
Aspettando il re: recensione del film con Tom Hanks
Titolo: Aspettando il Re (A Hologram for the King)
Genere: Commedia
Anno: 2016
Durata: 97′
Regia: Tom Tykwer
Sceneggiatura: Tom Tykwer e Dave Eggers (tratto dal suo omonimo romanzo)
Cast: Tom Hanks, Alexander Black, Sarita Choudhury, Sidse Babett Knudsen
Quando un film è tratto da un’opera letteraria nel bene o nel male, si intuisce. In questo caso le riflessioni sociali e politiche che sono il fulcro del racconto, potrebbero essere ragionevolmente il frutto di un’analisi che sta alla fonte dell’ispirazione letteraria.
Ologramma per il Re, romanzo di Dave Eggers, ben sintetizza nel titolo la bizzarra idea del commesso viaggiatore Alan Clay di vendere al sovrano dell’Arabia Saudita un software per conferenze in 3D.
Dave Eggers, già sceneggiatore de Nel paese delle creature selvagge, ha un’abilità piuttosto disinvolta nel mettere insieme alcuni luoghi comuni e imbastirli con un esotismo impegnato. L’Arabia Saudita è meta di missione commerciale per gli americani, sottile critica alla politica estera statunitense? Nel contempo rappresenta anche il seme gettato nella sabbia affinché uno dei più integralisti fra i paesi islamici si americanizzi.
Siamo al solito dalle parti dell’esportazione della democrazia e il concetto viene ben che sottolineato in un confronto fra il protagonista e il suo accompagnatore Yousef (Alexander Black). Alan abbraccia il fucile con il quale dovrebbe sparare a dei lupi che assediano un branco di pecore nella notte. L’amico arabo gli chiede se se la sentirà di aiutarlo a importare nella sua terra un po’ di America, lui che tra l’altro adora i Chicago ed Elvis. Il discorso si fa complesso e pieno di insidie per l’americano medio fin troppo impacciato nel trovarsi in una condizione simile. La sua scelta sarà di non sparare al lupo, anche se messo nella possibilità di farlo e di convincere il giovane autista ad affrontare l’uomo da cui sta fuggendo faccia a faccia, con un franco dialogo. Mi sembra assodata la facile metafora che l’episodio vuole rappresentare.
Si procede così per episodi emblematici, come quello della città da costruire nel deserto. La chiamano la Metropoli del re e sulla carta ha tutto ciò che si desidera da una grande città: centro direzionale, centri commerciali e parco dei divertimenti. Manca chi la abiti, tanto che in un desolante quanto futuristico quartiere residenziale in costruzione, l’unico appartamento di rappresentanza ha la sontuosità di un alloggio regale, così da allettare acquirenti e investitori. Al piano terreno, prima di salire le scale del cantiere per giungere al quinto in una sorta di trapasso dantesco, Alan nota che a solleticare l’interesse dei potenziali compratori sono stati stampati dei cartelloni che promettono l’apertura imminente di catene food and beverage di noti brand americani. Cartelli farlocchi. Ma è lo stesso intero paese a sembrar soggiacere alla pratica della costruzione di facciata. E’ così per l’enorme tenda che contiene praticamente il nulla, è così per l’austero palazzo dirigenziale – che nasconde nel retro un giardino per gli impiegati stranieri in pausa pranzo -, così le ambasciate che si trasformano in discoteche notturne, e così per le donne che dietro il velo nascondono un corpo e un’anima che pulsano.
Una cosa salta agli occhi, tutti questi paraventi di cartone sono costruiti con barche di soldi.
Fra un episodio e l’altro, aspettando appunto un re che pare non abbia alcuna intenzione di arrivare, Alan fa i conti con il suo passato… Gli elementi narrativi sono molteplici, in parte risolti e in parte no, servono a dare rotondità a un personaggio che abbiamo visto molte altre volte. L’americano medio, di mezza età, in crisi lavorativa e coniugale, con una figlia che non riesce a mantenere agli studi… insomma il ritratto è costruito apposta per farcelo piacere, questo sbiadito signor Clay, e come se non bastasse si chiama a interpretarlo Tom Hanks (a poca distanza da Sully). Il gioco è fatto. L’empatia che proviamo per lui ci porta a tifare per ottenere il risultato, che l’ologramma quindi venga comprato dagli arabi e la vita venga appianata.
E qui arriva il twister della storia, che come si può notare è molto ben costruita. Abbiamo imparato a voler così bene a questo signore, temendo perfino che possa morire dissanguato a causa di un’enorme cisti sulla schiena, e ad apprezzare al contempo anche le contraddizioni del mondo in cui è stato avvolto, che la sintesi perfetta è farlo innamorare di una donna araba (Sarita Choudhury) e tifare per questa unione.
Il sapore un po’ di favola della fine del film, si sposa abbastanza bene con il tono da commedia che lo attraversa da cima a fondo, nonostante i temi siano di non facile trattazione.
Negli anni della guerra fredda la grande città americana appariva ad inizio film come un luogo familiare, accattivante, divertente, così appare New York ai giorni nostri. Panoramica a volo d’uccello in apertura, sintesi della vita del protagonista con l’ausilio di animazione ed effetti, lo stile commedia è svolto brillantemente dal regista Tom Tykwer, attingendo come capita già da un po’ dai film degli anni 50.
Diciamo che lo scopo di intrattenere e al contempo porre questioni politiche di livello, in qualche modo funziona, purtroppo rimane tutto molto in superficie e non credo sia questa la strada migliore per introdurre nello spettatore il seme del dubbio.