
Colony: Recensione dell’episodio 1.04 – Blind spot
Colony è veramente ben fatto. Devo aprire così la recensione di questo quarto episodio che non fa altro che confermare tutte le mie sensazioni precedenti e che continua a portare avanti la storia in modo mirabile, senza rallentare ma senza nemmeno abbandonare la parte più riflessiva e profonda, con una cura per i dettagli tale che ogni tassello piano piano si va ad incastrare nel posto giusto.
Il terzo episodio aveva dato l’ingannevole impressione di girare un attimo in tondo, anche se lanciava qui e lì qualche sassolino, mentre un po’ si fermava a fare riflettere gli spettatori su diversi temi, continuando a presentare le situazioni con l’occhio più neutro della telecamera, facendo vedere quanto bisognava far vedere, mettendo in bocca le motivazioni sia buone che cattive a personaggi sia buoni che cattivi e lasciando le conclusioni allo spettatore.
Anche in questo episodio l’incipit rimane sulla stessa traccia, ci fa vedere un video girato dall’elmetto di un “red cap” in quella che sembra la classica giornata da ragazzotti un po’ cresciuti che fanno i personaggi col branco, per poi trasformarsi in una brutale repressione di ogni minima libertà di pensiero. Poi vediamo la scena spostarsi e farci vedere quanto Katie (una Sarah Wayne Callies che non mi ricordavo così brava) sia pronta ad ingannare suo marito anche se allo scopo di proteggere la sua famiglia, anche se facendolo, consegna una persona all’altare sacrificale al posto suo.
Stesso leitmotiv viene ripreso da Will che, per salvare il figlio, si vede costretto ad incastrare lo speaker radiofonico che tanto fa arrabbiare la dittatura coi suoi racconti di libertà. Ma qui capiamo anche un altra cosa e anche questa ci viene presentata a specchio nei due lati della barricata: nell’episodio precedente avevamo ascoltato lo speaker narrarci con parole fluenti dell’attentato alla barriera, ora invece, con le stesse eroiche frasi ci narra, un po’ in sottofondo dell’attentato al camion ma che noi sappiamo non essere quello che viene fatto sembrare, è un inganno è propaganda, un manipolare le menti di chi ascolta per raggiungere lo scopo.
Ed il processo continua perché se ci sentiamo dispiaciuti per l’arresto dello speaker e ci sentiamo vessati per le vessazioni che ha subito, tanto ci sentiamo tristi nel vedere la fine di Phyllis, perché la maestria di questo script ce l’ha umanizzata, ce ne ha presentato le ragioni, che non sono quelle della dittatura, ma quelle di chi, convinta che la ribellione sia inutile, cerca di contenere il numero delle vittime, prendendo una strada per lei (e sottolineo per lei) sensata e soprattutto perché ce la presenta con le sue fragilità e con il senso di comprensione ed empatia.
In questo caleidoscopio di riflessioni arrivano a compimento molte storyline, che sarebbero potute andare ancora avanti e il coraggio di questa serie, di fare un passo come quello fatto con Phyllis, è decisamente ammirevole. Molto è ancora abbozzato e diversi sassolini sono stati lanciati nello stagno, ma la splendida china che sta imboccando questa serie fa solo sperare in meglio.
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