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Condor: con un altro protagonista avrebbe più senso, ma non uccidiamola – Recensione pilot

Condor è la nuova trasposizione in video del romanzo I sei giorni del Condor di James Grady, già portato al cinema nel film I tre giorni del Condor, per la regia di Sidney Pollack, con Robert Redford protagonista, circondato da Faye Dunaway e Max von Sydow. Il nuovo adattamento per il piccolo schermo ideato da Todd Katzbeg (al debutto in fase di sceneggiatura), Jason Smilovic e Ken Robinson riprende, aggiornandola ai giorni nostri, la storia originale, la quale tuttavia perde inevitabilmente uno dei suoi cardini decisivi: il carisma magnetico del protagonista.

A metà degli anni ’70 I tre giorni del Condor divenne un’opera di riferimento del genere cospirativo, tanto da essere citato ancora oggi, con il titolo divenuto una sorta di frase fatta per quando si vuole dipingere una determinata atmosfera. Robert Redford era nel pieno della sua maturazione artistica, veniva da Il grande Gatsby, La stangata, Come eravamo (sempre con Pollack) e Corvo rosso ed era Robert Redford. Oggi invece nei panni di Joe Turner, alias Condor, ci tocca Max Irons, 33enne di bell’aspetto, ben piazzato, una carriera senza niente di rilevante, che per tutto il tempo mi ha ricordato Hernan Crespo.

Condor in verità non è poi così male

Sorvolando su quest’aspetto non secondario, se ti riporti ad un film divenuto emblematico, Condor non è comunque un thriller da buttare via. O almeno il pilot, dal punto di vista spionistico, non è malaccio, al netto di alcune scelte che vi faranno spalancare la bocca per esprimere epiteti poco educati e della lunga pausa sul plot relazionale, utilizzato per introdurre il protagonista, che fa molto pizza e fichi. Lo si poteva fare in ben altri modi.

Gran merito di Condor è di portare in scena due figure da tempo distanti dallo show business, Brendan Fraser (già comunque figura di riferimento in Trust e The Affair) e Mira Sorvino (con loro anche William Hurt), vittime mute degli scandali sessuali di cui tanto oggigiorno si parla. In un certo qual modo entrambi col loro pubblico affezionato. Pubblico che rincuoriamo subito: entrambi gli attori spariranno ben presto di scena. Tuttavia è interessante vederli interpretare ruoli che poco hanno a che fare con la loro carriera e i personaggi che li hanno resi celebri, in particolare Fraser, nel ruolo di un agente segreto senza molti scrupoli.

Ancor meno scrupoli di Fraser ce li ha la “bella” di turno, Leem Lubany, la mora che scolorisce di fronte alla Sorvino. Se nella storia originale il protagonista era braccato da un serial killer spietato, Joubert, interpretato da Max von Sydow, i nuovi autori di Condor decidono di rendere il personaggio una donna e dipingerla ancor più spietata. Lo capiamo fin dalla prima scena. Talmente spietata che per spiare la propria vittima, se lo intorta in un pub e se lo spupazza in camera da letto, uno degli elementi che durante la visione vi potrebbero far saltare qualche “ma va…”, accompagnato dal classico gesto del braccio. Scelta senza senso, che ci sta come Martina Stella in un film dei Taviani.

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Un poco di trama

Breve storia per chi non conoscesse il film originale, brevissima così non si spoilera: tutto ruota intorno ad un piano di un pezzo deviato del governo americano per scatenare una guerra in Medio Oriente e assicurarsi il controllo del petrolio. Non andrò oltre per non anticiparvi qualche svolta della trama, ma anche la CIA ci farà una figura da bel fetente. Al centro di questo piano, in Condor, troviamo il virus della peste, coltivato da tre anni nei deserti delle riserve indiane.

In un modo del tutto inaspettato, il protagonista Joe Turner, analista, programmatore, factotum di un’agenzia governativa, si scontra frontalmente con questa deriva sovversiva. Un suo programma, vecchio come Napster (no, va beh, non così vecchio), viene utilizzato a sua insaputa dalla CIA per trovare sul suolo americano potenziali terroristi dell’Isis. Minorty Report, sì, proprio lui. Unico problema, il programma era tarato per il contesto sociale del Medio Oriente e utilizzandolo sul suolo americano porta a dati sballati, considerando terrorista anche una persona che ha il 12% di possibilità di esserlo. Da qui tutte le menate sull’etica di Turner, che, non si capisce perché (altro momento “ma va…”), viene messo al corrente dell’utilizzo del programma, divenendo improvvisamente il paladino degli ideali. Per la serie, finché si calpestano i diritti in un dannato deserto, va bene, ma se lo facciamo a casa nostra, giammaiiii.

Il tutto focalizzato su un povero musulmano che sta andando a lavorare allo stadio con una valigetta ritenuta sospetta. Il breve momento moralistico ovviamente viene interrotto dalla scoperta del virus della peste dentro la valigetta e una pernacchia sonora della CIA nei confronti di Turner: vai a fare il moralista con la salute degli altri. Per timore di essere scoperti, gli autori del piano dovranno quindi perseguire il loro obiettivo e cancellare le lo tracce. Solo che cancellandole, fanno peggio (altro momento “ma va….”).

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Condor pilot recensioneIl protagonista

Questa la storia thriller. Poi c’è la storia del protagonista, che ruota tutto attorno all’aforisma “Quale solitudine è più sola della diffidenza?”, da George Eliot, alias Mary Anne Evans (e vedete che gli uomini che si trasformano in donne tornano sempre). La frase ha una duplice valenza per il nostro Hernan Crespo. Turner è un solitario nella vita, non ha una compagna, della famiglia non si sa, ha solo uno zio, pezzo grosso della CIA, col quale non va molto d’accordo. L’unico amico, e sua moglie, cercanno di accoppiarlo via Tinder con il mondo, ma il suo problema sta proprio nel non riuscire a fidarsi di nessuno, incapace quindi di tessere relazioni di qualunque tipo.

Col proseguo della storia, quest’aspetto fisiologico del personaggio (quelli bravi lo chiamerebbero fatal flaw) andrà esplodendo. Turner infatti si troverà nella posizione di non potersi fidare di nessuno e l’unico di cui si fida, il suo miglior amico, invece… va beh, l’avete già capito. E non sarà il solo.
Nel frattempo la storia avanza e sembra molte volte ammiccare più che a I tre giorni del condor, a Il maratoneta, altro classico di spionaggio incentrato proprio su fiducia e diffidenza

Condor pilot recensione

Alla fine della storia, le vere vittime rimangono comunque i cani della prateria e un prodotto che, con un editor decente alle spalle, avrebbe evitato quei peccati non proprio banali (tipo il vetro antiproiettile e insonorizzato, o l’appuntamento durante la partita, o la scelta di inserire la trama sentimentale) di chi non ha una grande esperienza nello stendere copioni di lungo respiro.

Federico Lega

Fra gatti, pannolini, lavoro, la formazione del fantacalcio e qualche reminiscenza di HeroQuest e StarQuest, stare al passo con le serie tv non è facile ma qualcuno lo deve pur fare

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