
Equals: la Recensione del film a Venezia 72
Essere o non essere… questo è il problema.
In fin dei conti sembra parta proprio da qui il regista Drake Doremus per il suo Equals, film fantafuturistico a prima vista facilmente catalogabIle nei “deja-vu”, con evidenti richiami ad altre pellicole del genere, Gattaca e The Island su tutte. Ma in realtà c’è di più, o almeno ci prova.
In un futuro non ben precisato si intrecciano le vite di Silas (Nicholas Hoult) e Nia (Kirsten Stewart), due colleghi di lavoro per la rivista scientifica Atmos, che all’interno di un mondo artificialmente perfetto, senza guerre né malattie, si troveranno loro malgrado a vivere un amore impossibile e in pieno contrasto con i regolamenti della società.
Infatti nel mondo degli”uguali” non sono contemplate le emozioni, inibite fin dalla nascita e controllate per il resto della vita dal Collettivo e da una sorta di Minstero della Salute, pronti a punire con trattamenti farmacologici o addirittura con ricoveri forzati in un misterioso “Covo” chiunque sia affetto da una malattia denominata SOS (SWITCHED-ON SYNDROM, sindrome dell’accensione) causa del risveglio delle emozioni.
L’inaspettata gravidanza di Nia sancirà la definitiva uscita dalla clandestinità dell’amore con Silas e tra situazioni drammatiche ed equivoci dal sapore Shakesperiano si troveranno di fronte alla scelta tra fuggire per sempre incontro all’amore in una non ben precisata Penisola, o rimanere ma da “Uguali”.
Come detto Equals non ha particolari picchi di originalità, né nello script né nello sviluppo, tanto meno nelle ambientazioni asettiche, fredde e pseudoapocalittiche dei più classici cliché distopici.
Il tentativo di Doramues però è diverso, coraggioso ai limiti dell’autolesionismo, ma forse proprio per questo comunque apprezzabile.
Anzi, addirittura ciò che non serve viene sfumato per concentrare lo sguardo dello spettatore esclusivamente sui dettagli, il “futuro” diventa solo un contorno ininfluente che non si percepisce se non di sfuggita, e le musiche ricercate e gradevoli, un po’ stile Gravity, pur dando a volte l’impressione di non trovarsi al posto giusto e nel momento giusto, impreziosiscono comunque le sequenze.
Tentativo dicevamo. Che poi il risultato ci sia è tutto da vedere.
Nella scelta di Doremus infatti ci sono delle insidie notevoli da cui, purtroppo, non ha saputo mettersi al riparo; infatti la linea che separa il “volutamente freddo” dalla “ non voluta noia” è molto sottile, e purtroppo inevitabilmente lo spettatore rischia di caderci in pieno.
Kirsten Stewart e Nicholas Hault fanno gli “straordinari” e se la cavano egregiamente, dovendo sobbarcarsi praticamente tutta l’ora e mezza del film con la telecamera sempre addosso e con aggressivi primissimi piani costanti e senza tregua.
Senza infamia e senza lode quindi questo Equals, sempre in bilico, come il regista e i protagonisti, tra “essere e non essere”. Purtroppo, questo è il problema.