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Big Eyes: la recensione

Perdersi l’appuntamento al cinema con il migliore amico dei mostri sensibili, dei defunti simpatici e di amichevoli spostati? Nemmeno per idea! Torna sui grandi schermi l’amatissimo Tim Burton, con uno stile che devia parecchio dal personalissimo linguaggio cinematografico cui siamo abituati, tra il fantasioso, il grottesco, il gotico e il comico. Decide di raccontarci una storia vera tra gli anni ’50 e ’60, illuminata dal tiepido sole della California. È una bizzarra e insolita scelta per di uno dei più famigerati registi di horror comedies come Beetlejuice, cartoni animati in stopmotion stile Nightmare Before Christmas o di adorabili vicende improbabili come quella di Big Fish. Eppure riesce sempre a fare bella figura, anche grazie ad un’azzeccatissima e brillante coppia di attori, pur non ricorrendo al binomio Johnny Depp-Helena Bonham Carter.Big Eyes-2

Margaret Ulbrich (una squisita Amy Adams) è una giovane donna sposata con un marito opprimente, dal quale decide di separarsi fuggendo con la figlia dalla loro deliziosa casa a schiera color pastello (che ricordano un po’ quelle di Edward mani di forbice…), “prima ancora che lasciare i mariti diventasse una moda”. Si trasferisce a San Francisco in cerca di una nuova vita, di un lavoro, di nuove speranze. Come la maggior parte delle donne di quegli anni succubi dei mariti non ha esperienze lavorative, ma ha una passione: la pittura. Comincia a rifarsi una nuova vita, benché modesta, vendendo i suoi dipinti e disegni per pochi spiccioli nel parco, dove incontra per la prima volta Walter Keane (interpretato dal fenomenale Christoph Waltz), che si approccia subito a lei con incedere sicuro e scanzonato. La sua personalità preponderante, i suoi racconti di un presunto passato parigino e l’interesse per quei soggetti tanto particolari quali sono i bambini dagli occhi sproporzionati che lei dipinge entusiasmano l’ingenua Margaret. Tanto più cede all’allettante proposta di matrimonio, vedendolo come una benedizione nel momento in cui l’ex marito la minaccia di portarle via la figlia. Per quanto le cose accadano velocemente, Margaret si fida di quell’uomo da cui è tanto affascinata, il quale vuole a tutti i costi far conoscere i quadri della consorte nel mondo dell’arte. Per una serie di coincidenze i suoi progetti vanno in porto e i quadri hanno grande successo, nonostante la diffusione della pittura astratta e l’ostile campo minato dell’arte, sorvegliato dall’occhio vigile di spietati critici. Walter dà libero sfogo a tutto il suo savoir faire ottenendo grande successo, ma ad una terribile condizione: sarà lui a passare per l’artista dei grandi occhioni, “perché l’arte firmata da donne non vende”.

Il cuore ingenuo di Margaret deve subire questo affronto, mantenendo il segreto, nonostante le lunghe giornate di duro lavoro. Purtroppo le responsabilità che gravano su questo inganno mediatico e sulla sua famiglia le danno la forza di continuare a stare a testa bassa, sopportando bugie continue e amare verità che vengono a galla. Si tratta di una situazione d’impotenza e impossibilità di azione in cui si trovavano la maggior parte delle donne di quel periodo, costrette a fare le mogli o le madri, rimanendo a casa, senza lavoro, senza avere il modo o persino il permesso di crearsi un’identità sociale. Come molte altre, Margaret vive nell’ombra del marito, del suo spiccato carattere affabulatorio che ha convinto anche lei. Se quei quadri rappresentano dei veri e propri figli per lei, Walter se ne appropria senza riguardo, approfittandosi come un avvoltoio delle fatiche altrui e godendosi tutto il merito, privandola della parte più intima della sua fragile persona.

Big Eyes-1“Gli occhi sono lo specchio dell’anima” e quelli da lei dipinti sembrano riflettere lo stesso tormento che prova Margaret, sotto il controllo del primo opprimente marito, e poi in un secondo matrimonio dai piedi di argilla e pieno di lati oscuri, in un clima sociale in cui le donne sole non avevano molte opportunità. Eppure anche Margaret benché sposata è sola, non ha amici, trascorre le giornate dipingendo per Walter, sopportando l’anonimato e l’inesistenza, arrivando a mentire alla sua stessa figlia, l’unica cosa veramente sua.

Solo le più audaci e avventate potrebbero avere il coraggio di reagire e quello della protagonista stenta a venire a galla: servono anni di solitudine, di dolorose ferite e di reclusione dal mondo esterno perché si renda conto dello sfruttamento che subisce ogni giorno in silenzio. In questo caso realmente accaduto, si tratta di una vera e propria negazione esistenziale, come un lapidario “questo non fa per te”; Walter non le lascia alcun modo di esprimersi o di relazionarsi, sia nel rivendicare la paternità delle opere, e quindi in un certo senso delle sue “parole”, sia nel rimproverarla per aver chiacchierato con un uomo durante una delle mostre.

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