
Beautiful Boy: la recensione del film di Felix Van Groeningen con Timothée Chalamet e Steve Carel
Titolo: Beautiful Boy
Genere: drammatico
Anno: 2018
Durata: 1h 52 minuti
Regia: Felix Van Groeningen
Sceneggiatura: Luke Davies
Cast principale: Steve Carell, Timothée Chalamet, Maura Tierney, Amy Ryan, Timothy Hutton
In America oltre 50mila persone sono morte l’anno scorso per abuso di droghe, molte di più delle morti causate da incidenti e da armi da fuoco. Una vera epidemia a cui quest’anno alcuni registi statunitensi hanno dedicato pellicole e Beautiful Boy, film di Felix Van Groeningen nelle sale da oggi in Italia, è uno di queste. Il film è un vivido racconto della dipendenza e di come questa sia in grado di mettere in crisi la vita delle tante persone coinvolte. (N.d.R. un altro di questi film sulla dipendenza è Ben is Back )
Beautiful Boy: un racconto vivido sulla dipendenza
Nic è un ragazzo promettente: legge molto, scrive e ha una spiccata sensibilità artistica. Ha un brillante futuro davanti, è infatti stato scelto in tutte le università cui ha fatto domanda d’iscrizione. Ha un ottimo rapporto con il padre e con Karen (la seconda moglie di David) e i suoi fratelli, ma nonostante ciò si perde nel tunnel della dipendenza.
Nic è evidentemente depresso, nonostante un’infanzia felice e una vita apparentemente semplice e ricca di opportunità, cerca di sanare quella mancanza che sente in lui con le metamfetamine.
Felix Van Groeningen ci tiene a spiegare dettagliatamente, tramite le ricerche di David, come agisce questa droga sul corpo umano e quanto infima possa essere.
La metanfetamina agisce sui recettori della dopamina, generando un piacere e una sensazione di benessere non equiparabile da altre droghe. Questo effetto però produce assuefazione che richiede sempre dosi maggiori. Un vicolo senza uscita per il quale le probabilità di disintossicarsi sono bassissime, alte sono invece le possibilità di incorrere in danni celebrali permanenti.
Mentre si guarda Beautiful Boy, pur senza rendersene quasi conto, si trattiene il respiro insieme a David per buona parte del film, perché la dipendenza fotografata in Beautiful boy è lacerante. Nic ci prova, fallisce varie volte e con lui David. Nonostante altre figure genitoriali partecipino al dramma di Nic, il fulcro del film è il rapporto viscerale tra padre e figlio. Questo rapporto che è salvezza, ma anche disperazione e dramma. Una delle scene più sentite e drammatiche è, infatti, il momento in cui David prende atto che forse non ha il potere di salvare suo figlio a meno che non sia Nic a volersi salvare.
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Il talento di Timothée Chalamet
Timothée Chalamet incarna in modo eccellente la vulnerabilità fisica di Nic, il suo tumulto interiore, la sua disperazione pur senza risultare mai caricaturale e dimostrandosi un giovane attore talentuoso di cui sentiremo parlare anche in questa stagione degli awards. A sorreggerlo in questo compito non facile c’è la sempre straordinaria Maura Tyrney che con semplici sguardi ci comunica la disgregazione in atto della famiglia.
Steve Carell convince in un ruolo lontano dalle sue corde, un padre normale che si ritrova a dover lottare con qualcosa che lo dilania, ma per il quale non può fare molto.
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La dipendenza può colpire chiunque
Sebbene la regia di Groeningen sia scolastica e lineare, il messaggio del film arriva abbastanza diretto. La dipendenza può colpire chiunque: non ci sono discriminazione di sesso, estrazione sociale o cultura. Nic non ha subito violenze, non ci sono cause scatenanti per la sua dipendenza. Così come è abbastanza chiaro che la comunità di recupero non è la panacea.
Groeningen vuole essere onesto nel narrare la dipendenza da metamfetamine e Beautiful boy, manca forse di slancio narrativo, le cadute e ricadute di Nic fanno si che non ci sia evoluzione, ma è giusto che sia così. La dipendenza è una tragedia senza uscita, che si ripete senza fine. E in questo anche la conclusione è onesta. La sceneggiatura del film, infatti, è adattata dai libri Beautiful Boy: A Father’s Journey Through His Son’s Addiction di David Sheff e Tweak: Growing Up on Methamphetamines di Nic Sheff. E la lotta contro la dipendenza di Nic non è certo finita, anche se è sobrio da oltre 8 anni, ma dopo aver visto il film questo non ci suona come qualcosa di positivo a tutti i costi. Perché come ci dice Groeningen puoi andare alle riunioni, puoi restare sobrio per un anno, due o tre, ma la dipendenza è sempre lì e lo sarà sempre.