
Doctor Who: Il Dottore è morto, lunga vita al Dottore! Recensione speciale di natale 2017
Doctor Who dice addio ad uno dei Dottori più sottovalutati degli ultimi anni, Peter Capaldi. Dice addio anche al più controverso, amato e odiato insieme sceneggiatore degli ultimi tempi: Steven Moffat. Per motivi diversi, ci mancheranno entrambi. Ma come disse il caro vecchio Eleven, Times change and so must I.
Peter Capaldi, ancora una volta, prende in mano una sceneggiatura piacevole ma solo a tratti brillante e la usa per trasformare il suo Dottore in qualcuno di cui si sentirà la mancanza. Per l’ultima volta riesce a dare quel qualcosa in più che negli ultimi anni di Doctor Who è sempre mancato. Il suo addio poteva essere pensato molto meglio: il confronto con le precedenti rigenerazioni non regge. Per Tennant fiumi di lacrime, per Smith anche. E qui abbiamo un Dodicesimo che parla al Tardis, alla sua versione futura con tante belle parole, anche commoventi, ma alla fine di tutto resta un po’ di amaro in bocca. Si potrebbe dire che il saluto al Dodicesimo parta da lontanissimo, già dal finale della decima stagione. Forse non siamo abituati ad una rigenerazione così mesta.
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Twice Upon A Time basa la sua essenza sulle gag tra i vari personaggi: il Primo Dottore, interpretato splendidamente da David Bradley, è pensato appositamente per interfacciarsi con Bill, riportata in vita sottoforma di memoria per poter essere il manifesto vivo e pulsante del cambiamento perenne che è Doctor Who. Di contorno c’è Il Capitano, un Mark Gatiss che non poteva mancare nell’ultimo episodio di Steven Moffat. Il classico soldato nel bel mezzo di una guerra insensata, un tema carissimo al suo amico Moffat che non molla neanche nel suo ultimo copione.
Andare oltre la trama per comprendere questo speciale di Doctor Who
La puntata in sè è molto particolare. Per la prima volta non c’è nessun piano malvagio. Lo stesso Dottore ad un certo punto è spiazzato. Se non c’è un piano malvagio, lui non ha niente da fare. Lui, che si è affermato inconsapevolmente come deus ex machina che interviene quando l’equilibrio tra il bene e il male oltrepassa uno dei due limiti. Lui che corre continuamente e non può avere pace, anche se la vorrebbe. Un essere incapace di essere contenuto nei corpi di vetro della Testimonianza, perché ha più ricordi che cellule nel corpo. La bellezza di questo Twice Upon A Time è tutta qua: capire che è un episodio fuori dagli schemi, che si concentra per una volta non su quello che succede fuori ma su quello che sta succedendo all’interno del Dottore. Con la giusta metafora anche per quello che sta succedendo a tutta la serie, certamente.
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Il Dodicesimo è messo faccia a faccia con il suo primo volto, anche lui in lotta con la sua rigenerazione. Per il Primo è un evento nuovo, è il cambiamento che sa di sconosciuto e quindi è rifiutato. Nè lui nè il Dodicesimo sanno che c’è un mutamento in arrivo ben più importante: il primo cambio di sesso della storia del Dottore. Anche qui, c’è aria di rifiuto. Il mondo cambia, e così Doctor Who. Con buona pace di chi non ci sta, con buona pace di chi in questi ultimi anni non ha salutato di buon grado tutti quegli indizi disseminati nel percorso fino ad oggi che indicavano che “il futuro è tutto al femminile“. Può essere giusto, può essere sbagliato. Lo si può accettare o rifiutare, ma è tutto fatto. L’essenza del Dottore, anzi l’essenza stessa di Doctor Who è il perenne e costante cambiamento. E quando ci si trova di fronte ad un’alterazione così drastica, che va oltre alla sostituzione dell’intero team di produzione della serie, è ovvio essere spaventati o disorientati.
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Persino il Tardis, negli ultimissimi secondi, sembra spaventato dall’arrivo di Jodie Whittaker. Sembra quasi che la sputi via a forza, incapace di riconoscere il suo Dottore. Come lo era Clara quando improvvisamente il suo Dottore divenne vecchio. Come lo era Rose quando si trovò davanti un giovanissimo Dottore che non era quello che aveva incontrato. E così via, a ritroso nel tempo.