
Ma se Fear The Walking Dead fosse meglio di The Walking Dead?
Il confronto fra The Walking Dead e la sua serie “figlia”, Fear The Walking Dead, ha sempre visto il prodotto originale primeggiare sulla “copia”. Anche in questi ultimi anni di crollo verticale di qualità e ascolti degli zombie. D’altronde Fear The Walking Dead esiste solo dal 2015 ed è un prodotto nato monco. Probabilmente per una questione di budget. Doveva raccontare la nascita dell’Apocalisse e l’inizio della distruzione dell’umanità, ma alla seconda stagione si è trasformato in una brutta copia della serie principale. Dopo il debutto, mentre tutti aspettavamo la distruzione della civiltà, si è scelto di trasportare il gruppo di protagonisti in ambientazioni fuori dal mondo. In questo modo si è potuto annichilire la razza umana tutt’attorno senza spendere un dollaro, riportando i personaggi a muoversi all’interno di uno scenario in tutto e per tutto uguale a The Walking Dead. Da qui l’idea di un cross-over.
Un altro punto che non ha di certo giovato a Fear The Walking Dead è stata la rappresentazione dei suoi protagonisti, personaggi coi quali è risultato fin da subito difficile empatizzare ed entrare in sintonia, figli anche di un casting non proprio azzeccatissimo. Personaggi antipatici, immersi in situazioni che un po’ troppe volte hanno voluto scimmiottare le soluzioni peggiori di The Walking Dead, come ad esempio la prigione, ritrovata in Fear The Walking Dead sotto forma di prigione aurea nella tenuta agricola di Thomas Abigail.
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In effetti, Fear The Walking Dead non ha mai brillato di originalità. Anche in questa terza stagione, pregevole, uno dei turning point principali è stato generato grazie all’utilizzo dell’orda di zombie, situazione che ormai in The Walking Dead è stata ripetuta fino allo sfinimento. Ma mentre in The Walking Dead l’orda è sempre stata utilizzata come un’arma che ha costretto i personaggi solo a compiere determinate azioni (e gli ultimi episodi ne sono una conferma), in Fear the Walking Dead, quest’anno, la mandria di vaganti non solo ha costretto i personaggi a mettersi in qualche modo in salvo, ma li ha portati a cambiare i rispettivi punti di vista, mettendo in discussione la propria morale e sottoponendoli a scelte “impossibili”.
Uno forse dei pezzi più alti di quest’ultima stagione si è verificato proprio durante il passaggio dell’orda, quando Alicia è stata obbligata ad uccidere, mediante una vera e propria esecuzione, le persone ferite da morsi di zombie. Una selezione per evitare di consumare il poco ossigeno disponibile all’interno del rifugio nel quale il gruppo si era radunato per scappare dall’orda. Un sacrificio rivelatosi poi inutile, convinzioni morali violentate a vuoto, simbolo del fallimento di tutti gli sforzi di provare a tornare a costruire una vita accettabile.
Proprio sotto l’aspetto del conflitto, in particolare del conflitto interiore, Fear The Walking Dead quest’anno, alla sua terza stagione, ha superato di diverse spanne The Walking Dead. Onestamente è da alcune stagioni che la serie principale non mette Rick e compagni di fronte a scelte difficili da intraprendere. Ormai per loro esiste sempre e solo un’unica scelta: andare sempre avanti, soprattutto mediante l’utilizzo delle armi. Per Rick uccidere è diventata l’unica soluzione e l’unica via di trattativa, come confermato nell’ultimo confronto con gli “scava rifiuti”, ai quali Alexandria è riuscita ad imporre le proprie condizioni minacciando la distruzione per tutti.
