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Barbari: Germani e Romani e… il wrestling – Recensione della serie Netflix

Il tanto (ingiustamente) vituperato wrestling si basa su due colonne portanti: le capacità atletiche dei lottatori e le storie in cui sono coinvolti. Storie semplificate al massimo con personaggi facili da incasellare in ruoli che si ripetono uguali da anni cambiando solo gli interpreti. Perché si parla di wrestling in una recensione di una serie tv? Perché la scrittura di uno show dello sport–spettacolo amato da moltissimi americani è molto simile al modo in cui in Germania è stata definita la sceneggiatura di una serie tv. Dopotutto Barbari di Netflix sarà visto anche da tantissima gente proprio in quegli Stati Uniti che sono la patria del wrestling.

Barbari: la recensione
Barbari: la recensione – Credits: Netflix

Germani vs Romani ai tempi di Teutoburgo

Ambientato nell’anno 9 d.C., Barbari vorrebbe raccontare la storia che portò alla Battaglia della foresta di Teutoburgo dove l’esercito imperiale romano subì una delle sue più cocenti sconfitte. Tre legioni andarono perse e, nonostante la successiva vittoriosa campagna di Germanico (figlio adottivo di Tiberio), la disfatta convinse l’Impero a fissare i suoi confini settentrionali sulla linea del Reno senza provare a conquistare il resto della Germania. La serie porta in scena tutti i protagonisti principali del racconto che ne fece Tacito nei suoi Annales. Ci sono, quindi, il governatore romano Publio Quintilio Varo, il re cherusco Segimer, il suo consigliere Segeste, la futura regina Thusnelda. E, soprattutto, Arminius ossia colui che riuscì a unificare le tribù germaniche rivali per attaccare l’esercito romano condotto in trappola dal suo doppio gioco.

Anche la sceneggiatura potrebbe essere già scritta perché ci hanno pensato Tacito e altri storici romani, ma anche ovviamente l’abbondante letteratura successiva che ha fatto di Arminius l’eroe nazionale tedesco. Però sarebbe stato troppo facile, per cui Barbari decide di seguire una propria strada facendosi guidare dalla bussola del romanzare. Il che è perfettamente legittimo trattandosi di una serie tv e non di un saggio accurato. Solo che nel fare questo, gli autori finiscono per cambiare completamente le motivazioni di Arminius e nel banalizzare il racconto storico riducendolo quasi ad una vendetta personale saldata al desiderio di ribellarsi all’oppressore romano.  

È da qui che il parallelo con la scrittura degli show di wrestling diventa evidente. Ai fan di questo spettacolo interessano le divisioni manichee: face vs heel, ossia buono contro cattivo. E, quindi, anche in Barbari ci devono essere i buoni e i cattivi e deve essere chiaro chi sia chi. E, poiché il protagonista è Germano, allora i Germani saranno i buoni e i Romani i cattivi. Quindi, i Germani sono onesti, coraggiosi, solidali, pacifici finché non vengono costretti a reagire. Per contrasto, i Romani saranno violenti, dispotici, crudeli, insensati, convinti della propria superiorità e sprezzanti verso i loro sottoposti.

Che fosse o meno la verità a Barbari non interessa. Face vs heel e avanti così.

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Barbari: la recensione
Barbari: la recensione – Credits: Netflix

Redemption story

Una storia basica che ha sempre successo nel wrestling è la redenzione del cattivo. Ossia quando un lottatore visto come heel compie una serie di passi che lo portano, infine, dalla parte dei face per venire osannato dal pubblico. Barbari segue questo canovaccio facendo di Arminius il protagonista di questa redemption story. Figlio del re dei Cherusci, ma cresciuto da Varo come sigillo di un trattato di pace, Arminius è inizialmente un efficiente e leale generale che non mette mai in dubbio la grandezza di Roma e da che parte sia la giustizia. Non si commette il peccato mortale di spoiler svelando che è dalle parti dei buoni che la serie porta a sedere un Arminius che ha recuperato e celebrato le sue origini.

