
Bates Motel: viaggio nella psiche di un Norman Bates
Nel 1960 Alfred Hitchcock, alla disperata ricerca di un nuovo soggetto per un film da girare, si imbatteva per caso nel libro scritto da Robert Bloch in cui si raccontava la storia dell’instabile Norman e della sua altrettanto insana relazione con una madre un po’ troppo opprimente. Ne nacque Psycho, film che all’epoca riscosse enorme successo di critica e pubblico, suscitando non poco scalpore soprattutto per la celebre scena della doccia. Nonostante le tante problematiche, Hitchcock riuscì a girare uno dei suoi film più celebri addentrandosi in una delle tematiche più interessanti della storia dell’umanità, quella della psiche, la profonda e spesso incomprensibile dimensione dell’animo umano in tutta la sua imprevedibilità.
L’analisi profonda della trasformazione di un ragazzo normale in un vero serial killer non era di certo il frutto della fantasia dello scrittore ma traeva ispirazione da un fatto realmente accaduto e precisamente a quella che fu la figura di Ed Gain, un killer che fu arrestato in seguito all’omicidio di alcune casalinghe e che ha ispirato anche altri villain della settima arte tra cui Jame Gumb de Il silenzio degli innocenti. A suscitare l’interesse di Bloch nei confronti di questa figura era soprattutto la voglia di capire come, dietro un ragazzo apparentemente normale, si potesse celare una personalità diabolica, un animo inquieto e disturbato.
Per anni, nell’universo televisivo o cinematografico, i serial killer hanno suscitato l’interesse di sceneggiatori e registi. Era solo questione di tempo prima che qualcuno traesse ispirazione dal celebre film di Hitchcock per dar vita ad un personaggio seriale. L’idea di Carlton Cuse (Lost) e Kerry Ehrin (Friday Night Lights) di riportare sul piccolo schermo uno dei personaggi più interessanti del cinema, è risultata un po’ come una scommessa vinta in partenza. Del resto la storia di base è si per sé già interessante ma gli sceneggiatori americani non si sono di certo fermati all’originale e hanno pensato di farcire la storia interrogandosi sulla figura di un Norman Bates adolescente alle prese con le prime pulsioni sessuali, adolescenziali ed esistenziale.
Seppure con qualche chiaro riferimento al film di Hitchcock nella perfetta ricreazione del Motel, la serie mostra un Norman Bates diciassettenne alle prese con il complicato rapporto con gli altri ragazzi della sua età ma soprattutto con il rapporto con una mamma che, a nostro avviso, ha più di un problema.
Ad essere precisi e a voler fare le pulci alla storia, bisognerebbe subito dire che gli eventi dovrebbero svilupparsi molto prima degli anni ’60 – e quindi molto prima dell’arrivo della famosa Marion in quel suggestivo e inquietante motel – ma la serie opta per una chiara modernizzazione dell’impianto narrativo con un Norman Bates che fa uso di telefonini, computer e di tutti i comodi mezzi tecnologici che sono in netto contrasto con gli ambienti vintage con cui è arredata la casa del protagonista e lo stesso Motel e con l’abbigliamento dei personaggi
Peccato, però, che la piccola cittadina di White Pine Bay non sia quel posto tranquillo che ci si aspettava. Man mano che si procede con la visione della serie, si scoprono particolari sempre più inquietanti e quella che doveva essere un’isola felice si delinea come un luogo dove rapimenti, traffico di essere umani, stupri, spaccio di droghe di ogni genere si configurano come eventi all’ordine del giorno. Non sembra esserci un solo personaggio positivo in questo micro universo della sfiga dove l’elegante signore della porta accanto, interessato a darti una mano per risollevarti dalle situazioni più difficile, si trasforma senza che ce ne siamo neanche accorti in un pezzo grosso poco raccomandabile che è pronto a ricattarti non appena se ne presenta l’occasione. Persino la lodevole insegnante di Norman, misteriosamente uccisa al termine della prima stagione, nasconde un passato non certo lodevole.
Così i due si ritroveranno di fronte ad una infinita quantità di circostanze sfavorevoli che creeranno diversi problemi. La piccola cittadina dei peccatori felici assume, in questo modo, un ruolo centrale di luogo in cui prendono piede attività illecite che, oltre a dover favorire uno sviluppo narrativo che non sia riconducibile solo al rapporto madre-figlio, si delineano come chiara metafora di un conflitto psichico e di un atteggiamento mentale tormentato che non riguarda il solo Norman.
L’intenzione di porre enfasi sulla teoria freudiana e sull’attaccamento psicosessuale del ragazzo nei confronti della madre è sempre più evidente e