
Drive to Survive 2: Drammi e motori vanno a braccetto. Seconda stagione docu-serie Netflix
L’avevo detto l’anno scorso e non posso che ripetermi ancora una volta: Drive to Survive, la docu-serie Netflix sulla Formula 1 giunta alla sua seconda stagione, è il mezzo perfetto per comprendere a fondo uno sport come la Formula 1. Capire come in realtà si tratti di un gioco fatto di potere, di denaro e di privilegi. Non è soltanto il desiderio di vincere di un pilota, non è la mera competizione tra le scuderie o un bilancio sul chi abbia la macchina più performante. I fattori in gioco sono tanti e le parole di Christian Horner non potrebbero essere più veritiere: se sono abbastanza in gamba imparano a nuotare, altrimenti…
È su quell’area grigia, su quell’altrimenti, che si concentra quest’anno la stagione 2 di Drive to Survive, che per il secondo anno consecutivo mette a nudo gli scenari che muovono gli ingranaggi di quella complessa e costosa macchina che è la Formula 1.
Guarda qui il trailer della seconda stagione!


Un campo di battaglia a 4 ruote
Se si dovesse cercare di riassumere la stagione 2019 di Formula 1 si potrebbe definirla un giro sulle montagne russe. Mentre il mondo della tecnologia continua ad evolversi, lo stesso fanno le auto delle scuderie, che sfruttano quei mezzi all’avanguardia per la velocità e per l’analisi. Nella stagione 2 di Drive to Survive abbiamo visto come anche un analista sia indispensabile per trovare i difetti di una vettura e quanto disastroso possa rivelarsi il risultato qualora fallisca nel suo compito.
Più tecnologia, naturalmente, vuol dire necessariamente più soldi. Ogni millesimo di secondo vale denaro nel mondo della Formula 1. Per questo un pit-stop che faccia perdere tempo è una tragedia e un’ala frontale persa durante uno scontro in gara fatale. I pezzi che si incastrano per alimentare quella grossa bestia che è la Formula 1 non hanno periodi di saldi, non fanno sconti a nessuno, ed i primi ad averlo imparato sono i piloti.
Al centro di tutto quello che ruota intorno alle scuderie, ai capi e agli investitori ci sono infatti loro. Sono l’imbuto finale, per usare le parole di Lewis Hamilton, che incanala gli sforzi, la fatica e il lavoro di migliaia di persone e li restituiscono in un arco di tempo minimo, sperando di non commettere errori. Sono quasi delle divinità, per le quali errare non è umano e non è ammissibile. Quando non sei in grado di gestire tutto il potere che hai nelle tue mani sei out, sei fuori.
Meno linearità e più rivalità imposta
A differenza dello scorso anno, Drive to Survive 2 perde la linearità che l’aveva caratterizzata. Pur focalizzandosi sui singoli piloti e le loro storie, il background delle loro famiglie e delle rispettive scuderie, la docu-serie di Netflix era stata in grado di dare una visione globale della stagione sportiva appena trascorsa. C’era stato un incipit, un racconto, una fine. Stavolta questa consequenzialità si sacrifica per dare maggiore centralità alle tematiche e ai confronti singoli tra piloti e scuderie.
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Una scelta coraggiosa, che purtroppo non riesce a ripagare lo sforzo filosofico che c’è alle spalle di questa decisione. Sebbene appaia evidente il collegamento tra vari piloti, le gare selezionate per metterli in risalto e per spiegare la loro rivalità, il salto continuo da una gara all’altra, spesso senza spiegarne la consequenzialità o l’importanza, confonde lo spettatore ignaro di come si siano svolti effettivamente gli eventi. Guardo la gara in cui Lewis Hamilton diventa campione del mondo ma non ho la più pallida idea se sia la prima, la quinta o la dodicesima. Vedo la competizione tra Vettel e Leclerc, con i suoi devastanti risultati, in Brasile ma non so che è una gara successiva alla vittoria di Monza.
