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Feed the Beast: Recensione degli episodi 1.01 – Pilot Light e 1.02 – Father of the Year

feed the beastNon esiste, al momento, una rete televisiva nostrana o straniera che non abbia nel palinsesto almeno un programma di cucina. Siamo invasi da pubblicità, ricette e sfide che invitano, invogliano, incitano a cucinare, assaggiare, gustare. Un mondo edulcorato, reso a volte forzatamente invitante e succulento, proprio come dovrebbe essere la presentazione di un ristorante di lusso.
Non è quindi così strano che anche la serialità si sia affacciata a questo universo. Il risultato, a fronte dei primi due episodi andati in onda, è però più vicino al mood del film Soul Kitchen che al format di Masterchef. Il tutto passando per le strade sgangherate di Shameless insieme a qualche personaggio dei Soprano.

Feed The Beast, basata sulla serie danese Bankerot e adattata per AMC da Clyde Phillips (già showrunner di Dexter), è il racconto di un sogno che tre amici – Dion, Tommy e Rie – coltivano da tempo, quello di aprire un ristorante tutto loro in un quartiere popolare – ma all’inizio di un processo di gentrificazione – come il Bronx. Il loro progetto – Thirio – riceve una battuta di arresto quando Rie, chef e moglie di Tommy, viene investita e uccisa da un automobilista. Nella stessa notte Dion, sotto l’effetto della cocaina, dà fuoco al locale in cui i tre lavoravano finendo dritto in prigione.
La storia di Feed The Beast inizia ad un anno di distanza da quella notte. Dion è in prigione, dove ha conquistato una certa popolarità grazie alle sue abilità culinarie, mentre Tommy stenta ancora a riprendersi. Lui come il figlio TJ, chiuso nel più assoluto mutismo dalla morte della madre.
feed the beastSarà il rilascio anticipato di Dion a dare una scossa alla loro vita, a svegliarli da quel torpore in cui li ha gettati la dipartita di Rie – una donna carismatica e amorevole, come i flashback ci raccontano. I due, padre e figlio, vivono infatti in quello che doveva essere il Thirio, tra scatoloni, lavori a metà e attrezzature professionali mai messe all’opera. Una su tutte, la macchina del caffè che Rie aveva costruito con tanto amore.

Tommy e Dion sono due personaggi agli antipodi: il primo è riservato, timido, pacato (tranne quando vede il pericolo avvicinarsi al figlio, istinto paterno accentuato ora che è rimasto l’unico genitore), il secondo è carismatico, affascinante e soprattutto manipolatore. Tommy, dopo aver perso il lavoro da sommelier, si è accontentato di una mansione più umile e anche più noiosa. Dion, appena uscito di galera, vuole partire per Parigi e riprendere la sua attività di chef.
Sarà un caso, un piccolo ma decisivo incidente di percorso a spingerlo a riprendere il mano il progetto del Thirio. Se in superficie il suo interesse sembra motivato da un sincero affetto e attaccamento a Tommy (ma anche a Rie), in verità le sue mosse sono manovrate dalla paura che il boss del quartiere, Mr Woichik detto la fatina dei denti, possa fare di lui carne da macello. Un po’ come succede agli animali che popolano le macellerie prima e le nostre tavole dopo.

Intorno ai due protagonisti, vediamo un insieme abbastanza misto di tipi abbastanza comuni alle serie tv: il classico bambino intelligente che diventa vittima di bullismo, il classico nonno razzista che colleziona armi, il classico boss mafioso che non riesce a mantenere alti gli affari come faceva il padre, il classico zio pappone che nasconde i soldi e le pistole in una cassaforte, la classica avvocatessa che non resiste al fascino del suo ultimo cliente. Ma anche Tommy e Dion non sono esenti dal finire in un cliché.
Ed è questo il più grande difetto di Feed The Beast: pur battendo un territorio ancora inesplorato, quello appunto della cucina, non riesce invece a svincolarsi dalle dinamiche narrative e dalle caratterizzazioni che abbiamo visto e rivisto in questi anni.

feed the beastBasteranno la faccia da canaglia di Jim Sturgess e la scia di comicità che David Schwimmer si porta dietro da Friends a spingere il pubblico a dare fiducia ad una serie che, all’atto pratico, non porta con sé quella ventata di novità che speravamo avesse? Sinceramente è difficile pronunciarsi ancora. Varrà la pena concedere una possibilità ad almeno un altro paio di episodi, prima di decretare il nostro verdetto.

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Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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