradurlo sul piccolo schermo realizzando qualcosa che è superiore ad entrambi i media. I piani sequenza tra la gente che scappa. La furia devastatrice di Drogon che lascia solo cenere e morte dopo ogni suo volo radente. La Fortezza Rossa che crolla sbriciolandosi come un castello di sabbia. La fuga impossibile di quel che resta della Compagnia Dorata e dell’esercito Lannister. I primi piani sui volti terrorizzati della gente e sulla rabbia cieca di Immacolati, Dothraki e Uomini del Nord. Sapochnik mostra la guerra nel suo crudo orrore. E lo fa scolpendo nella memoria dello spettatore scene indimenticabili.
L’addio tra Sandor e Arya
Una scena breve che potrebbe sembrare una contraddizione. Ma che è, invece, la chiusura perfetta di un rapporto atipico cresciuto negli anni e rimasto vivo anche dopo una lunga separazione. Arrivati ad un passo da Cersei e dalla Montagna, il Mastino ferma Arya. Le sarebbe rimasto solo un nome sulla lista delle vendette e quel nome era ormai a poche scale di distanza. Ma farlo avrebbe significato fare della ragazza senza nome di casa Stark un’assassina con niente altro nella vita che la vendetta. Avrebbe significato fare di Arya un altro Mastino. Sandor lo sa questo. Ha sempre lasciato che Arya seguisse la sua strada guadagnandosi proprio per questo il suo rispetto. Ma non può lasciare che compia quell’ultimo passo. Perché Arya ha ancora la possibilità di vivere per una ragione che non sia la morte di qualcun altro. Il Mastino diventa, infine, il maestro che ad Arya era finora mancato. Non chi le insegna come uccidere più in fretta, ma come scegliere la vita invece che la morte.
Il Cleganebowl
Fan service? Si, certo. Perché poche cose erano più attese dello scontro fratricida tra il Mastino e la Montagna. Fan service, quindi? Anche, assolutamente no. Perché proprio questo duello fatale rappresenta la conclusione ideale della storia di Sandor Clegane. Compiuto il suo percorso di redenzione attraverso Arya prima, Beric poi, ed infine ancora Arya, al Mastino non restava altro che tornare al punto di inizio per cancellare chi lo aveva condannato a commettere quelle colpe che ha poi espiato. Punire colui che gli ha instillato la paura del fuoco, ma soprattutto lo ha convinto che nessuna vita per lui fosse possibile se non una lunga attesa di una vendetta. Un momento irrimandabile come capisce persino la Montagna che, per la prima e unica volta, disobbedisce anche a Cersei e Qyburn pur di non rinunciare allo scontro. Che termina nel modo più giusto: un volo finale verso quel fuoco e quella distruzione che sono state la paura e la vita di Sandor.
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La fuga di Arya tra King’s Landing che crolla
Nessuno realisticamente ha creduto neanche per un attimo che Arya sarebbe rimasta vittima della devastazione causata da Drogon. Ma il suo correre senza una direzione, il cadere impotente tra la folla in fuga, il tentare di salvare sconosciuti fallendo miseramente, il non sapere cosa fare sono state scene cariche di tensione dove si è vista una Arya tanto impotente che quasi non sembrava essere la stessa persona che ha ucciso il Night King. Colei che ha sempre risposto not today al Dio della Morte ha dovuto confrontarsi con la sua potenza riconoscendo implicitamente che persino per lei esistono avversari dai quali si può solo fuggire. Perché quando è il cielo a crollarti addosso non puoi fare altro che sperare che ci sia un altro giorno per rispondere not today.
Perché no
Purtroppo, qui, la lista è talmente lunga che inesorabilmente saremo costretti a tagliare qualche argomento. Perché di cose che non hanno funzionato come dovevano, ce ne sono troppe ed, incrociando liste scritte da persone diverse, troveremmo ogni volta motivi validi per lamentarsi che non avevamo già scritto nella nostra.

