
Daredevil: Recensione della seconda stagione
Chi è un eroe? Se lo domanda Karen Page nell’incipit dell’articolo che infine inizia a scrivere quando i titoli di coda già stanno preparandosi a scorrere sull’ultimo episodio della seconda stagione di Daredevil. Chi è un eroe? È costretto a chiederselo più volte lo spettatore ingordo durante la maratona inarrestabile a cui questi nuovi tredici episodi invitano golosamente (binge watching, croce e delizia di ogni prodotto Netflix). Chi è un eroe? Deve cercare di capirlo Matt Murdock la cui figura inguainata nel costume con i cornetti si staglia protettiva su Hell’s Kitchen con una convinzione che deve restare salda nonostante i dubbi che tormentano l’uomo sotto la maschera.
Se la prima stagione ci aveva presentato la genesi del Diavolo Custode, questa seconda stagione si assume il gravoso compito di spiegare chi è Daredevil non a chi guarda, ma allo stesso uomo sotto la maschera. Matt è Daredevil o Daredevil è Matt? L’avvocato intelligente che si impegna a difendere i diritti di chi può pagare solo con torte o crostate è lo stesso vigilante che non esita a calpestare quella stessa legge quando si tratta di malmenare criminali pur di assicurarli alla giustizia? Il feroce combattente che da solo è capace di riempire le celle della stazione di polizia più di quanto l’intero distretto riesca a fare è lo stesso associato dello studio legale che ha incastrato Wilson Fisk facendo crollare il suo impero malavitoso?
Il Matt Murdock che vive da sempre in simbiosi con il suo inseparabile amico Foggy Nelson e sente nascere un esitante amore per la dolce Karen Page è lo stesso solitario personaggio che allontana da sé ogni conoscente che non sia un combattente altrettanto valido come il vecchio Stick e non riesce a staccarsi dalla letale Elektra? Chi è Matt e chi è Daredevil? La tragica verità che entrambi devono accettare è che sono proprio la stessa persona. E che questo significa anche e soprattutto convivere con una drammatica incoerenza che ti porta a credere nella legge nello stesso momento in cui la definisci insufficiente; ad invocare la legittimità di ogni metodo violento nello stesso istante in cui rifiuti ogni soluzione definitiva; a definirti avvocato cattolico (e quante volte Matt lo ripete arrivando anche a fare il segno della croce prima di un’ennesima battaglia) proprio quando ti stai sostituendo alla dea bendata della giustizia e al Dio misericordioso della religione in cui credi; a confessare quanto indispensabile sia l’unica persona che conosceva il tuo segreto per poi chiudere con lui appena si sforza nonostante tutto di essere ancora quello di cui hai sempre avuto bisogno; a dichiarare il tuo sincero amore per la delicata ma caparbiamente fedele Karen per poi sbatterla fuori dalla tua vita non appena ritorna quella Elektra la cui violenta sete di sangue e i ripetuti tradimenti ti avevano convinto ad allontanare. È questo che fa di Daredevil un eroe. Non tanto e non solo il suo mettersi al servizio degli altri e combattere fino alla fine ed oltre ogni logica qualunque minaccia che provi ad annuvolare ancora di più il tetro cielo di Hell’s Kitchen. Ma soprattutto perché a questo nobile fine sa sacrificare sé stesso accettando di essere scisso in due poli opposti che forzatamente convivono per il bene superiore della sua città (e quel this is my city ripetuto più volte diventa il vero mantra della sua difficile quotidianità).
Tanto dolorosamente incoerente è Matt, tanto tremendamente coerente è Frank Castle, il primo dei due personaggi nuovi introdotti in questa seconda stagione. Presto ribattezzato con il nome che lo renderà famoso nel mondo dei comics, il Punitore appare solo all’inizio come un possibile antagonista di Daredevil per mostrarsi presto come quel che davvero è. Che cosa differenzia Frank da Matt? Entrambi hanno gli stessi nemici ed entrambi arrivano allo stesso risultato finale distruggendo le organizzazioni criminali che intendevano combattere. Ma radicalmente diverse sono le motivazioni più ancora che i metodi. Perché Frank non vuole salvare nessuno e nemmeno cerca giustizia o vendetta. Se Matt ha una città da proteggere, Frank non ha più nessuno da difendere perché quel compito è stato incapace di svolgerlo e poco importa che nulla avrebbe potuto fare per completarlo. E niente potrà dargli indietro la famiglia che ha perso. Per questo anche uccidere tutti quelli che anche lontanamente sono stati coinvolti nel brutale assassinio che gli ha sconvolto la vita non può bastare a fermarlo. Perché, in una visione manichea dove il male non potrà mai redimersi, non può esistere altro che la punizione. E questo diventerà infine Frank quando sul suo giubbetto apparirà l’iconico teschio bianco. A rendere così interessante il personaggio contribuisce moltissimo anche l’interpretazione di Jon Bernthal, vera sorpresa di questa stagione. L’ex Shane di The Walking Dead riesce a restituire con convinta naturalezza la fisicità rabbiosa e la violenza esplosiva dell’eroe di guerra che si è fatto macchina di morte, ma anche l’intimità rimpianta e la nostalgia repressa del padre infranto che deve vivere con la paura di dimenticare.
Tredici episodi per raccontare una nuova storia, per introdurre nuovi personaggi, per portare ad un nuovo livello quelli vecchi, per rivedere volti che si credeva essere ormai scomparsi, per cominciare ad annodare i fili con il resto dell’universo Marvel. Ma soprattutto per chiedersi ancora la stessa domanda: chi è un eroe? C’è davvero una sola risposta?
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Capolavoro!!
Sono impazzito per la 1 serie, questa mi ha colpito ancor di più!! mi è piaciuta l’evoluzione dei personaggi, non tanto il protagonista che a volte risulta troppo “buonista” ma si sa, gli eroi sono cosi. Piuttosto mi riferisco alla caparbietà e il coraggio di Karen e al riscatto del povero Foggy, sempre nell’ombra di Matt. Promossi The Punisher e Elektra, due personaggi complessi tra l’essere eroi e villains allo stesso tempo, anche l’accoppiata Punisher-Page non è stata male. e ora che si fa? voglio la terza serie!
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