
Dark e la favola nera del tempo – Recensione della Prima Stagione
È stereotipo banale e luogo comune da barzelletta pecoreccia dipingere i tedeschi come freddi e razionali, maniacalmente in fissa con l’organizzazione e cocciutamente ostili ad ogni sentimentalismo. Dimenticandosi che la storia della letteratura, della filosofia, della musica dice tutt’altro. Perché il Romanticismo ha tra i suoi genitori lo Sturm und Drang affermatosi nella Germania di Goethe e Schiller. Perché l’idealismo che esaltava il rifiuto della razionalità è figlio delle opere di Hegel e Schopenhauer anticipati in alcuni punti da Kant. Perché il melodramma ottocentesco si incarna nelle figure di Beethoven e Strauss. Perché molte delle favole più famose (Hansel e Gretel, Cappuccetto Rosso, Cenerentola) sono state scritte o rielaborate e rese popolari dai fratelli prussiani Jacob e Wilhelm Grimm. Padri nobili il cui eco, ovviamente grandemente attutito, pervade la prima stagione di Dark.
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L’impossibilità della ragione
Dark è ambientato in una sperduta cittadina della Germania circondata dai boschi di quella che potrebbe essere la Foresta Nera. Quanti abitanti abbia Winden e quanto grande, in effetti, sia un paese che ospita una centrale nucleare nel suo comprensorio non è chiaro. Ma quel che è certo è che poche sono le famiglie a ricoprire i ruoli principali (responsabili della polizia, preside della scuola locale, direttore della centrale, proprietari dell’unico hotel). E tutte sono inestricabilmente legate tra di loro in legami che vanno indietro nel tempo perché nessuno riesce ad andare via da Winden continuando a vivere spesso nella stessa casa per generazioni.
Come da tradizione per le serie tv che si svolgono in paesi quasi isolati dal resto del mondo, anche in Dark a farla da padrone sono i segreti e le bugie su cui si fondano le instabili relazioni tra i personaggi. Scelte che introducono caratteri magari non originali, ma interpretati bene e disegnati con cura. Così il trio Jonas – Martha – Bartosz è il classico triangolo dove i due migliori amici si contendono la stessa ragazza passando attraverso le usuali tappe che trasformeranno un’amicizia profonda (con Bartosz che arriva a mentire a tutti pur di nascondere i problemi dell’amico) in una burrascosa separazione pur senza lieto fine (perché Martha resterà comunque sola). Altrettanto archetipici sono Magnus e Franziska che finiranno per amarsi anche se hanno percorsi e storie diverse, ma in comune lo stesso desiderio di sfuggire alle ipocrisie familiari. Se questo già visto non da fastidio è perché sono bravissimi i giovanissimi attori coinvolti a interpretare con magnetica intensità i ruoli loro assegnati e perché le loro storie dopotutto non particolarmente originali vanno ad inserirsi nel più vasto quadro generale diventando tessere di un mosaico che non si potrebbe apprezzare a pieno se mancasse anche la più scontata delle sue parti.
Quel che colpisce anche in Dark è il gioco speculare che viene a crearsi tra gli adulti e i ragazzi. Come Jonas è innamorato di Martha tradendo la fiducia di Bartosz, così sua madre Hannah ha una relazione adultera con Ulrich, padre di Martha, che così tradisce la moglie Katharina. Un rapporto che non è solo una ripetizione di quello tra i ragazzi, ma piuttosto il suo riflesso in uno specchio che restituisce l’immagine rovesciata dell’originale. Laddove amore ed amicizia sono sentimenti innocenti e puri tra Jonas – Martha – Bartosz, sono invece l’ossessione perversa e l’inganno continuo ad essere i pilastri marci su cui si fonda il rapporto tra Hannah e Ulrich arrivando a fare della prima una sorta di villain inatteso.
Il confronto con il passato degli adulti rende impietoso il paragone con il presente dei ragazzi suggerendo un pessimismo ineluttabile secondo cui ogni fiore non potrà che appassire e ogni gioiello perdere la sua luce. Non solo per quello che è accaduto a Hannah e Ulrich. Ma anche per la storia triste di Helge, per la rovinosa caduta di Egon, per la solitudine distante della coppia Regina – Alexander. Personaggi che avrebbero potuto compiere scelte diverse e avere destini differenti se avessero lasciato che la ragione imparasse dagli errori nel tempo. Ma è appunto questa impossibilità della ragione a guidare la vita di ognuno dei protagonisti a dimostrare quanto Dark sia una serie figlia di quel dominio dei sentimenti che il Romanticismo tedesco aveva eletto a suo principio fondante.