La follia di Daenerys
Premessa: ci può stare. Che Daenerys divenisse la Mad Queen era una possibilità concreta che molti avevano previsto. Perché aveva reagito con assoluta indifferenza alla morte di Viserys. Costretto la strega responsabile della morte di Khal Drogo a bruciare viva nel rogo del marito. Lasciato morire di fame la sua ancella traditrice e il signore di Qarth. Mai esitato ad ordinare dracarys a Drogon quando si trattava di punire i suoi nemici indipendentemente dal fatto che si fossero arresi. Perso tutti coloro che l’avevano amata e che sapevano farsi ascoltare da lei. Soprattutto perché è una Targaryen e la sua moneta non era ancora caduta mostrando il verso. Daenerys poteva diventare la Mad Queen. Ma non così. Non dopo aver passato intere stagioni a definirsi colei che spezza le catene del popolo per fare il suo bene. E non ora. Dopo aver combattuto fino a due giorni prima per far vincere la vita sulla morte. Tutto cancellato in un battito d’ali. Dracarys per tutti e su tutto e benvenuta regina delle ceneri.
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La stupidità di Tyrion
Jon Snow è per definizione ormai colui che non sa niente. E, quindi, che si accorga soltanto durante il massacro che Daenerys non ci stava più con la testa è cosa che fa parte del personaggio. Tralasciando anche il fatto che era presente quando la Mad Queen ha dichiarato le sue intenzioni con un poco equivocabile let it be fear. Ma Tyrion era la definizione dell’opposto. Colui che, come lui stesso diceva, di mestiere è quello che sa le cose. A quanto pare, ormai l’unica cosa che davvero sa bene è come fare figure di … ci siamo capiti. La perla non è tanto credere che a Daenerys basterà sentire suonare le campane della resa per calmarsi e risparmiare l’intera città. Ma quale pensava fosse il destino di Varys dopo averlo denunciato? Credeva che Daenerys avrebbe fatto finta di niente? Avrà capito ora che il Ragno aveva ragione?

La non battaglia di King’s Landing
Anni ad aspettare il momento della battaglia finale per il trono di spade. Otto stagioni per arrivare a questo momento. Il nome di un regista specializzato in scontri epici. La Compagnia Dorata presentata come la più potente armata di Essos (elefanti a parte). La flotta di Euron finora apparsa più forte della Invincibile Armada. Scorpioni ovunque a incutere timore visto quanto accaduto al povero Rhaegal. E poi? Niente. La battaglia finisce prima ancora di iniziare. Perché non ce n’è assolutamente bisogno. Basta Drogon che arriva contro sole e la Iron Fleet cola a picco in due passaggi senza neanche provare a difendersi con una selva di dardi dagli scorpioni. Peggio ancora per le mura di King’s Landing da cui non parte neanche una freccia. Compagnia Dorata che viene sterminata senza neanche impugnare le armi. Per non parlare della quantità innumerevole di Immacolati e Dothraki sbucati dal nulla dopo aver pianto la loro scomparsa evidentemente fittizia.
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Le ultime ore di Cersei
Anche qui una premessa d’obbligo: non c’era altra fine possibile. Cersei doveva morire alla fine di Game of Thrones e poco cambia che questo sia avvenuto nel pre series – finale che nel series – finale vero e proprio. Ma era proprio necessario che le sue ultime ore fossero un continuo cancellare ogni caratteristica del suo carattere mostrata in queste otto stagioni? La Cersei abile stratega capace di nascondere risorse dell’ultimo minuto se ne resta, invece, a guardare King’s Landing crollare senza neanche capire che la sconfitta è inevitabile. Non è nemmeno in grado di capire le ovvietà che Qyburn le dice continuando ad affidarsi a speranze irrealizzabili. Addirittura, è il suo Hand of the Queen a prenderla per mano per portarla via come fosse una vecchia rimbecillita o una bambina spaventata. La Cersei che senza battere ciglio era pronta ad avvelenare i suoi figli e poi sé stessa per non cadere nelle mani di Stannis quando la battaglia di Blackwater Bay sembrava persa piagnucola tutto il tempo abbracciata a Jaime che la deve calmare come fosse una poppante che sa solo frignare. Si può accettare la distruzione di uno dei personaggi migliori di Game of Thrones? La morte, si. La cancellazione di quel che è stata, no.