
Dear White People: un messaggio forte che non ha paura di sollevare polemiche
Qualche tempo fa Zara ha ritirato dai suoi negozi e dallo store online una gonna della nuova collezione SS 2017 dopo le accuse di razzismo lanciate su Internet. Il tutto è nato da un tweet di una giornalista americana, Meagan Fredette, la quale criticava la scelta del colosso della moda low-cost di aver inserito su quel capo di abbigliamento degli elementi decorativi che ricordavano molto, troppo da vicino Pepe the Frog. Se in primo momento l’azienda ha sottovalutato la situazione, definendo anzi la polemica come assurda, la valanga di commenti negativi ricevuti ha decretato la fine di quel prodotto sul mercato.
Tanto rumore per una rana, direte voi. Potrebbe, se non fosse che quel disegno, nato dalla penna di Matt Furie nel 2005 e diventato nel giro di poco tempo virale, sia finito nella lista dei simboli dell’odio stilata dall’Anti-Defamation League, organizzazione nata per combattere l’antisemitismo. Perché quella poco simpatica ranocchietta è stata infatti utilizzata dal movimento americano di estrema destra Alt-Right, che l’ha trasformata in un cartoon razzista e omofobo.
Si può dire che la vicenda che ha riguardato Zara succeda una tantum, che la società del 21° secolo sia democratica e aperta, che i movimenti per l’affermazione dei diritti delle minoranze abbiano portato ad una maggiore inclusività ed eguaglianza. Si può dire, solo se si è abituati a guardare il mondo con i paraocchi.
Se vedere Roger Sterling in una puntata della terza stagione di Mad Men cantare My Old Kentucky Home con la faccia dipinta di nero (stiamo parlando del 1963) provocava una certa indignazione, sapere che ai nostri giorni siano ancora organizzati i cosiddetti blackface party fa davvero girare le eliche.
“Miei carissimi bianchi, ecco una lista di costumi di Halloween accettabili: pirata, infermiera sexy, uno dei nostri primi 43 presidenti. Il primo della lista dei costumi non accettabili: me.”
Le parole di Samantha White, studentessa di comunicazione protagonista della nuova serie di Netflix Dear White People, tuonano nell’etere come un monito per chi crede ingenuamente che questo tipo di festa non sia l’espressione del più becero razzismo.
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Adattamento dell’omonimo film del 2014 diretto da Justin Simien, Dear White People è ambientata in uno dei più classici campus universitari americani, Winchester. Al suo interno studiano e vivono studenti provenienti principalmente da famiglie bianche benestanti. Mentre vediamo Sam e la sua amica Joelle allontanarsi dalla Bechet House, l’edificio in cui si trova lo studio radiofonico nel quale la prima lavora, la percentuale di uomini e donne bianche diminuisce progressivamente, finché non giungiamo alla Residenza Armstrong-Parker, abituata dalla minoranza afro-americana. Questo è il quartier generale delle varie unioni di studenti neri della Winchester, le quali – come la stessa Samantha racconta – fingono di essere unite eppure tra loro vige una spietata concorrenza.
Da queste premesse Dear White People sembrerebbe il classico teen drama in cui la questione razziale viene tratta in maniera edulcorata, a favore di un buonismo che poi nella vita reale non ha un chiaro riscontro, ma già dalle prime battute si capisce abbastanza bene che non sarà così. Prima ancora di “andare in onda”, Dear White People aveva già suscitato reazioni non proprio lusinghiere da parte di una certa fetta di pubblico (facile capire quale), tanto che qualcuno aveva persino parlato di razzismo inverso.
“Capisco che sentirsi ridotti a uno stereotipo razziale sia un’esperienza nuova e devastante, per qualcuno di voi, ma la differenza è questa: le mie battute non mandano i vostri ragazzi in prigione, né rendono pericoloso passeggiare nel vostro quartiere. Le vostre sì.”
L’ironia tagliente, affidata principalmente alle parole di Samantha White, è il leitmotiv di una serie che però si prende il lusso di non risparmiare critiche a nessuno, qualunque sia il colore della sua pelle. Perché la realtà è ben più complessa di un film e i confini sono labili, soprattutto quando si parla di sentimenti e di rapporti sociali.
Dalla relazione di Sam con il wasp Gabe (portata alla luce sui e dai social network) ai conflitti interni nel Black Caucus (dettati non solo dalla gelosia) all’egemonia culturale del Pastiche. Nonostante un comparto tecnico che convince poco, le storyline che si delineano in questo primo episodio di Dear White People fanno sperare in un racconto che non sarà solo intrattenimento, ma anche sostanza.
Perché possiamo anche fingere di non avere un problema, fintanto che questo riguardi qualcuno diverso da noi. Ma quando poi siamo noi al centro dell’equazione, forse iniziamo a capire che tutto quello che si fa ha un peso. Ma lo capiamo solo se ci sintonizziamo sulla giusta frequenza.
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