
Feud – Bette and Joan: Recensione del pilot della nuova serie di Ryan Murphy
“… il Paese-che-non-c’è è sempre più o meno un’isola, con sorprendenti macchie di colore qua e là, e banchi di corallo e navi al largo, e selvagge tane isolate, e gnomi che per lo più fanno ghirlande, e caverne attraverso le quali scorre un fiume, e principi con sei fratelli maggiori, e una capanna che va in rovina, e una piccolissima vecchia con il naso a uncino.” (Peter Pan, James Matthew Barrie – Fanucci Editore)
Se esiste un luogo sulla nostra amata Terra che più somiglia a quell’Isola lontana lontanissima inventata da James Matthew Barrie, quel luogo è sicuramente Hollywood. Luogo di carta incantato in cui i sogni hanno una chance di trasformarsi in realtà, estemporanee e durevoli al tempo stesso, quelle soleggiate colline hanno attirato decine e decine di attori con le valigie piene di desideri.
Alcuni di loro hanno gustato per un po’ il sapore del successo, ad altri è stata sbattuta una sonora porta in faccia. A pochi invece è stato concesso il privilegio di essere ricordato/a, di divenire una leggenda. Come è capitato a Bette Davis e Joan Crawford, inserite dall’American Film Institute nella AFI’s 100 Years…100 Stars (lista delle più grandi attrici degli ultimi 100 anni) al secondo e decimo posto.
Feud, la nuova serie antologica ideata da Ryan Murphy, si concentrerà nella prima stagione proprio sulle due grandi attrici e sul tribolato rapporto che le legò negli anni. Questo pilot pone le basi di questa faida, culminata sul set di Che fine ha fatto Baby Jane?, il film diretto da Robert Aldrich che le vede per la prima e l’ultima volta lavorare insieme. Eppure, come la fascinosa Olivia de Havilland interpretata da Catherine Zeta Jones recita telegrafica, “le faide non nascono mai dall’odio. Le faide nascono dal dolore.”

Quel sentimento che legò la “donna che ogni uomo avrebbe voluto e che ogni donna avrebbe voluto essere” e l’ “attrice migliore che Hollywood avesse mai visto” fu un misto di invidia e venerazione. Nemiche sul grande schermo come nella vita privata, le due donne si contesero amanti e ruoli, lanciandosi accuse infamanti a mezzo stampa. Carne succulenta per chi come Hedda Hopper andava a caccia di pettegolezzi per i suoi articoli.
La storia di Feud prende il via nell’ “estate indiana” delle carriere delle due dive, in cui tragicamente dovettero fare i conti con uno star system che guardava più alle zampe di galline che alle doti artistiche. Tre anni di fermo per Joan, un ritorno sottotono in teatro per Bette, gli Oscar conquistati non hanno più alcun peso per due donne troppo mature, per le quali è impossibile competere con le nuove seducenti leve come Marylin Monroe.
E allora non c’è odio che tenga, quando una nuova occasione può arrivare solo dalla tua più grande avversaria. È questa l’intuizione amara di Joan Crawford, disposta a lavorare con Bette Davis pur di tornare a respirare il profumo del set.
Feud – Bette and Joan ci apre le porte di un mondo non troppo lontano elegante e patinato, che nella sua evoluzione negli anni continua a far viaggiare con la fantasia anche chi non riuscirà mai a vederlo con i propri occhi. Se La La Land ha avuto una così forte eco (oltre ovviamente ad una fidatissima macchina promozionale) è perché abbiamo ancora voglia – e bisogno – di sognare.
Ma ogni mondo fantastico ha il suo bosco oscuro infittito da rami spinosi. E se tra navi da guerra che non portano da nessuna parte, finestre che non affacciano su nessun cortile, torte che non profumano di dolci, il tempo non passa mai, nella vita reale i minuti e le ore si posano sui visi e sulle mani, lasciando il loro segno. Lontano dall’Isola che non c’è anche Peter Pan cresce e i vestiti cominciano a stargli stretti.

Feud – Bette and Joan non è (supposizione che facciamo viste le premesse) quindi solo una storia di rivalità, ma anche una storia di rivincita di due donne bollate come “acqua passata”, incapaci di vedere (almeno fino a quel momento) la potenzialità di una alleanza che avrebbe potuto forse sdoganare un ambiente maschilista e sessista.
Ad interpretare due grandi attrici del passato non potevano che esserci due grandi attrici del presente: Jessica Lange e Susan Sarandon ridanno vita alla leggenda con magistralità. Mentre alla luce del sole prova a mantenersi in piedi su tacchi instabili, la Crawford di Lange è una donna che dentro le mura domestiche può permettersi di apparire alla sua Mamacita preoccupata e fragile. Ad aspettare a casa invece la Davis di Sarandon non c’è invece quasi mai nessuno (bentornata Kiernan Shipka!) e la sua immagine pubblica si fonda sull’idea di una donna forte, indipendente e aspra.
Sulle capacità di narratore di Ryan Murphy non c’è ovviamente nulla da dire: il navigato showrunner sa come muoversi e come agganciare da subito lo spettatore, ma sa soprattutto come cucire addosso ai suoi attori fantoccio (e Jessica Lange rientra nel gruppo) ruoli credibili e sentiti. Ovviamente chi ha fatto indigestione dei suoi prodotti televisivi si ritrova magari nella spiacevole situazione di sentirsi ingannato. Ma, come Hollywood insegna, amore e odio sempre vanno di pari passo.
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