Il bello di una serie tv così attenta al particolare, così esplicativa come ha saputo diventare Drive to Survive, è che posso anche essere un novellino e non sapere nulla di questo sport ma riuscirò comunque a comprenderlo. Purtroppo in questa stagione manca la chiarezza narrativa dell’anno passato, e si sente.


Il ritorno di Mercedes e Ferrari (con la coda fra le gambe)
Potrei dire che sorprende l’insight nei box della Mercedes e della Ferrari, che tornano con il capo cosparso di cenere per la seconda stagione dopo aver appurato il successo e l’utilità della prima. Sono convinta che Toto e Binotto abbiano maledetto più di una volta i capi marketing delle proprie scuderie per essersi lasciati scappare una simile occasione per visibilità e prestigio. Anche se i soldi (offerti) probabilmente non erano abbastanza.
Resta apprezzabile la scelta, forse volutamente snob, della Netflix di dare poco spazio ad entrambe le case automobilistiche. Se Drive to Survive era nato con l’obiettivo di mostrare l’altra faccia dello sport, quella fatta di fatica e sofferenza e lotta continua, era corretto che continuasse come tale.
Ciò non toglie il piacevole finestra dalla rivalità tra Vettel e Leclerc, la giovane promessa monegasca che dall’anno scorso è il secondo pilota della scuderie del cavallino, oppure dalla calma quasi buddista di Hamilton, che dimostra la propria umiltà nonostante sia un sei volte campione del mondo. Ma ancora una volta loro non sono che la vetta di una macchina più complessa e più articolata, l’imbuto di sforzi e fatica che nessuna gara in tv potrà mai mostrare fino in fondo.
…e gli altri piloti?
Tralasciando i campioni del mondo, il palcoscenico è nuovamente concesso ai piloti meno “fortunati“, di quella fetta di competizioni che esula dalla rivalità tra Ferrari e Mercedes (e, includerei io, RedBull). Se Ricciardo e Carlos Sainz Jr. erano stati i protagonisti indiscussi della scorsa stagione (di Netflix e automobilistica in generale) quest’anno i riflettori sono puntati su Pierre Gasly, Nico Hulkenberg e Alexander Albon. Gasly, che non riesce a performare come dovrebbe nella scuderia principale della RedBull, si vede retrocesso (nuovamente) alla Toro Rosso, senza se e senza ma, mentre Horner da una possibilità ad Alex Albon, il pilota con radici anglo-tailandesi già riconfermato come spalla di Verstappen per questa stagione 2020.
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Proprio come la prima stagione di Drive to Survive aveva dato risalto al percorso personale e professionale di Ricciardo (che anche stavolta non manca di risplendere, con la divisa gialla della Renault), è il suo compagno di squadra Nico Hulkenberg ad ottenere le simpatie del pubblico. Un pilota onesto, corretto, purtroppo sfortunato. Sapere che non ha mai ottenuto un podio, nonostante i diversi anni di carriera, e vederlo arrivarci vicinissimo nell’episodio 8 Musical Chairs avrebbe commosso anche il più duro dei cuori di pietra.
Non dissimile è l’emozione provata per la storia “da cenerentola” di Alex Albon, che arriva nel team principale della RedBull con un bagaglio di sogni e speranze, riuscendo in quello che tutti i piloti della Formula 1 in realtà sognano fin dall’inizio: avere la possibilità di dimostrare quanto valgano.
Grandissimi assenti Lando Norris e Antonio Giovinazzi, giovani promesse rispettivamente della McLaren e dell’Alfa Romeo Racing. Un peccato non aver potuto approfondire anche le loro motivazioni e la loro storia – per cui resta naturalmente spazio nella prossima – già confermata – stagione. Per fortuna abbiamo avuto un seppur brevissimo momento con Kimi Raikkonen (un genio indiscusso): Tanto per me è solo un hobby, posso fare quello che mi pare… Ah beh, se lo dici tu Kimi!


