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Death Note: la doppia recensione del film di Netflix

Titolo: Death Note

Genere: horror, crime

Anno: 2017

Durata: 101min

Regia: Adam Wingard

Sceneggiatura: Charley Parlapanides, Vlas Parlapanides, Jeremy Slater

Cast principale: Nat Wolf, Margaret Qualley, Keith Stanfield, Shea Wingam

Non è semplice. Molto spesso gratificante quantomeno dal punto di vista economico, ma comunque complesso e a forte rischio di bocciatura. È questa la croce e delizia di chi decide di adattare per il grande schermo una storia prodotta per un medium diverso nella speranza manifesta che tanto basti a convincere i fan dell’originale ad affollare le sale (virtuali in questo caso) dove il film verrà proiettato. È tanto più pericolosa una simile operazione commerciale quanto più famosa è l’opera originale. Come è il caso di Death Note, versione in carne e ossa del popolarissimo manga omonimo (da cui è stato già tratto un altrettanto famoso anime).

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Dal fumetto e dalla tv al cinema

Ideato e scritto da Tsugumi Oba e disegnato da Takeshi Obata, Death Note nasce come un manga pubblicato a puntate dal Dicembre 2003 al Maggio 2006 per diventare poi un anime andato in onda in Giappone da Ottobre 2006 a Giugno 2007.

La storia di Light Yagami e del quaderno della morte piovuto dal cielo, dello shinigami (dio della morte) Ryuk e del serial killer Kira, della imprevedibile Mia (Misa nell’originale manga) e dell’intelligente L travalica presto i confini nipponici per diventare un successo planetario (arrivando anche in Italia dove è trasmesso da MTv nel 2008).

Inevitabile che una fan base tanto ampia finisse per ingolosire il cinema sempre alla ricerca di facili occasioni per un potenzialmente successo. A raccogliere la sfida sono la Vertigo Entertainment che affida il film alla regia di Adam Wingard e Netflix che lo distribuisce online.

Accompagnato subito dalle accuse di whitewashing per la scelta di ambientare la storia a Seattle, occidentalizzando quindi tutti i protagonisti di una storia nata ed intrisa di oriente, il film deve necessariamente passare sotto le forche caudine del confronto con l’anime originario. Il giudizio del singolo spettatore sarà, quindi, legato al suo conoscere o meno il prodotto di partenza per cui noi di Telefilm Central abbiamo pensato di fornirvi una recensione doppia mettendoci nei panni di chi non sa o di chi sa cosa sia in realtà Death Note.

Death Note visto da chi non conosce Death Note

Spostare il film da Tokyo a Seattle era già una implicita ammissione: Death Note (il film) non vuole essere Death Note (il manga e l’anime).

Viene da chiedersi, quindi, cosa è questo prodotto. E la risposta a questa domanda non è completamente lusinghiera. Perché la storia di Light Turner e del quaderno su cui basta scrivere il nome di una persona nota per assicurarsi che morirà per mano del demone Ryuk non è pienamente riuscita. Al contrario, le indubbie potenzialità che una simile premessa offrirebbe vengono trattate in maniera spesso superficiale e sempre con troppa fretta. A stonare non è il punto di partenza con Light, tipico studente tanto intelligente quanto emarginato sullo sfondo del più stereotipato dei licei americani, ma piuttosto il suo istantaneo trasformarsi in una macchina di morte, mosso da una filosofia estremista secondo cui l’unico criminale buono è quello morto.

Paradossalmente, questo atteggiamento si sposa bene con una società come quella statunitense, dove ancora è vivo il mito del giustiziere solitario che nell’ombra ripara i torti, punendo i colpevoli senza offrire possibilità di redenzione alcuna. Tuttavia, il delirio di onnipotenza di Light e soprattutto di Mia sembra nascere troppo velocemente, seppellendo in un attimo ogni discorso su quanto sia giusto decidere della vita e della morte.

Allo stesso modo, il percorso inverso nasce da una circostanza quasi fortuita e non da una riflessione maturata rendendo quindi l’evoluzione dei personaggi quasi schizofrenica. Una pecca che va a gravare su un film che si lascia sfuggire l’opportunità di dare spessore ai suoi protagonisti.

