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Conviction: Recensione della Prima Stagione della serie tv con Hayley Atwell

Quando si sceglie di fondere un legal drama come Conviction con il procedurale non si può sbagliare (almeno in teoria).

Gli elementi per far appassionare il pubblico di sono tutti, inclusa – come in questo caso – una forte figura centrale, che possa fare da lead all’intero cast e far convergere sul suo carisma attenzione e simpatia. Malgrado Hayley Atwell abbia fatto questo – e molto di più – nel suo ruolo di Hayes Morrison, ex first-daughter, bisessuale e con una lieve ma decisa dipendenza da sostanze illegali random, non è stato abbastanza. Non è stato abbastanza buttare nel mucchio Peggy Carter e dire “Ecco, guardate quanto è brava, guardate che cast fantastico intorno a lei! Ora amatela!” per rendere Conviction una serie tv degna del rinnovo. Perché, non illudetevi, malgrado la conferma non sia arrivata e la serie tv si sia conclusa dopo l’ordine iniziale dei 13 episodi, senza il consueto back order dei successivi nove,  la cancellazione è più vicina del San Valentino 2017.

Una serie tv con poco drama, infiniti clichè e personaggi dimenticabili(ssimi)

conviction hayley atwell

La trama farcita di già visto ci presenta Hayes Morrison, ex first daughter tutt’altro che perfetta. Quando una delle sue solite feste e guida in stato di ebrezza la portano dietro le sbarre, il procuratore distrettuale – nonché un suo ex . le propone una vita d’uscita. Se Hayes accettasse e lui facesse cadere le accuse a suo carico, la ragazza dovrebbe guidare la CIU (Conviction Integrity Unit ) per risolvere vecchi casi il cui esito è incerto o nebuloso.

A rapire dall’inizio è sicuramente la magnetica figura di Hayes. Indipendente, affascinante, la Atwell coinvolge con un unico sguardo. Un lavoro meno interessante è invece quello della sua unità. In ordine sparso ritroviamo l’ex agente dell’FBI di Graceland, il gemello di Jhonny di Killjoys (nonché protagonista di The Following) avvocato Ciuffo Biondo, la quasi-fidanzata di Daryl Dixon e la controfigura di Gina Torres. Ah, e dato che i clichè non erano abbastanza c’è anche una madre poco presente e ossessionata dalla carriera e un fratello gay un po’ cicciottello e un po’ impacciato. Dimentico qualcuno? Forse la signora delle pulizie, dal momento che il suo ruolo si rivela tanto essenziale negli ultimi minuti della serie! Ma non divaghiamo.

Hayes e la sua unità affrontano, di volta in volta, casi riguardanti passate sentenze. Su di loro crolla il peso dello scoprire se il verdetto era stato o meno veritiero. Come riescano a farlo in cinque giorni (perché i weekend non contano) dopo che avvocati e detective ci hanno perso mesi e mesi non lo sappiamo. Sappiamo tuttavia che hanno a disposizione un budget illimitato (i contribuenti non si sono lamentati?) e tecnologie avanzatissime, tutte prontamente proposte dall’ex galeotto Frankie, che invece del carcere sembra aver trascorso gli ultimi anni all’MIT. Ai casi, quasi sempre conclusi con lacrimevoli ribaltamenti di giudizio e la liberazione dell’erroneamente accusato santo (o santa) di turno, si aggiunge una cornice di contorno praticamente piatta.

Al di là di Hayes e della sua sfera sentimentale – che dopo un paio di episodi inizia a non essere più sufficiente – non abbiamo nessun tipo di coinvolgimento emotivo con il resto dei personaggi. Spizzichi e bocconi vengono offerti allo spettatore circa il loro passato, ma nulla più. Non abbiamo una storia clandestina di Frankie e Tess, non abbiamo qualche conseguenza reale per l’abuso di pillole di Maxine e neppure delle conseguenze serie per Sam. Per quanto sia bello, diciamocelo, Sam è davvero la persona che più vorresti prendere a pesci in faccia di tutta la serie.

Il sorriso amaro per ciò che la serie tv avrebbe potuto (e dovuto) essere

conviction

Cosa avrebbe potuto essere, allora, Conviction? Avrebbe potuto essere un drama con i fiocchi. Avrebbe potuto (e dovuto) sfruttare meglio un cast già conosciuto, già visto, già amato in diversi ruoli e contesti. Hayley Atwell è meravigliosa ma questo non era un cabaret e lei non doveva recitare un monologo. Sarebbero bastati due, forse tre episodi incentrati sul background dei protagonisti e non dico che la serie tv si sarebbe rialzata ma, quantomeno, sarebbe stata molto più interessante!

I casi avrebbero potuto essere meno stereotipati, meno perbenisti. Non sempre si riesce a trionfare, non sempre i buoni sono graziati. Qualche volta i cattivi la fanno franca, qualche volta il sistema fallisce e anche questo avrebbe dovuto essere un percorso da esplorare. Piuttosto di vedere l’idea brillante per la risoluzione del caso accendersi come una lampadina sulla testa di Frankie o di Tess o di Hayes, sarebbe stato bello vederli arrivare tardi, un po’ come accaduto per l’episodio A different kind of Death, in cui effettivamente la soluzione arriva troppo tardi per salvare qualcuno dalla pena di morte.

Restano tanti se e tanti ma nell’eredità di questa serie tv, che avrebbe potuto essere molto più di quello che è stata, malgrado i picchi sporadici di scene o momenti particolarmente intensi. Del resto, quale serie tv non può vantarli?

Conviction non lascia un’eredità alle spalle. Non lascia la voglia di rivedere la serie – se non per la protagonista – e piuttosto fa tornare in mente la nostalgia per Agent Carter e la sua cancellazione. E’ una serie tv che prova, una volta di troppo, come sotto-sfruttare le potenzialità di una serie tv sia dannoso quasi quanto lo sia sfruttarle troppo. Una sufficienza davvero rosicata, mi dispiace dirlo, che penso Conviction si porterà nella sua tomba da cancellazione.

O forse no. Forse arriverà una grazia divina. In tal caso posso solo sperare che gli autori abbiano imparato dai propri errori e possano fare di meglio in futuro. Fino ad allora… qualcuno l’ha visto Captain America?

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Kat

Cavaliere della Corte di Netflix e Disney+, campionessa di binge-watching da weekend, è la Paladina di Telefilm Central, protettrice di Period Drama e Fantasy. Forgiata dal fuoco della MCU, sogna ancora un remake come si deve di Relic Hunter.

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