
Festa del Cinema di Roma 2022: i film da recuperare della diciassettesima edizione
Anche se il calendario ufficiale riporta il 23 Ottobre come data di chiusura, la Festa del Cinema di Roma 2022 ha di fatto chiuso oggi la sua diciassettesima edizione relegando nel weekend solo poche proiezioni di titoli decisamente più di nicchia.
Come Telefilm Central abbiamo potuto partecipare alla rassegna cinematografica romana soddisfacendo il nostro pantagruelico appetito di anteprime e, soprattutto, di quel cinema che, purtroppo, raramente trova spazio nel circuito mainstream italiano.
Nell’attesa che il vostro umile recensore trovi il tempo di parlare in dettaglio dei film più attesi e delle sorprese più interessanti, vi lasciamo di seguito una guida in pillole su cosa recuperare e cosa, invece, evitare quando (in alcuni casi a breve, in altri chissà se e quando) questi titoli arriveranno in sala.
Una lista necessariamente incompleta perché il recensore era uno e i film alla Festa più di quanti materialmente ha avuto il tempo di vedere.
Premessa ovvia ma da non dimenticare: opinioni puramente personali e talvolta dissonanti da cosa magari consiglierebbe qualche altro critico più professionista.


Da recuperare senza se e senza ma
Ossia quei film che non è detto che arrivino in sala perché prodotti fuori dal circuito mainstream italiano o hollywoodiano, ma che vi invitiamo a vedere in qualche modo perché sarebbe un peccato capitale perderli.
As Bestas
Il film scritto e diretto dal regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen aveva già positivamente impressionato la critica durante la partecipazione fuori concorso al Festival di Cannes. Lodi ampiamente meritate per la storia di una coppia di mezza età francese (i bravissimi Denis Menochet e Marina Fois) che decide di trasferirsi in uno sperduto villaggio sui monti della Galizia per dedicarsi all’agricoltura biologica e alla restaurazione di vecchie case diroccate. Il loro sogno ecologico si scontrerà con l’astio degli altri pochi abitanti irritati dal loro rifiuto di accettare l’offerta di una società norvegese che promette denaro per tutti in cambio del permesso di installare pale eoliche.
Il film vive di ampi paesaggi paradisiaci e di aspre contese, di silenzi idilliaci e dialoghi taglienti, di pace agognata e conflitti inevitabili. La tensione è costruita sull’attesa di una esplosione che arriva improvvisa e lascia prima e dopo di sé un costante senso di inquietudine. Ma anche una storia che non si ferma dopo il suo climax per proseguire, invece, mostrando un volto diverso per esprimere un uguale messaggio. Un film sull’incomunicabilità, ma anche una storia di amore e resilienza.
Houria
Arriva dall’Algeria della regista Mounia Meddour la storia di una ragazza il cui sogno di diventare una ballerina professionista viene spezzato da una aggressione che le frattura una caviglia proprio la sera prima del provino che avrebbe potuto cambiare il suo futuro. A causa dello shock, Houria smette di parlare e si ritira anche dalla danza classica che era la sua passione da sempre. Sarà l’incontro con un gruppo variegato di donne reduci da traumi diversi ad avviare la sua rinascita attraverso l’elaborazione di un nuovo linguaggio e di un sogno diverso.
Alla sua seconda prova da regista di film di finzione, Mounia Meddour affida alla bravissima Lyna Khoudri (già vista anche in The French Dispatch) il compito di raccontare una storia che non si esprime con le parole, ma con i gesti di una danza che si fa voce narrante di sogni e paure, di dolore e coraggio, di sconfitta e trionfo. La regia accompagna i movimenti della sua protagonista che con i gesti riesce a scavare nell’animo dello spettatore facendo in modo che sia il suo cuore a sentire ciò che le orecchie non possono ascoltare. Una storia di resurrezione privata che non dimentica la condizione di un paese che deve ancora fare i drammi presenti figli di un passato con cui non ha fatto i conti.

