fbpx
CinemaDocumentariRecensioni Cinema

Britney vs Spears: la principessa e gli orchi – Recensione del documentario Netflix

Copiando il titolo di una telenovela di successo degli anni ottanta, si potrebbe dire che questa è una storia che dimostra che anche i ricchi piangono. I fan della protagonista di questo racconto, però, la vedrebbero più come l’unica vittima innocente a cui spetta il diritto alle lacrime. La verità è che, dopotutto, è forse proprio la dimensione favolistica quella più adatta. Solo che a Britney vs Spears manca ancora il sempre atteso e vissero tutti felici e contenti.

Britney vs Spears: la recensione
Britney vs Spears: la recensione – Credits: Netflix

La colpevole caduta di una dea che non sapeva scegliere

Se questa fosse davvero una fiaba, inizierebbe con il classico c’era una volta. Ed, invero, la storia di Britney Spears ha davvero tanto delle favole. La bambina che fin da piccola ama esibirsi. L’adolescente in cui tutti vedono il potenziale per diventare una stella. La ragazzina che accetta ogni privazione impostele pur di raggiungere la meta. L’esordiente inattesa che al debutto vola al primo posto per non lasciare più la vetta. La dimostrazione da manuale che una persona qualunque può partire da un paese che è poco più di un punto minuscolo su una mappa geografica e diventare un fenomeno planetario che tutto il mondo venera.

Britney vs Spears non è, però, la storia di una declinazione luccicante dell’incrollabile sogno americano. Di quell’una su mille che ce la fa il documentario non racconta l’ascesa. Ma, in verità, neanche la caduta fragorosa e l’eventuale rinascita. Perché ad un certo punto a Britney Spears è stata tolta la libertà sia di cadere ancora più in basso sia di riaprire le ali per nascere di nuovo. Aspetto ancora più unico, tutto ciò è avvenuto nel pieno rispetto di una legge i cui aspetti più cinici e ingiusti sono così diventati evidenti. Nonostante fossero là da sempre, ma nessuno li avesse potuti vedere finché non sono stati illuminati dalla luce di un movimento nato sui social.

Britney vs Spears ha sicuramente un atteggiamento assolutorio nei confronti della (ormai ex) principessa mondiale del pop. Conseguenza inevitabile di come è evoluto il rapporto tra le due autrici e la cantante. Dall’imparzialità asettica di chi la vede come il soggetto adatto per un’inchiesta di successo all’empatia inevitabile con chi è vittima sempre più indifesa di soprusi inimmaginabili. Questo schierarsi in maniera partigiana rischia di privare della necessaria oggettività il documentario e solo in parte è mitigata dalle interviste inedite ad esponenti del lato opposto della barricata. A parlare, però, sono spesso le immagini e i filmati che hanno il pregio di non poter mentire.

La caduta di Britney Spears non è, quindi, nascosta o giustificata. Se è vero che la causa scatenante è stata il difficile divorzio e la battaglia per la custodia dei figli, altrettanto vero è che sia stata Britney stessa a scegliere le zavorre pesanti che l’hanno trascinata sempre più a fondo. Sua è la decisione di fare di un paparazzo equivoco come Ali Adnan la sua fidata guardia del corpo. È stata Britney a volersi affidare la sua traballante carriera ad un personaggio losco come Sam Lutfi. Sempre e solo lei è stata a fare della sua vita sentimentale un’altalena di nomi spuntati dal nulla e al nulla ritornati.

Britney vs Spears è inizialmente il racconto del ruzzolare continuo di una dea dell’Olimpo che scopre di non saper camminare sulla terra su cui è stata costretta a tornare a vivere.

Britney vs Spears: la recensione
Britney vs Spears: la recensione – Credits: Netflix

La principessa e l’orco che la trasformò in marionetta

Se la caduta ne è l’inevitabile premessa, gran parte di Britney vs Spears è, tuttavia, dedicato a descrivere con cronachistica minuzia la cronologia della tutela legale di cui è prigioniera la cantante. Una condizione che significativamente uno degli intervistati definisce morte civile. E che dura da oltre tredici anni prolungandosi grazie ad una serie incredibile di nefasti circoli viziosi. Come quello più evidente secondo cui a chiedere l’annullamento della tutela deve essere il legale della tutelata che è, però, scelto e pagato da quelle stesse persone che non hanno alcun interesse a far terminare la tutela stessa. Un palese conflitto di interessi. E il motivo quasi ovvio del perché non sia stato possibile finora trovare la chiave di questa prigione per nulla dorata.

