
Emerald City: recensione degli episodi 1.01 – The Beast Forever e 1.02 – Prison Of The Abject
Dopo tanti anni di telefilm e recensioni, c’è una cosa che il recensore impara a riconoscere d’istinto e questa è il profumo di trash. A volte non serve neanche vedere un episodio, a volte basta guardare il trailer per sentirne l’aroma; ed è inutile negarlo, il trailer di Emerald City ne era saturo.
Capolavori trash come Under the Dome e Revenge ci hanno però insegnato che ci sono varie sfumature di trash: c’è quello entusiasta, inconsapevole, baldanzoso che può regalare un vero godimento dell’assurdo e poi c’è quello pasticciato, insicuro del suo potenziale e fondamentalmente noioso. Se si incappa nel primo si può provare della vera gioia, ma se si incappa nel secondo la delusione sonnolenta sarà letale.
In che categoria ricade Emerald City? Per quanto mi riguarda nella seconda. Ottanta minuti per un pilot sono tantissimi. E’ vero che a volte quaranta minuti non bastano, ma in questo pilot eterno Emerald City riesce subito a mettere ben a fuoco tutto quello che disastrosamente non funziona. Non sorprende molto venire a sapere che il progetto ha avuto un’origine molto travagliata e che già solo pochi anni fa la NBC lo aveva cancellato dal suo calendario bocciandolo seccamente. Perchè allora resuscitarlo? Solo i capoccioni della NBC lo sanno… per quanto mi riguarda avrebbero fatto bene a non ritornare sui loro passi.
Difficile capire per chi non sia esperto (io ne conosco la trama solo a grandi linee) quanto di quello che è finito nel telefilm faccia davvero parte del racconto fantastico di Frank Baum, che da solo conta numerosissimi capitoli della saga di Dorothy, i quali sono poi stati adattati e riadattati in mille modi diversi; basti solo pensare ai vari musical.
Quello che è chiaro è come gli autori abbiano voluto dotare la storia di un deciso tono dark, nella evidente convinzione, condivisa ahimè da molti, che l’unico modo per modernizzare storie simili sia quello di farle assomigliare il più possibile a Games of Thrones. L’avete notata la scena di orgia PG-13 nel bordello della Strega dell’Ovest?
E quindi via di massacri, tribù selvagge, torture, magia nera e maneggi politici. Tutto questo con il grave rischio di cadere in stereotipi di genere che hanno ormai stufato in tutti i modi.
Protagonista bella e fiera? Ce l’abbiamo. Strega disadattata e procace che si droga (e manda pure avanti un bordello)? Anche. Cattivo maneggione che tesse intrighi politici? Daje. Manzo sanguinario con qualche turba? Pure.
E tutto questo sommato a numerose sotto trame che per ora confondono soltanto (i ragazzini in fuga) o peggio ancora annoiano (i soldati di Oz con accento inglese).
Una protagonista espressiva come una ciabatta
Ma partiamo da quello che secondo me è il vero punto dolente: la nostra protagonista. La piccola Dorothy in questa versione televisiva ha guadagnato tanti anni, a sufficienza per trasformarsi in una giovane bella e tormentata. In pochi minuti gli sceneggiatori ci sommergono di informazioni per farci capire che è drammaticamente orfana (fino a quali profondità si spingerà la storyline della madre?), che è una capace e compassionevole infermiera, che ha tresche focose con un collega ma è emotivamente distante, che ruba farmaci per i genitori e che sogna che nella vita ci sia un qualcosa di più. Non aiuta il fatto che Adria Arjona nella parte sia totalmente pessima. L’unica espressione di Dorothy è quella “leggermente costipata”. Che indossa in ogni occasione mentre, vittima di qualsiasi tipo di eventi, viaggia ben accompagnata per Oz. Non mettiamoci neanche a parlare della manzaggine gratuita dello spaventa passeri crocifisso e dell’istantaneo feeling perché ci faremmo del male. Il dialogo del giochino del tock tock è simbolico e semplicemente grottesco.
E’ proprio tutto da buttare in Emerald City?
Dialoghi smorti, recitazioni approssimative (salvo Vincent D’onofrio che fa il Fisk di Oz e Ana Ularu che nella sua parte tagliata con il macete è l’unica a mostrare un po’ di vita), una trama politica noiosa, una colonna sonora a tratti assurda e una protagonista debole… è quindi proprio tutto da buttare in OZ?
Ovviamente no. Se non siete ciechi non avrete potuto fare a meno di notare lo spettacolo visivo che la serie offre. E non c’è da meravigliarsene perchè la direzione artistica è affidata a Tarsem Singh, che ne dirige anche tutti i dieci episodi della prima stagione. A Singh si devono meraviglie visive come The Cell e The Fall e il suo tocco è innegabile nella scelta delle ambientazioni e dei colori. La CGI è poca e ben dosata e questo va a grande vantaggio della serie che sfoggia paesaggi spagnoli e attinge a piene mani allo stile di Gaudì per le architetture della città di smeraldo che è davvero bellissima. La tortura nel fango dei colpevoli di aver usato la magia mi ha impressionato parecchio e anche l’idea delle scimmie volanti steam punk non è male.
Anche i costumi sono davvero notevoli e se siete stati attenti non avrete potuto fare a meno di pensare a Guerre Stellari (i brutti capitoli della seconda trilogia) visto che si tratta proprio la stessa costumista, Trisha Biggar. Quello bianco della strega sembrava rubato dal guardaroba di Amidala.
Purtroppo gli aspetti positivi per me si fermano qui e sono un po’ poco. Peccato!
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