Da vedere in sala
Ossia quei titoli che a breve saranno nei cinema italiani insieme a molti altri per cui ve li segnaliamo per non farveli perdere quando usciranno nella vostra sala preferita.
The Menu
Anya Taylor – Joy cliente dell’esclusivo ristorante del leggendario chef interpretato da Ralph Fiennes in un thriller che vede sedersi al tavolo anche Nicolas Hoult e John Leguizano. Un film ideale per far cambiare idea a chiunque idolatri gli chef stellati e aneli a pagare conti astronomici per vivere una esperienza da documentare con foto ai piatti da postare su Instagram. Perché lo chef Slowik offre un menu che va oltre il cibo e coinvolge gli ospiti in una avventura che sicuramente non dimenticheranno, ma non per il motivo che speravano.
Il film può apparire inizialmente quasi come una parodia dei tanti reality con chef stellati a fare da protagonisti. Ci vuole poco, però, a trasformare il battito di mani di Slowik nella fonte dei più inquietanti jump scare e i suoi discorsi pacati nel preludio di incubi a occhi aperti. La tensione si taglia con coltelli sempre più affilati facendo incamminare il film su un’autostrada che porta al thriller con venature quasi horror. Una cena il cui conto nessuno spettatore vorrà pagare.
La stranezza
Una accoppiata insolita che incuriosiva per i registri nettamente diversi a cui i due poli ci avevano abituato. Toni Servillo, icona del cinema di Paolo Sorrentino e altri registi impegnati, incontra Ficarra e Picone, famosi per gli sketch in comedy show televisivi e per le incursioni in film leggeri con nessuna pretesa che una facile risata. A metterli insieme è Roberto Andò nella storia di un Pirandello che, di passaggio in Sicilia e alle prese con le difficoltà di terminare il famoso Sei personaggi in cerca di autore, incontra quasi per caso due becchini con la passione del teatro amatoriale. Sorprendentemente sarà proprio la frequentazione clandestina della loro compagnia scalcinata a far ritrovare al futuro premio Nobel quella passione di cui aveva bisogno per uscire dal momentaneo impasse creativo.
Il film del regista siciliano riesce a coniugare mirabilmente la spontaneità comica dei due dilettanti e della loro compagnia amatoriale con la sofferente drammaticità di uno scrittore prigioniero dei suoi personaggi. Ad unirli è l’amore per il teatro inteso come spazio dove la farsa e la tragedia sono sberleffo e contro canto di una realtà quotidiana fatta di piccole prepotenze e chiacchiere di paese. Un film che diventa, quindi, un inno alla passione per la messa in scena e il racconto. Una lettera per dire grazie a chi ci fa ridere e piangere calpestando, per lavoro o per diletto, le tavole di un qualunque palcoscenico.
The Fabelmans
Non siamo riusciti a vedere l’ultima fatica cinematografica di Steven Spielberg per motivi legati alle difficoltà di prenotare un posto ad una anteprima super affollata (perché aperta anche al pubblico e non riservata alla stampa).
Un film autobiografico che è la più appassionata confessione di amore per la magia del cinema. Non può mancare questo titolo nella lista di quelli consigliati semplicemente perché, parlando con i colleghi di altre testate in sala stampa, il giudizio è pressoché unanime. Ed è sintetizzabile in una sola parola: capolavoro. Ragione in più per rimpiangere di averlo perso e per consigliarlo in questo elenco. Data segnare in rosso sul calendario: 23 Novembre.


Interessanti se possibile
Ossia quei film che ci hanno colpito per delle idee particolari o per il coraggio di esplorare, ma che potrebbero non essere facili da trovare per cui da vedere se possibile, ma senza sforzarsi più di tanto a cercarli.
Lola
Un found footage degli anni 40 per un film che sceglie la via del mockumentary arrivandoci però per una strada impegnativa che mette a dura prova le abilità tecniche in sala di montaggio. Il film di Andrew Legge finge di essere una collezione di bobine ritrovate in una casa abbandonata che contengono le riprese amatoriali girate negli anni del secondo conflitto mondiale. Sullo schermo scorrono, quindi, immagini invecchiate ad arte (con tanto di sgranatura e graffi sulla pellicola) nel formato quadrato di quegli anni e proiettate con lo stesso passo diverso da quello a cui siamo abituati. Una affascinante immersione in un cinema dei primordi per raccontare la storia di fantascienza di due sorelle che realizzano una macchina capace di vedere il futuro. Usarla cambierà la Storia prima che il potere dell’affetto tra sorelle cancelli tutto per portarci nel mondo che conosciamo.
Ramona
Sceglie il bianco e nero la regista spagnola Andrea Bagney per seguire la sua protagonista in una commedia romantica atipica. Diviso in capitoli che scandiscono il tempo della storia di Ona, Bruno e Nico, il film inserisce squarci di colore quando l’occhio della camera inquadra il suo personaggio principale mentre recita monologhi tratti di Diane Keaton e Julie Delpy o quando a guardarla è l’occhio innamorato del regista che gira un film nel film. Bianco e nero sono, invece, dedicati a seguire i dialoghi interminabili e vivaci di Ona e alle sue passeggiate in una Madrid colta nella sua quotidianità lontana dal caos turistico. Un film che vive della fresca irruenza e del gioviale entusiasmo di Ona e del suo mondo in una dedica alla bellezza dell’innamorarsi quale che sia il finale della storia.
Life is (not) a game
Quello di Antonio Valerio Spera non è un film, ma un documentario su Laika, la street artist romana diventata famosa per il poster con l’abbraccio tra Patrick Zaki e Giulio Regeni affisso nei pressi dell’ambasciata egiziana poco prima del lockdown. La camera di Spera mostra il dietro le quinte della misteriosa attacchina (per sua stessa definizione) romana che si nasconde dietro una maschera bianca e una parrucca rossa. La segue nei tentativi di trovare un modo di continuare a mostrare al mondo i suoi poster irriverenti durante il lockdown, nel ritorno in strada dopo la pandemia, nella missione sul campo per conoscere e capire i migranti che alla frontiera dell’Europa cercano una via attraverso le nevi. Poco più di novanta minuti per raccontare l’arte che si mette al servizio di chi non ha voce per far ascoltare i suoi messaggi di aiuto.