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L’idealismo dei viaggi nel tempo
Per quanto interessanti siano i suoi personaggi, è innegabile che la vera forza di Dark sia la capacità mirabile di scrivere una storia intrigante che tiene incollato lo spettatore allo schermo obbligandolo quasi ad un compulsivo binge watch per la felicità di una Netflix che vede premiata la sua scelta di proporre una serie nell’ostico tedesco. Merito ovviamente della componente sci – fi imperniata sui viaggi nel tempo resi possibili dal wormhole creatosi nelle caverne di Winden. È attraverso questo passaggio che i personaggi possono muoversi nella cittadina del 1953, del 1986 e del 2019 che compongono una trimurti temporale separata da un distacco fisso di 33 anni (che spiega anche la strana scelta di spostare il presente della serie un anno avanti rispetto a quello attuale).
L’impossibilità fisica (ma non matematica) dei viaggi nel tempo ha sempre lasciato liberi gli sceneggiatori di scriverne le regole fondamentali a proprio piacimento. Libertà di cui approfittano anche gli autori di Dark che hanno però la bravura di non perdersi in troppe arzigogolate discussioni sul come e il perché di questa ricca miniera di possibilità, ma piuttosto farne una ghiotta occasione per una discussione più filosofica sul concetto di libero arbitrio e di destino. Se la distinzione tra passato, presente e futuro venisse cancellata dalla possibilità di viaggiare nel tempo, cosa ne sarebbe delle storie personali di ogni uomo?
Siamo quel che siamo perché abbiamo fatto le scelte che abbiamo fatto. Ma se queste scelte si potessero cancellare? Se si potesse tornare al momento in cui tutto è iniziato ad andare in modo diverso da come avremmo voluto, sarebbe giusto approfittarsene? O il passato è costretto ad essere quel che è perché altrimenti il futuro non potrebbe essere quel che è destinato ad essere? Ulrich potrebbe uccidere un Helge bambino per evitare che Mads e Mikkel siano rapiti, ma questo cancellerebbe Jonas che però in un altro passato è già tornato. Cancellare un attimo del passato cancellerebbe il futuro o sarebbe il futuro stesso a riscrivere quel momento perduto per salvare quel corso degli eventi che lo ha generato? Domande che originano paradossi irrisolvibili e che per questo hanno tante risposte quanti sono gli spettatori e tutte altrettanto valide.
Soprattutto, i viaggi nel tempo costringono i protagonisti a interrogarsi su quanto possono controllare le loro stesse vite. Devono rassegnarsi ad accettare le cose che non possono cambiare e imparare a riconoscere quali sono come ossessivamente si ripete Peter? O devono sforzarsi di riscrivere la storia di tutti pur di cancellare un solo attimo di immenso dolore come prova a fare Ulrich? Devono imporre a sé stessi un atroce dolore pur di non sconvolgere la vita delle persone amate come fa Jonas? O devono sfidare l’impossibile muovendosi nelle pieghe del tempo per vincere una battaglia contro il male come Claudia? Dilemmi etici che riecheggiano l’idealismo della filosofia ottocentesca tedesca.

Dark: una fiaba oscura in una musica nera
Dark è soprattutto una favola dove bene e male si scontrano senza vincitori o vinti. Un racconto immaginifico che immerge i suoi personaggi in una atmosfera cupa resa opprimente da una fotografia che predilige i toni scuri e i colori freddi. La stessa ambientazione ai margini di fitti boschi e le piogge perenni permette alla serie di sposare la tradizione gotica delle fiabe dei fratelli Grimm. La differenza sostanziale sta tuttavia nell’assenza di ogni lieto fine e nella coralità della vicenda che dedica quasi lo stesso spazio a più di un personaggio. Non è un caso che uno dei momenti più riusciti sia la recita scolastica con il monologo di Martha ad accompagnare il cammino nelle caverne di Jonas. O l’intelligente scelta di chiudere più episodi con lo split screen che mostra le versioni passate e presenti di molti protagonisti. O ancora l’introduzione di una terza linea temporale che aggiunge importanza a figure che potevano sembrare inizialmente secondarie.
A rendere ancora più onirico il racconto degli eventi contribuisce in maniera importante la colonna sonora. Musiche la cui ritmica varia seguendo lo scorrere delle immagini sullo schermo. Sonorità inquiete che sottolineano la drammaticità dei momenti. Testi scelti con cura per spiegare il senso di quello che si sta vedendo. Rumori indecifrabili che fanno sobbalzare improvvisamente o che preannunciano svolte decisive. Un uso sapiente del sonoro che diventa una cifra stilistica caratterizzante la serie in maniera decisiva.
La prima stagione di Dark si chiude lasciando aperte molte porte e allargando ancora di più i suoi orizzonti temporali. Una rivelazione che rompe gli stereotipi sui tedeschi dimostrando che le lezioni del passato possono riecheggiare anche nelle serie del presente. E magari del futuro.
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