
Dublin Murders: recensione della serie tratta dai libri di Tana French
Premessa: questa recensione di Dublin Murders contiene spoiler importanti sul finale della serie
Una delle specialità inglesi, oltre agli scones e ai fish & chips, sono i telefilm crime di atmosfera piovosa. Quelli che, tra cieli grigi, scenari spettacolari e piccoli borghi solo in apparenza tranquilli, mettono in scena i delitti più efferati, indagati da detective dalla determinazione incrollabile che, per arrivare alla verità, si troveranno a rischiare la vita. O come minimo la sanità mentale.
Orfani di Broadchurch, nostalgici di Luther, quest’anno la BBC ci fa dono di Dublin Murders, una serie di otto episodi tratta dai libri di Tana French che compongono una serie antologica dedicata alle indagini degli agenti della polizia di Dublino. Likeness e In the Woods (i primi due romanzi della serie che presentano due indagini distinte) vengono così costretti insieme per garantire una trama più densa e uno sviluppo più polposo dei personaggi.
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Dublin murders e quelli che rimangono indietro
Sono loro i fortunati? Quelli che sfuggono agli incidenti, quelli che la morte sfiora soltanto per poi rivolgersi ad altri. O sono invece degli scarti? Rimasti indietro perchè non voluti, perchè difettosi?
Questo è l’interrogativo che tormenta i due protagonisti di questa serie. Rob Reilly e Cassie Maddox. Adam e Lexie. Due detective che hanno scoperto l’uno nell’altra un’ instabile anima affine; entrambi, infatti, a causa di un evento traumatico del passato, hanno visto la morte in faccia e ne sono usciti cambiati per sempre.
Cassie è l’unica sopravvissuta di un incidente stradale che ha ucciso i suoi genitori e che, per pura sopravvivenza, l’ha spinta a creare una sorta di alter ego più forte e spregiudicato di lei, quella Lexie che usa anche nelle sue missioni sotto copertura. Mentre Rob, quando era solo un ragazzino e il suo nome era Adam, è entrato in un bosco con due amici ed è stato l’unico ad uscirne, traumatizzato e senza memoria. Per lasciarsi tutto alle spalle ha cambiato nome e si è creato una nuova identità pulita e rispettabile.
Entrambi dei sopravvissuti. Entrambi fratturati in due e destinati a capire che quello che si spera sepolto e dimenticato è destinato a tornare a galla e a portare distruzione.


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Il passato si infiltra nel presente
E’ l’omicidio di Kathy, una giovane e promettente ballerina, a portare scompiglio nelle vite dei due protagonisti. Knocknaree e il suo bosco sono gli stessi che hanno assistito alla tragedia di Adam e dei ragazzini scomparsi 20 anni prima e così Rob, che tiene la sua vera identità ben nascosta, si immerge nell’indagine convinto che finalmente, sbrogliando questo mistero, risolverà anche quello del suo passato.
Sono i due detective il centro di questa storia, più di quanto lo siano le indagini. Rob e Cassie sono il motore degli eventi e questo aiuta a non dover trascinare troppo le indagini passando da un improbabile sospetto all’altro. Giochino che è spesso stato il punto debole di alcune di queste serie crime.
Ma il faro puntato su di loro rende un po’ dubbia la decisione a metà serie di separarli e gettarli su due percorsi separati.
L’indagine di Cassie, che si trova di fronte al cadavere di una donna identica a lei, richiede un po’ troppa sospensione dell’incredulità. La sua missione sotto copertura tra un gruppo di ragazzi viziati e sbandati appare poi un po’ forzata e ha la colpa di distrarre l’attenzione dall’indagine principale che è molto più interessante e affascinante.
Le due linee narrative servono a portare i protagonisti su due percorsi paralleli di distruzione e rinascita, ma tolgono equilibrio e ritmo alla trama. La stessa relazione burrascosa tra Rob è Cassie è piena di gesti plateali e drammatici twist un po’ telefonati che male si rapportano ai toni più pacati messi in scena nelle prime puntate.


Per Dublin Murders un finale aperto che fa discutere
Se da un lato l’indagine nel presente viene risolta in modo fin troppo pulito, con la rivelazione di un colpevole lucido e freddo che ha gli improbabili tratti di un Hannibal Lecter in gonnella, sorprende invece la scelta di lasciare totalmente inspiegati gli eventi degli anni ’80. Una decisione narrativa coraggiosa e secondo me vincente, considerato che difficilmente una spiegazione razionale sarebbe stata all’altezza delle aspettative costruite in otto episodi.
Sia il protagonista che noi telespettatori ci troviamo davanti all’incompiutezza della vita che troppe volte ci lascia senza spiegazioni o risposte certe. Come Rob, anche noi dobbiamo accettare la possibilità che mai sapremo quello che è accaduto realmente quella notte. La scelta di mettere in scena un alone di mistero mistico e folkloristico è un di più che non aggiunge nulla alla storia.
Il giudizio finale su questi Dublin Murders è positivo, per una serie che coinvolge e trascina inesorabilmente fino all’ultimo episodio; resta, però, l’amaro in bocca per alcune scelte un po’ grossolane della sceneggiatura e per alcuni squilibri narrativi causati, come detto, dalle indagini parallele.
Per quanto riguarda l’apparato tecnico, si va con il pilota automatico con fotografia, atmosfere e ambientazioni che risultano curate e di qualità, come anche la regia. Molto convincenti anche le interpretazioni dei protagonisti, soprattutto quella di Killian Scott con il suo tormentato Rob, ma avrei preferito che a Sarah Greene fosse dato un materiale migliore visto che il suo personaggio risulta a volte un po’ stereotipato. Una bella sorpresa è ritrovare Conleth Hill (Games of Thrones) nel ruolo di capo della polizia che pur con poche scene non manca di mostrare tutta la sua bravura e il suo carisma.
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