Le delusioni
Ossia quei film che sulla carta potevano essere dei sicuri successi e invece ti fanno uscire dalla sala pensando che almeno tu non hai dovuto pagare per vederli, ma vuoi fare un servizio sociale dicendo agli altri di evitarli ché non ne vale la pena.
L’ombra di Caravaggio
Può bastare una sontuosa fotografia e un ricco investimento in scenografie e costumi a salvare un film? Difficile che la risposta sia affermativa. Impossibile se a questo si aggiunge lo spreco di un cast che vantava Riccardo Scamarcio, Michele Placido, Louis Garrel, Isabelle Huppert. La biografia romanzata è messa in scena in una rappresentazione basata sugli eccessi che finisce per essere pacchiana e poco credibile. A partire da un Caravaggio rockstar maledetta tra aneliti di santità e peccati di un diavolo irrequieto. Funziona poco l’averlo eletto a nemico pubblico di una Chiesa dogmatica nei concetti e lussuriosa nelle sue gerarchie e il fargli incontrare personaggi storici in interazioni esageratamente didascaliche. Incomprensibile la scelta di una lingua che mischia un italiano finto seicentesco con i dialetti romano e napoletano senza far caso a chi stia parlando. Una somma di errori che non possono che portare ad un totale pienamente deludente.
War – La guerra desiderata
Tipico film destinato a creare una spaccatura nei giudizi di chi si troverà a vedere l’ultimo lavoro di Gianni Zanasi. Un’incidente in una festa causa la morte di una ventiduenne italiana e l’arresto di sei giovani spagnoli accusati dell’omicidio. Casus belli che porterà la Spagna a muovere guerra all’Italia. Da qui parte una storia dove a dominare è la follia che inesorabilmente si impadronisce di un’Italia attraversata da uno stralunato Edoardo Leo al seguito di un esaltato Giuseppe Battiston e una tenace Miriam Leone coinvolta in un giro di spie. Una collezione di momenti slegati e privi di senso che si allungano spesso oltre il necessario. Un collage confusionario che non porta da nessuna parte. Magari è il modo migliore per rendere l’assurdità di una società che desidera la guerra per sfogare l’aggressività repressa. Ma il risultato è che a diventare assurda è prima di tutto la sceneggiatura.

Senza infamia e senza lode
Chiudiamo un mero elenco di titoli che non hanno pecche esagerate, ma nemmeno pregi particolari. Film che si lasciano guardare con la stessa facilità con cui se ne dimentica poco dopo l’uscita dalla sala. Basta il titolo e una frase.
Rapiniamo il Duce
Pietro Castellitto, Matilda De Angelis e Maccio Capatonda provano a rubare il tesoro del Duce custodito da Filippo Timi, ma l’impressione è che qualcuno abbia rapinato gli sceneggiatori delle idee migliori lasciando un film innocuo che si guarda perché tanto è su Netflix.
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Amsterdam
Ci sono Christian Bale, Margot Robbie e John David Washington in una storia a tratti bislacca a tratti noir il cui pregio maggiore è una lista di nomi di spicco tanto lunga (Robert De Niro, Rami Malek, Anya Taylor – Joy, Timothy Oliphant, Mike Myers, Zoe Saldana) che non si presta troppa attenzione alla sceneggiatura anche perché abbagliati da costumi e scenografie.
La cura
Francesco Patierno porta Alessandro Preziosi, Francesco Mandelli e un cast di attori partenopei nella Napoli del lockdown per mettere in scena la sua versione de La peste di Camus giocando anche col meta cinema, ma alla fine realizza un qualcosa che non è né carne né pesce.
January
Regista lettone (Viesturs Kairiss) per una storia di desideri giovanili che si scontrano con la realtà della lotta per l’indipendenza della Lettonia in un film che sarebbe anche ben fatto e recitato, ma che è realisticamente troppo lontano dai temi che suscitano l’interesse dello spettatore medio italiano.
A cooler climate
Un racconto autobiografico di James Ivory che parte dal ritrovamento delle bobine girate in Afghanistan nel 1960 per mischiare ricordi di gioventù e storia di un paese perduto, ma il ritmo lentissimo rende il film interessante solo per gli ammiratori del novantaquattrenne mastro americano (ospite alla Festa per una masterclass).