Ci mette poco Britney vs Spears a convincere chi guarda che nessun luccichio viene dalle sbarre che impediscono alla sua protagonista di essere sé stessa. Basta elencare i poteri che spettano al tutore.

A cominciare dalla gestione completa del patrimonio totale per continuare con il veto sulla scelta delle opportunità professionali e dei contratti da firmare. Arrivando fino al controllo delle terapie mediche e la necessità per il tutelato di chiedere l’autorizzazione anche per invitare qualcuno a casa propria o andare in vacanza da qualche parte o anche solo a cena. Sintetizzando in maniera estrema ma non terribilmente vicino al vero, Britney si ritrova ad avere come unico diritto quello di dire si.

Jamie Spears smette di essere un padre che dovrebbe proteggere la figlia anche da sé stessa per diventare, invece, una sorta di Mangiafuoco che dispone a suo piacimento di una marionetta che nessun altro al mondo possiede. Un burattino da mandare in scena sui palchi di Las Vegas ogni sera, ma non a X – Factor perché in tv sarebbe meno controllabile.

Un’attrazione da spedire in un tour mondiale faticoso nonostante si continui a ripetere a tutti che sarebbe troppo stressante per lei parlare con un giornalista o incontrare i fan. Una gallina dalle uova d’oro che incassa milioni di dollari dalla vendita dei biglietti e dagli spettacoli a cui dare solo 4mila dollari al mese. Perché gli altri servono a pagare uno stipendio di 16mila dollari a sé stesso e altre mille prebende ad amici e sodali. Imponendo a tutti il silenzio e ammutolendo anche la stessa Britney con la minaccia di cambiare i turni in cui può vedere i figli.

Britney vs Spears descrive una situazione talmente assurda da sembrare un’esagerazione scandalistica se non un’opportunistica invenzione. Solo che è tutto vero. 

LEGGI ANCHE: Gaga: Five Foot Two: la recensione del documentario Netflix dedicato alla popstar

Britney vs Spears: la recensione
Britney vs Spears: la recensione – Credits: Netflix

Un errore nascosto portato alla luce

A differenza di Framing Britney Spears che lo ha preceduto, Britney vs Spears dedica poco spazio all’aspetto social della vicenda. Paradossalmente, il percorso con cui la popstar sta provando a liberarsi dopo 13 anni di schiavitù legalizzata è stato anticipato e in qualche modo reso possibile dal movimento #freebritney. Quella che sembrava l’ennesima teoria del complotto scritta da fan incapaci di accettare il declino del proprio idolo si è rivelata una verità tenuta nascosta per troppo tempo. Una bugia rivelata dopo lunghi silenzi che sta forse arrivando al tanto atteso happy ending. Nonostante l’ennesimo rifiuto del tribunale di interrompere la tutela, pare che Jamie Spears abbia deciso di rinunciarvi. Che sia davvero arrivato il momento di scrivere la parola fine?

Difficile dirlo perché potrebbe anche solo essere una mossa per passare la tutela ad altra persona compiacente. Ma forse è più importante chiedersi come tutto ciò sia avvenuto. Quali motivazioni hanno spinto i (pochi) tribunali precedenti che se ne sono occupati a decidere che fosse giusto così. Che chi ha sbagliato una volta sia condannato a essere privato della libertà, fosse anche quella di sbagliare ancora. Capire come possano aver ritenuto una persona capace di esibirsi sui palchi di tutto il mondo, ma incapace di decidere autonomamente chi incontrare e dove andare. Comprendere se dietro tutto non ci sia un velato maschilismo secondo cui a una donna in crisi è troppo debole senza un padre padrone a cui obbedire come un burattino tirato da fili.

Britney vs Spears dovrebbe far riflettere amaramente. Se tutto ciò è potuto accadere ad una star del pop sotto gli occhi di tutti, molto peggio potrebbe succedere a chi non ha alcun seguito social. Nessuno può dire quanti altri casi come questo vivono lontano dalle luci che il nome Britney Spears attira su di sé. Documentari come questo svolgono, forse persino involontariamente, un servizio utile perché costringono a pensare ad un problema generale mostrando il caso più particolare possibile. Perché di Britney Spears ce n’è una, ma di vittime di questa assurda istituzione ce ne sono stati e ce ne sono ancora tanti. E ce ne saranno ancora se non si fa nulla.

E allora un grazie va detto anche un prodotto imperfetto e partigiano come questo Britney vs Spears.

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio