
Chernobyl: Da tragedia a capolavoro. Recensione della miniserie Sky e HBO
Come fa una serie tv di appena cinque puntate a superare su IMDb serie tv storiche come Breaking Bad e Game of Thrones? Cos’ha di così speciale la co-produzione Sky e HBO, scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, per guadagnarsi un punteggio di ben 9,7, il voto più alto della storia per una serie tv sulla piattaforma? Per giunta con un nome così scontato da far quasi ridere: Cherbonyl.
La verità è tuttavia piuttosto semplice: la serie tv Chernobyl è, a tutti gli effetti, un capolavoro. Lasciando da parte piccole inesattezze storiche, che sono comunque state sottolineate con forza dai pro-nucleari e dai media russi (forse infuriati perché qualcuno ha saputo raccontare in maniera così accattivante un disastro che per l’allora URSS resta una macchia e una vergogna indicibili), la miniserie andata in onda sulla HBO e ora anche su Sky Atlantic è magnetica.
Ma in cosa consiste e perché lo scalpore che ha suscitato è così grande?
Dove inizia la serie tv Chernobyl

La serie tv Chernobyl inizia di notte, alle 1:23:45, pochi secondi dopo che il reattore 4 della centrale nucleare V.I.Lenin, situato nell’Ucraina settentrionale, a Pryp’jat’, esplode. A differenza di oggi, all’epoca concetti come “radiazioni” e “reazioni nucleari” erano note soltanto agli addetti ai lavori. Oggi sappiamo bene quanto possa essere pericolosa un’esplosione di questa portata – oltre a sapere che è un evento possibile! Gli abitanti delle città vicine, ironicamente, non conoscevano il pericolo che correvano, o a cui esponevano i propri figli.
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Il primo episodio della miniserie è un susseguirsi di momenti drastici, angoscianti, che non ti permette di staccare gli occhi dallo schermo, pur realizzando che si tratta di qualcosa di tanto doloroso e terribile al tempo stesso. Mentre ancora non conosciamo il “protagonista” della vicenda – è pur sempre una serie tv, non un documentario! – incontriamo i coniugi Ignatenko, Vasily (Adam Nagaitis) e Ludmilla (Jessie Buckley). Conosciamo Anatoly Dyatlov (Paul Ritter) che, nonostante la tragedia sia davanti ai suoi occhi, nega con veemenza che ci sia nulla di cui preoccuparsi, addirittura credendo che il livello di radiazioni sia di appena 3 roentgen.
Sono tuttavia i lavoratori della centrale, quelli increduli davanti alla tragedia che ha appena sconvolto il loro turno notturno in centrale, a stupirci e colpirci maggiormente. Toptunov (Robert Emms), che come una preghiera continua a ripetere “Abbiamo fatto tutto correttamente”, e il capo del turno Akimov (Sam Troughton), che aveva cercato senza successo di fermare i test, una volta che aveva compreso che il reattore fosse instabile. Muoiono entrambi, naturalmente, nel tentativo di far ripartire l’irrigazione del reattore (ormai inesistente) con le pompe d’acqua.
Un’inquietudine che oltrepassa lo schermo

Sebbene la primissima scena ci faccia incontrare il fisico Valery Legasov (Jared Harris), conosciamo lui, Boris Scherbina (Stellan Skarsgard) e Ulana Khomyuk (Emily Watson) solo dal secondo episodio in poi. Se la tragedia è il centro del racconto loro sono i portavoce della resistenza umana. Una resistenza che cerca, con fatica, di contenere le radiazioni e la minaccia dell’esplosione, ingiustamente e fatalmente minimizzata da Dyatlov ma anche da Bryukhanov e Fomin. Il racconto è ciclico che riconduce allo stesso punto l’episodio iniziale e quello finale,
Più il racconto va avanti più si percepisce sullo schermo l’incapacità, da parte degli addetti ai lavori e dai vertici del governo, di valorizzare la magnitudine di ciò che sta accadendo. Se io spettatore non posso fare a meno di spronarli, sbrigarsi e non perdere tempo, la mia memoria storica non è la loro. Ciò che quelle persone hanno vissuto è stato un evento senza precedenti che, in quanto tale, ha richiesto un sacrificio e una dedizione straordinariamente ampi, sia in termine di risorse che di vite umane.
Se si può infatti condannare la scelta di Scherbina e Legasov di usare esseri umani per pulire il tetto della centrale, pur consapevoli che le radiazioni avrebbero avuto impatti sulla loro vita, come si può davvero giudicarli, considerato che l’inattività avrebbe ucciso forse milioni di persone in più?
Ricostruzione storica accurata

