
Favolacce: le fiabe di una infanzia di borgata – la recensione del film con Elio Germano
Titolo: Favolacce
Genere: drammatico
Anno: 2020
Durata: 1h 39m
Regia: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Sceneggiatura: Damiano D’Innocenzo, Fabio D’Innocenzo
Cast principale: Elio Germano, Tommaso Di Cola, Justin Korovkin, Giulia Melillo, Giulietta Rebeggiani
Nota a carattere personale. Sembra impossibile tornare a scrivere una recensione di un film quando il grande schermo di una sala è un ricordo lontano quasi tre mesi. Ma il cinema fortunatamente non si ferma. Ha cercato altri modi di arrivarci accettando il compromesso dello streaming on demand che spesso aveva vituperato senza vere ragioni se non quelle più prosaicamente commerciali. Il cinema è, però, il racconto di una favola. Che può divertire e appassionare. O far piangere e riflettere. Perché non ci sono quelle a lieto fine permeate di tinte pastello. Ma anche cupe e grigie. Come quelle di Favolacce.

Sogni sospesi in attesa di incubi
Scritto e diretto dai fratelli gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, Favolacce è una delle tante vittime indirette del lockdown dovuto alla pandemia. Il film sarebbe dovuto arrivare in sala il 16 Aprile, ma la chiusura forzata dei cinema ne ha dirottato l’uscita sul circuito on demand. Castrando inevitabilmente gli incassi e la diffusione di quella che sarebbe stata una probabile scelta ideale per spettatori alla ricerca di prodotti di raffinata qualità. Marchio che questa opera seconda dei due fratelli romani poteva esibire grazie all’Orso d’Argento per la sceneggiatura vinto alla Berlinale.
Premio sicuramente meritato. I fratelli D’Innocenzo hanno all’attivo solo un altro film (il pregevole La terra dell’abbastanza) e la prestigiosa collaborazione alla sceneggiatura del Dogman di Matteo Garrone. Ma sono anche autori di una raccolta di poesie pubblicata dalla casa editrice La nave di Teseo. Particolare questo non secondario poiché suggerisce quella che è la cifra stilistica di questo Favolacce. Un film che non rifugge da una realtà cruda e respingente, ma lo fa immergendola in una poetica atmosfera sospesa e quasi onirica. Come quella di un sogno sbagliato dove si è costantemente in attesa di capire se svanirà nell’aria sottile lasciando un ricordo piacevole o si trasformerà in un incubo da dimenticare in fretta.
Complice anche una fotografia calda e al tempo stesso innaturale che sfuma i colori e le immagini coprendole di un velo malinconico. Tutto in Favolacce è sospeso tra il brutto e il bello, tra la verità e la menzogna, tra il gioco e la tragedia. Ogni personaggio, situazione, dialogo, scena mostra un volto rassicurante per celare un viso deturpato che inevitabilmente arriva a sconvolgere le certezze di un attimo prima rivelando l’amarezza della realtà.
Favolacce è un film fatto di sogni illusori messi in scena oggi per proteggerci dalla paura di incubi che arriveranno domani.


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Un coming of age senza coming of age
Il cast di Favolacce è ricco di adolescenti (in età da prima media) che si prendono ruoli da protagonisti al punto che il film si può senza difficoltà inserire nel ricco genere denominato coming of age. Opere in cui la storia segue un gruppo di ragazzini che stanno compiendo il difficile passaggio dall’essere bambini spensierati a piccoli adulti alla scoperta dei primi sentimenti. Una descrizione che sommariamente si adatta anche al film dei fratelli D’Innocenzo. Con la sola ma sostanziale differenza che questo coming of age resta interrotto.
E non può che essere così perché i modelli di riferimento per i ragazzi sono assenti e distanti o presenti e fuorvianti. Genitori che fingono una quiete familiare pronta ad esplodere in mille schegge acuminate alla prima parola di troppo. Ragazze cresciute troppo in fretta che non sanno chi essere, cosa volere, che desiderare. Adulti che indossano le maschere dei bravi vicini in cene di gruppo e feste private per poi sparlare della stessa persona a cui hai appena detto grazie. Professori amichevoli che diventano cattivi maestri solo per sfogare la rabbia repressa contro la falsa cortesia di colleghi e superiori.
Eppure, in questo mondo così fasullo, proprio quei ragazzi provano a portare sparuti momenti di poesia e verità. Dennis e la voglia di crescere provando il sesso per poi scappare perché è troppo presto. Alessia e il desiderio di mostrarsi sicura di sé quando poi basta poco per piangere di nuovo. I silenzi di Viola che si sciolgono in sorrisi improvvisi prima di affogare nel suo mondo interiore. Le gioie semplici di Geremia che riescono a vincere la sua condizione di emarginato. L’amicizia che potrebbe nascere proprio tra Viola e Geremia perché i più deboli possono essere forti se si uniscono insieme.
Fiori flebilmente attaccati ai loro esili steli che aspettano di schiudersi trionfalmente. Se solo queste fossero fiabe e non favolacce.


Un mondo di borgata
E d’altra parte sarebbe davvero difficile far fiorire speranze nel mondo di Favolacce. La fiaba nera dei fratelli D’Innocenzo vive geograficamente tra le villette unifamiliari di Spinaceto, complesso residenziale a 1 km dal Grande Raccordo Anulare. Costruito negli anni sessanta, il quartiere ha un aspetto esteriore piuttosto rassicurante con le case costruite ai lati delle due strade principali e i negozi nelle vie di collegamento separate da grandi viali alberati. Una periferia diversa da quella degradata vista in tanti film simili, ma che non riesce a sottrarsi all’appellativo di borgata che ne marca il carattere.
I suoi abitanti sono, infatti, vittime degli stessi mali endemici di chi è costretto a restare ai margini di quel benessere il cui profumo può solo annusare da lontano. Disoccupazione, precariato, lavori umili son l’humus che rende la terra fertile solo di insoddisfazione e malcontento. Un terreno dove a crescere possono essere solo inquietudine e ansia, paura del domani e disgusto del presente, voglia di fuggire verso un domani solo immaginato e rassegnata disperazione di fronte a un presente che cancella ogni sogno.
Favolacce dipinge esseri umani che sembrano aver smarrito la propria umanità. E che questa perdita hanno accettato con ineluttabile decisione al punto da nascondere anche i sentimenti più spontanei per non dover calare la maschera che con tanta fatica hanno imparato a portare. Esemplare, in questo senso, la scena finale di un Elio Germano che sfrutta il poco tempo concessogli dalla sceneggiatura per indossare con convincente naturalezza i panni di un personaggio difficile. Una prova magistrale incastonata in una corona che riluce delle ottime interpretazioni di tutto il cast con Gabriel Montesi e i vari ragazzi (Tommaso Di Cola, Giulia Melillo, Justin Korovkin, Giulietta Rebeggiani) a brillare maggiormente.
Favolacce è un film duro e poetico, respingente e affascinante. Come la voce narrante di Max Tortora sottolinea, erano storie sbagliate che forse non si dovevano narrare perché alla gente non interessano. Ma che, invece, proprio per questo devono essere portate sullo schermo perché il cinema non è e non deve essere solo quello delle fiabe. Ci sono e devono esserci anche le Favolacce.
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