
Benvenuti a Marwen: l’arte come medicina – Recensione del film di Robert Zemeckis
Titolo: Benvenuti a Marwen (Welcome to Marwen)
Genere: biografico, drammatico
Anno: 2019
Durata: 1h 56m
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: Robert Zemeckis, Caroline Thompson
Cast principale: Steve Carell, Leslie Mann, Merritt Wever, Falk Hentschel
Maggiori info sul film nella scheda di Comingsoon.it
Robert Zemeckis è un maestro del cinema. Ci ha fatto divertire e appassionare con la fantascienza irridente di Ritorno al Futuro. Emozionare con l’ingenuità adorabile di Forrest Gump. Appassionare con un novello Robinson Crusoe in Cast Away. Rivivere la magia del Natale con l’innovazione di Polar Express.
Inevitabile, quindi, che ogni suo ritorno in sala sia atteso con fervida curiosità. Specie se accompagnato dalla notizia che protagonisti del film sarebbero state delle bambole animate come furbamente mostrato nel trailer di Benvenuti a Marwen. Solo che…
Da una bella storia vera
L’idea dietro quel giocattolo che può sembrare Benvenuti a Marwen nasce da una tanto insolita quanto sincera storia vera. Ridotto in fin di vita da un violento pestaggio da parte di un gruppo di omofobi neonazisti, Mark Hogancamp perse non solo la capacità di camminare e parlare, ma anche la memoria di chi era e cosa faceva per vivere.
Costretto a interrompere bruscamente la terapia riabilitativa a causa degli alti costi non coperti dall’assicurazione, Mark trovò una cura inattesa nell’arte. Iniziò a costruire una immaginaria città belga dove ambientare scene di guerra che avevano come protagonisti il suo alter ego Captain Hogie assalito da una plotone di nazisti e salvato da un gruppo di donne partigiane. Particolarità unica: tutto era realizzato con bambole e action figures che impersonavano personaggi importanti nella sua nuova vita. Grazie a queste messe in scena, Mark non solo recuperò la memoria. Ma divenne anche un fotografo rinomato che espone le sue fotografie di Marwen in mostre apprezzate in tutto il mondo.
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Una storia che era il soggetto ideale per un film e già ripresa in un bel documentario. Ed è proprio quest’ultimo ad aver convinto Zemeckis a scrivere e dirigere Benvenuti a Marwen. Un apologo dell’arte non più come necessità espressiva fine a sé stessa. E nemmeno come meritevole prodotto dell’ingegno umano. Ma piuttosto l’arte come medicina. Come lavagna su cui scrivere i propri sogni per leggervi le verità perdute. Le dettagliate riproduzioni di Mark non sono perfette per il piacere di esserlo, ma perché non possono mentire. E solo mostrando i dettagli si può essere certi che non ci siano bugie in quelle foto cristalline.
Una storia vera che dimostra come da ogni abisso si possa sempre risalire anche aggrappandosi ad un gioco che può essere il modo più serio per tornare a vivere.

A un film giocattolo
Benvenuti a Marwen poteva essere un omaggio sentito a chi trova la forza di rinascere dopo essere arrivato ad un passo dalla fine. Sfortunatamente, questo obiettivo viene centrato solo a tratti. Perché troppo a lungo sembra che Zemeckis interessi solo omaggiare invece i progressi della messa in scena.
Non è la prima volta che il difficile percorso di Mark Hogancamp viene raccontato. Ne era, infatti, già stato tratto il docufilm Marwencol diretto da Jeff Malmberg nel 2010. Vale la pena osservare come l’opera di Malmberg duri meno di un’ora e mezza, mentre il film di Zemeckis sfiora le due ore. Una differenza che non è un dettaglio. Perché gli abbondanti minuti in più vengono sfruttati da Zemeckis per mostrare la sua perizia nel riprodurre il mondo fittizio di Marwen. L’animazione in stop motion, la fotografia limpida, la verosimiglianza delle scene e delle figure sono certamente ammirevoli. Ma l’insistenza con cui vengono mostrate finisce per diluire il messaggio originale annegandolo in un malmostoso mare di superflue ripetizioni.
La curva di attenzione dello spettatore diventa quindi rapidamente in pendenza invece che crescere con l’evolvere della storia. Perché troppo a lungo si indugia nelle avventure ripetitive di Captain Hogie quando invece si sarebbe voluto accompagnare Mark nelle sue nuove sfide.
Benvenuti a Marwen finisce, quindi, per essere un film monco da cui non traspare l’importanza di quanto realizzato da Mark perché non viene raccontata la genesi delle sue donne di Marwen. Quasi che a Zemeckis importi più mostrare la sua bravura tecnica piuttosto che metterla al servizio dell’affascinante vicenda che dovrebbe raccontare.
Benvenuti a Marwen prende, quindi, una storia vera per farne un film giocattolo.

Un’occasione imperdonabilmente sprecata
Se fosse possibile accusare un regista per aver deluso i propri spettatori, Benvenuti a Marwen sarebbe la prova che l’accusa mostrerebbe per convincere la giuria. Non perché il film sia completamente da buttare perché troppo esperto e abile è Zemeckis per realizzare un prodotto che non abbia qualche innegabile qualità. Colpiscono, innanzitutto, la già citata meraviglia dell’animazione e la limpidezza della fotografia e delle scenografie.
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Soprattutto Benvenuti a Marwen conferma la crescita esponenziale di Steve Carell come attore drammatico. Considerato a lungo solo una macchietta per sketch comici, l’interprete americano si trova ormai sempre più a suo agio in ruoli nettamente differenti. La sua versatilità lo rende capace di spaziare con rimarchevole successo su diversi registri che in Benvenuti a Marwen vengono esplorati con credibile spontaneità proprio grazie alla bravura di Carell.
E tuttavia proprio l’aver sacrificato buona parte del film ad esaltare il proprio ego piuttosto che la qualità potenziale di un cast ridotto a giocare alle bambole è il crimine più grave di cui si macchia Zemeckis. Perché dimentica che quelli non sono giocattoli, ma personaggi veri e propri in un mondo in cui il regista non è riuscito ad entrare.
Alla fine Benvenuti a Marwen è un aereo che passa alto sulla città di Marwen per riprendere dall’alto quel che vi accade. Ma senza capire perché quel che sta riprendendo è tutto fuorché un gioco spensierato.