Peccato che, in realtà, il vero Arminius di questa redemption story non potesse essere protagonista perché i Romani li ha sempre odiati. Ha servito sotto di loro raggiungendo il grado di generale e guadagnandosi la cittadinanza romana, ma solo per poter avere la loro fiducia per meglio ingannarli appena fosse riuscito a unificare le tribù germaniche sotto il suo comando. Gli autori di Barbari sono, quindi, costretti ad inventarsi un Arminius che con quello storico condivide il nome e le origini, ma che arriva allo stesso finale come risoluzione di un conflitto interiore che non è mai esistito.

Non è, tuttavia, questo il loro peccato. Perché, in verità, proprio Arminius è il personaggio meglio caratterizzato e l’unico con un percorso ben delineato ed una evoluzione curata. L’errore di Barbari è di cadere in cliché abusati e fuori luogo. Su tutti il gioco a tre con gli amici di infanzia Thusnelda e Folkwinn che svolge il ruolo di motore che avvia e accelera la redenzione di Arminius. Ma anche il legare la decisione finale ad un desiderio non esaudito che fa assomigliare la sua reazione alla ripicca offesa di un bambino che non ha avuto il giocattolo preferito. Frettolosa anche la love story con Thusnelda che fiorisce quasi dal nulla passando in un attimo dal siamo solo amici al finché morte non ci separi.

Barbari vorrebbe lasciarsi ispirare dalla lezione del romanzo storico innestando storie di fantasia nella Storia. Ma va in confusione troppo in fretta mischiando le semplificazioni del wrestling con la complessità della storiografia.

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Barbari: la recensione
Barbari: la recensione – Credits: Netflix

Un Vikings mancato

Non è tutto da buttare in Barbari, anzi. L’azione e il ritmo (complice anche la durata breve in soli sei episodi) sono ingredienti che consentono una visione dopotutto gradevole. La resa scenica della battaglia finale è indubbiamente ammirevole, nonostante un fastidioso e superfluo voice over. Anche lodevole è l’attenzione alle armature dei romani e le pitture facciali dei Germani. Interessante soprattutto la scelta di far parlare ai Barbari la lingua dello spettatore lasciando che i Romani si esprimano in latino. Una scelta che ha il chiaro intento di rendere più facile entrare in sintonia con Cherusci, Carsi, Bructeri e gli altri popoli barbari sottolineando l’estraneità dei soldati di Roma.

È anche una decisione che mostra in maniera evidente quanto gli autori di Barbari abbiano studiato la lezione di Vikings. Senza tuttavia impararla davvero. La serie di History Channel non aveva solo un’attenzione quasi maniacale al realismo storico (purtroppo persa per strada nelle ultime stagioni). Ma soprattutto era in grado di costruire personaggi che si comportassero seguendo le proprie tradizioni pur con la volontà di esplorare mondi nuovi. Barbari, invece, è carente proprio nella scrittura dei protagonisti. Che sembrano essere caratterizzati solo dall’essere pro o contro Roma finendo per essere quasi intercambiabili e quindi sostanzialmente anonimi.

Evadono da questa regola solo Thusnelda e Folkwinn, ma con risultati comunque non pienamente soddisfacenti. La prima è chiaramente una Lagertha sui generis che si vorrebbe presentare come maggiormente legata all’aspetto religioso rispetto alla sua alter ego in Vikings. Ma questo legame non è mai approfondito apparendo, invece, come una scusa per arrivare alla trasformazione finale in guerriera invasata e dipinta. Folkwinn, invece, è un’altra figura tipica del wrestling. L’underdog ossia l’uomo comune che supera le avversità per diventare l’eroe del popolo. Un personaggio non storico introdotto solo per completare un triangolo amoroso che suggerisce infine una rivalità che potrebbe sfociare in una eventuale seconda stagione.

Barbari avrebbe potuto essere un interessante romanzo storico per immagini se avesse deciso di approcciarsi alla storia di Arminius scegliendo l’esempio di Vikings. Ha scelto, invece, di scrivere la sceneggiatura seguendo gli schemi del wrestling. Quanto questa non fosse una buona idea lo si vede troppo.

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Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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