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Un difetto che solo in parte è assente nella descrizione di L, il giovane detective privato che decide di smascherare l’identità di Kira, il serial killer fittizio inventato da Light e Mia. Il passato di L è solo vagamente accennato e questo rende difficile comprendere la sua ossessione per la soluzione del caso. Le movenze atletiche di L, le sue tattiche intelligenti, la sfrontatezza dei suoi atteggiamenti, il modo moderno di sfruttare i mass media ne fanno però una delle poche note interessanti di questo Death Note. Come sicuramente promosso è Ryuk la cui felice resa grafica viene ulteriormente impreziosita dalla sinistra voce di Willem Dafoe.

Death Note ha sicuramente tanti difetti, figli di una grossolana scrittura dei personaggi e di una sceneggiatura che preferisce sorvolare su ogni possibile tematica che esuli dall’intrattenimento puro.

Tuttavia, una volta accettato che quel che si sta vedendo non vuole essere altro che una sorta di crime story con qualche elemento sovrannaturale, il film si lascia guardare per il ritmo veloce e una scenografia tutta luci e colori. Una sufficienza risicata, ma anche a scuola basta quella per evitare la bocciatura.

Death Note visto da chi conosce Death Note

Spostare la storia da Tokio a Seattle è stato il primo (madornale) errore. L’altra parte del mondo, quello moderno, quello americano è completamente diverso da quello più antico del Giappone. I valori cambiano e così facendo lo stesso personaggio da figo della scuola diventa uno sfigato.

Light nell’anime è tutto quello a cui può aspirare uno studente giapponese: il massimo dei voti, bravo negli sport, fascino, un’intelligenza straordinaria e l’ammirazione di tutte le ragazze della scuola. Semplicemente esportando i fattori “bravo a scuola” e “dall’intelligenza fuori dal comune” hai reso il personaggio il looser che affolla tutte le produzioni adolescenziali americane. In più c’è quella strana scelta di tingere solo metà dei capelli di Nat Wolff, era un modo per renderlo più giovane?

Veniamo a conoscenza di un tragico passato che dovrebbe dare seguito alle sue azioni da serial killer a distanza, una specie di alibi che muove il protagonista, da cui nasce l’istinto di onnipotenza che si vede nell’uso del Death Note.

Nella storia originale Light è semplicemente dedito a uno scopo superiore, di cui viene a conoscenza quando prende in mano il Death Note per la prima volta. Se possiamo dare il beneficio al film di aver creato un intrigo ben organizzato e autoconclusivo, raccogliendo alcuni elementi fondamentali della storia originale, non posso che notare il passo indietro riguardo al personaggio da cui prende ispirazione, il quale dà scarso valore alla vita umana, pronto a riportare su carta i nomi non solo dei criminali, ma anche di coloro che si mettono sulla sua strada.

La stessa sorte è toccato a L e Mia. Mentre il primo perde la sua lucidità e si fa prendere dalle emozioni, tentando una vendetta contro il suo avversario Kira, nel anime il nostro investigatore sa di essere parte di una rete più grande e con chiarezza riesce a concepire il disegno di Light.
Altrettanto Mia, cheerleader annoiata con qualche problema di sadismo non ben identificato inizia una relazione con Light in un delirio di sesso e morte che le dà alla testa. Chi sarà il più scaltro dei due?

Nella versione su carta il personaggio femminile Misa è una idol giapponese, anche lei in possesso di un quaderno della morte, invaghita di Light che spesso fa danni, ma che riesce a intraprendere una relazione con l’oggetto dei suoi desideri, anche se lui la vede come una risorsa più che l’amore della sua vita, in piena linea con il disturbo sociopatico del protagonista.

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death note misa e L

Un grande applauso a Ryuk, vero e unico personaggio ben trasportato sul piccolo schermo, e al suo interprete Willem Dafoe, che gli rende giustizia.

In definitiva il film cerca di umanizzare ogni personaggio, perdendo così il lato più oscuro e macabro del manga che affascina grazie a brillanti guizzi di trama. Se, infine, il lungometraggio si dedica a puro intrattenimento, il manga e il successivo anime ha quella sfumatura nera e geniale, che non ritrova spazio in una mega produzione che preferisce portare in America il suo set, dando alibi a tutti i personaggi e dedicando largo spazio a una componente emotiva che nell’opera originale non esiste.

Questo non è quindi un film su Death Note ma semplicemente un “tratto da“, che potrebbe essere l’unica giustificazione a quelli che se no sarebbero solo tanti errori di trasposizione.

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