I burattinai e le marionette: i veri protagonisti di Drive to Survive 2
Quello che però ha continuato a colpirmi maggiormente è stato lo spazio dedicato ai capi di scuderia. Proprio come nella prima stagione anche in Drive to Survive 2 l’ho trovato un momento stimolante e mai scontato, in grado di raccontare il mondo della Formula 1 non come lo sport appassionato ed appassionante che fa battere il cuore di migliaia di spettatori ma, piuttosto, come un business con specifici KPI da raggiungere e i mezzi per farlo come unico interesse. I burattinai che muovono le fila di questo grande spettacolo non sono altro che i capi scuderia. Horner, Toto, Steiner, Brown, Claire Williams… è rinfrescante scoprire cosa succede nella loro testa.
Se da un lato c’è l’arroganza (motivata) di Toto Wolff e i suoi campionati sempre sulla cresta dell’onda, dall’altra c’è un approccio molto più brutale di Christian Horner, che non esita a liquidare Gasly dopo un paio di gare ed errori da lui giudicati imperdonabili. Personalmente ritengo che i migliori capi scuderia siano Steiner per la Haas e Cyril Abiteboul per la Renault. Credo che entrambi siano consapevoli di non avere le risorse per rivaleggiare con le squadre in vetta alla classifica ma sono in grado di farsi bastare quello che hanno e ottenere comunque i migliori risultati sperati. Sono degli eroi, nel loro piccolo, e li ammiro tantissimo per questo motivo.
L’unica donna del complesso mondo della Formula 1 tratteggiato da Drive to Survive 2 è invece Claire Williams. Ammiro il fatto che non abbia temuto il confronto con i propri colleghi uomini ma è evidente che, purtroppo, sia l’anello debole della catena. Non so se è il motivo per cui la Williams sta andando così male negli ultimi anni ma è certo che su questo binario non potrà andare lontano nell’immediato futuro.
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Spazio all’emotività e al sentimento
Uno degli aspetti più interessanti e toccanti di questo racconto fatto di motori e sfide è stato senza dubbio rappresentato da due tragiche scomparse. Entrambe hanno avuto in qualche modo peso sul mondo delle corse più in generale e sui piloti della Formula 1 nello specifico. Primo fra tutti il giovane Pierre Gasly, che ha perso in una corsa di F2 il suo amico di lunga data Anthoine Hubert. Quest’ultimo ha perso la vita il 31 agosto durante la gara a Spa-Francochamps, gettando l’intero mondo delle corse in uno stato di profonda angoscia.
Simbolo delle speranze di tutti i i giovani piloti, che corrono con la speranza di sedere un giorno nella monoposto della gara principale, Anthoine non è stato soltanto un pilota che ha perso la vita. Molto di più, è stato molto di più.
Altro grande lutto dell’anno appena trascorso è stato sicuramente la scomparsa del grande campione Niki Lauda. Una leggenda, da anni un pilastro della vincente Mercedes. Un mentore per Hamilton, che grazie a lui non solo aveva scelto la Mercedes ma anche la propria strada di pilota.
Questi devastanti lutti hanno dato un’umanità diversa alla seconda stagione di Drive to Survive. Perchè quello che traspare in maniera evidente da questi devastanti momenti è che, prima di tutto, i piloti sono persone come noi e che la loro vita è effimera proprio come la nostra.


Una stagione 2020 che si prospetta straordinaria
Mentre le prime gare della stagione 2020-2021 sono state sospese, rimandate o già cancellate a causa del coronavirus e della pandemia globale, non possiamo che iniziare a guardare con ansia al calendario e domandarci cosa ci riserverà questa nuova stagione di gare e di sfide. Una cosa possiamo saperla per certo: proprio come sarà emozionante seguire le gare sarà bellissimo aspettare Drive to Survive 3 per scoprirne tutti, ma proprio tutti i retroscena.