Prima ancora della recitazione del cast principale, la miniserie Chernobyl colpisce per un’accuratissima ricostruzione storica: c’è poco da fare, è perfetta. Nel guardare le scene a Pryp’jat’ soffermatevi ad ammirare gli abiti delle scolarette, i fiocchi che hanno nei capelli. Nelle scene in cui giovani usciti da scuola sono costretti ad uccidere animali in quanto radioattivi prestate attenzione agli interni degli appartamenti abbandonati. La stessa casa di Ludmilla, mostrata nel primissimo episodio, ha due bagni separati (nessuno ha notato le due porte?) ed è una cosa talmente sovietica che soltanto chi vi è nato (presente!) o cresciuto potrebbe sapere di cosa parlo.
Craig Mazin, che ha fatto ricerche per questo progetto a partire dal 2014, non lascia niente al caso ed è un dettaglio lodevole. Si sa: il diavolo (o la gloria) sta proprio nei particolari. Soprattutto considerato il mistero e il proibizionismo informativo che aveva governato l’URSS fino ad una decina di anni fa. Ciò che accadeva nell’URSS restava tra le mura di casa e chi voleva ribellarsi a questo status quo si ritrovava a doverne pagare le conseguenze. Come Legasov ha, purtroppo, scoperto a sue spese. Il solo fatto che Mazin abbia saputo trovare così tante informazioni e, un po’ come fa la stessa Khomyuk, arrangiarle in modo tale da trovare un senso logico a ciò che aveva scoperto, come l’immagine di un puzzle che prende forma, tassello dopo tassello, è straordinario.
I protagonisti: Valery Legasov

Ma arriviamo ai protagonisti di questa serie tv: il cast di Chernobyl è magnifico. Scelto egregiamente e perfettamente calato nella parte. Mentre gli eventi che si verificano intorno a loro sono di una difficoltà e un’angoscia impossibili da immaginare, Jared Harris, Stellan Skarsgard e Emily Watson riescono a trasmettere la non semplice visione di un mondo che gli sta letteralmente crollando addosso – che sia semplicemente pioggia o grafite, il pericolo non è indifferente.
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Il Legasov di Harris non è un eroe, è vero. Ma cerca di fare ciò che è giusto, anche rendendosi pienamente conto che si tratta di un compito non semplice nell’ambiente e nello stato in cui si trova. Nascondere un errore umano, una mancanza, pur di non far apparire l’URSS debole agli occhi di alleati e nemici. Oppure, Dio ce ne scampi, gli americani!
Questo diventa più importante che informare le persone del pericolo che corrono. È drastica questa mancanza di informazione, questa bolla in cui si sceglie di recludere una fetta della popolazione. Legasov fa del proprio meglio, è vero, ma anche lui soccombe al peso delle menzogne e al peso della colpa che, forse in parte minore rispetto ad altri, lo opprime fino a schiacciarlo. Superbo è il momento della sua testimonianza al processo, in cui cerca di dare voce alla sua verità, incurante del pericolo della morte.
Un enesemble di tutto rispetto: Stellan Skarsgard e Emily Watson

Non è da meno Scherniba, uno Stellan Skarsgard al massimo della forma. Il suo ruolo non è semplice, proprio come non lo è quello di Legasov, ma è sulle sue spalle che pesa il progetto della chiusura di un reattore nucleare esposto agli elementi, sua è la responsabilità. Parlando con Legasov nell’ultimo episodio – un dialogo intensissimo tra i due attori – specifica proprio questo: aveva capito che era un compito ingrato e difficile proprio perché avevano scelto lui per farlo, un “nessuno”.
A differenza degli altri due personaggi, Emily Watson veste i panni di uno dei pochi personaggi inventati della serie tv Chernobyl. A quelli che saranno veloci a puntare il dito va ricordato che si tratta di una serie tv: fatta bene, incredibilmente accurata ma che, nonostante tutto, non può riprodurre con assoluta precisione la realtà. C’erano decine di altri fisici e scienziati a lavoro con Legasov a Chernobyl e raccontare la storia di tutti sarebbe stato impensabile. Emily Watson è il contrappeso al personaggio di Legasov, con un’umanità più marcata del fisico russo. È lei che indaga su ciò che è davvero accaduto a Chernobyl, sui resoconti dei diretti interessati, anche se sul loro letto di morte.
È riduttivo citare soltanto loro, ovvio, ma come già detto l’intero cast della serie tv Chernobyl merita un applauso. Dai lavoratori della centrale la notte dell’esplosione ai militari che collaborano alla pulizia dei suoli e alle opere di risanamento della zona contaminata. Si tratta di uno sforzo globale.
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Serie tv breve ma (più che) intensa

Nella sua brevità Chernobyl dimostra come la buona televisione non soltanto esista ancora ma si possa ancora fare. Anche senza necessariamente riciclare contenuti già visti o già affrontati. Mazin investe tutto se stesso in un prodotto che, per quanto drammatico, tragico e brutale, mostra con crudezza un capitolo di storia troppo recente per poter essere definito un “ricordo”. Lo fa con silenzi che qualche volta parlano più dei dialoghi. Ma anche con una recitazione pulita, con un’accuratezza di dettagli, luoghi e personaggi che non punta solo alla riflessione ma ad una rappresentazione onesta e autentica di un evento. Un evento che ha sconvolto, brutalizzato e ucciso centinaia di persone, condannando altre migliaia ad un’esistenza traviata.
Non si può non apprezzare una serie tv del genere e non si può fare a meno di definirla un capolavoro. Perché è di questo che si tratta: un capolavoro seriale di fattura straordinaria.
La serie tv Chernobyl è disponibile dall’11 giugno 2019 su NOWTv.