Mentre la morte sembra quindi essere l’unica moneta di scambio in The Walking Dead (o noi o la morte), Fear The Walking Dead è riuscito ad andare oltre a questo aspetto superficiale, mettendo in piedi situazioni narrative che oltre alla morte rischiavano di compromettere la moralità dell’essere umano, i propri principi, le proprie scelte di vita. L’acqua razionata ha portato i furbetti del quartierino ad aggirare le regole, mascherando la realtà con le accuse rivolte ad altri. Una volta scoperti, si è quindi dovuto iniziare a pensare ad una punizione adatta ed esemplare al crimine, che al contempo accontentasse le due parti in causa e non costituisse un precedente per future liti.
Fear The Walking Dead, in questa stagione, ha di fatto vissuto lungo la stretta linea invisibile della convivenza fra americani e indiani (e altre varie minoranze etniche), all’interno di una società fortemente razzista che può essere semplicemente simboleggiata col più classico degli elefanti in una cristalleria. Un movimento di troppo e tutto finisce in mille pezzi. Equilibri delicatissimi. Per The Walking Dead, invece, l’unica spinta è la ricerca della morte dell’avversario. Mentre in Fear The Walking Dead ha prevalso la strada della ragione, del compromesso, in The Walking Dead ormai da tempo la ragione è stata sostituita dal braccio armato, unico strumento attraverso il quale riuscire ad esprimersi e farsi ascoltare dagli avversari.
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È stato così anche nell’ultimo episodio andato in onda domenica sera negli Stati Uniti e lunedì in Italia: per convincere gli scava rifiuti, Rick ha dovuto vincere una prova di forza e minacciare di morte il loro leader. Analogamente, il conflitto più interessante, anche perché l’unico, introdotto in quest’ottava stagione, (se sia giusto o meno sterminare i propri nemici e trattarli peggio di niente), e il fine piano d’assedio volto a fiaccare la resistenza dei Salvatori e della popolazione che ha accettato di farsi proteggere dai peggiori figli di buona donna purché li tengano in vita, sono stati risolti da un branco di “hooligan” spazientiti, salito a bordo di un camion con l’unico scopo di rovinare tutto quanto. Profondità dei personaggi zero.
Proprio i personaggi sono stati la migliore e la peggiore sorpresa delle due serie televisive quest’anno. Mentre The Walking Dead ormai sta procedendo per compartimenti stagni, buoni contro cattivi, idee che cambiano secondo il bisogno degli autori, Fear The Walkind Dead ha portato in scena un panorama variegato. Innanzi tutto è morto Travis, anche se le conseguenze della dipartita sono state analizzate superficialmente. Poi è stato il turno di un antagonista degno di questo nome: Jeremiah, anche lui di diritto nella famiglia dei figli di buona donna, pregno di razzismo, ma in grado di elaborare ragionamenti condivisibili o comunque comprensibili nella situazione di emergenza del ranch.
A fianco di Jeremiah, il figlio buono, Jake, sorprendentemente ucciso quando meno era possibile aspettarselo, e il “mostro” Troy, socialmente disturbato, imprevedibile, capace di generare tutto e il contrario di tutto, anche lui seccato in un secondo, in stile Vivere e morire a Los Angeles, dopo essere stato risparmiato moltissime volte. Accanto a loro, personaggi, come la tribù indiana, in grado di passare da antagonisti ad alleati, seguendo l’evolversi naturale del conflitto, la famiglia Clark, che finalmente si spacca, e gente talmente contorta (Nick, Victor e Daniel) da non sembrare un cartone animato anni Ottanta, dove gli alieni cattivi (Salvatori e zombie) invadono la terra ed è quindi giusto ucciderli.
Al netto di tutti questi elementi positivi, tuttavia, Fear The Walking Dead fatica ancora a separarsi dal proprio peccato originale, l’incapacità di essere riuscita a darci una visione originale sul mondo di The Walking Dead mediante personaggi a cui appassionarsi. Ma è comunque riuscita a dimostrarci che realizzare qualcosa che valga la pena vedere, o tenere come rumore di sottofondo, dopo 8+3 stagioni, senza per questo rimpiangere di aver perso 50 minuti di vita, è ancora possibile. In attesa del crossover che ci riporterà tutti in una valle di lacrime.
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