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APB: Recensione dell’episodio 1.01 – Hard Reset

“Sono in forte ritardo per la recensione del pilot di APB. Che faccio? Ad Hard Reset aggiungo anche la seconda puntata, Personal Matters ?”
“No, guarda, non ti preoccupare. Fai pure solo il pilot, sarà una roba ignobilissima”.

In sintesi è questo il dialogo andato in scena in redazione riguardante la nuova serie APB: un procedural drama di Fox, creato da David Slack (che ha scritto per il nuovo McGyver, Person of Interest, Lie to Me, Law & Order, The Forgotten e altre tantissime cose) e con Justin Kirk come protagonista e che presenta forti rimandi, più o meno volontari, al periodo a cavallo fra gli anni ’80 e gli anni ’90.

Siamo a Chicago, che, per chi non lo sapesse, è la città degli Stati Uniti con il maggior problema di criminalità e microcriminalità. Protagonista del racconto è un ingegnere geniale, genio del mercato applicato alle armi e alle grandi lobby. A chi dovreste pensare in questo momento ? Esatto, a Tony Stark. Il Gideon Reeves di APB non è altro che un Tony Stark più guitto, come diremmo noi in Romagna, più sborone, molto patacca, arrogante e con una passione nel trasformare tutto in uno show. Durante una rapina in una drogheria gli uccidono il collaboratore, suo amico di infanzia, e da lì, minacciando il sindaco di sostenere tutti i suoi concorrenti alle prossime elezioni, ottiene il permesso di riorganizzare il tredicesimo distretto, dove è avvenuto il crimine, con lo scopo di rintracciare l’assassino. E in un attimo partono le citazioni ai più diversi polizieschi. Nel prendere il controllo del distretto, Reeves dota il corpo di nuova tecnologia, dopo essere stato testimone dell’inefficienza della polizia a causa del budget risicato.


Le nuove auto sembrano uscire da Robocop, come le nuove pistole, in realtà dei taser che sparano con una gittata simile ad un’arma da fuoco. La poliziotta Theresa Murphy (Natalie Martinez), che serve come seconda voce nel confronto fra tecnologia e essere umani, è spudoratamente ritagliata attorno alla figura dell’agente Garcia di Tequila & Bonetti, solo meno carina e coccolosa e in più con l’istinto della cacciatrice, unica poliziotta in pattuglia da sola, senza compagno. Ada Hamilton, l’assistente di Reeves, sembra uscita da Strange Days e da altri film cyber punk. In un attimo, e forse pure troppo velocemente ma il ritmo del racconto è serrato, la serie spara tutte le proprie cartucce su cui si baseranno le prossime puntate: i nuovi applicativi inventati dall’uomo possono sostituirsi al fattore umano? Sostanzialmente su questa domanda si basa APB, un confronto che verrà portato avanti facendo vincere, alternativamente, una sponda e poi l’altra. Ininterrottamente, per continuare ad alimentare il dibattito.

E in seconda battuta: è giusto basarsi unicamente sulla tecnologia, anche quando questa diventa fallace? Tra tutto questo ci sono le scene d’azione con un montaggio veloce, concitato, che inserisce al proprio interno ogni tipo di inquadratura possibile compresi i punti di vista dei poliziotti (dotati di telecamere), senza esitare per troppi secondi, ma dando un senso comunque alle scelte delle inquadrature e risultando forse la cosa migliore di tutta la serie. L’elemento peggiore, invece, rimane la scelta di relegare in terzo, se non addirittura quarto o quinto piano, il tema che maggiormente dovrebbe far discutere dal punto di vista etico: è lecito che un privato cittadino assuma il controllo della giustizia?

Purtroppo per APB, di duelli fra macchine, computer ed esseri umani è piena la storia del piccolo e del grande schermo e non si sentiva la mancanza di una nuova serie impostata per la maggior parte sulla nuova fantomatica app per cellulari (APB, da cui il nome della serie) che mette in diretta comunicazione cittadinanza e forze dell’ordine. Anche perché sistemi del genere, meno automatizzati, esistono già, pure in Italia, pure nella più desolata provincia, ed hanno già dimostrato il proprio aiuto nella lotta contro la microcriminalità. Nessuna idea quindi straordinaria all’origine di questa serie, che, invece, visto il proprio protagonista che tenta di rendere caricaturale il ruolo di Tony Stark, dovrebbe puntare sulla spettacolarità e la spettacolarizzazione delle invenzioni di Reeves, le auto, le armi, le tute di protezione, i droni, gli inseguimenti e le sparatorie. D’altronde lo spettatore di APB è questo, un pubblico che si siede sulla sedia o sul divano e non vuole avere il tempo per pensare, ma vuole rimanere a bocca aperta, saltare sulla poltrona per esplosioni e altre trovate varie. Uno spettatore che preferisce chiudere il cervello e gasarsi alle spalle dei poliziotti.

Delle menate etiche, APB, potrebbe fare tranquillamente a meno, anche perché, oltre ad essere ampiamente state trattate da opere ben più importanti, puntano il dito su questioni scarsamente innovative.
Tornando quindi al dialogo di redazione che ha aperto questo articolo, in sostanza, APB è la cosa ignobile che si può pensare vedendo il trailer e qualche spot? Sì, la risposta però è gridata di gran cuore, perché quando APB mette in scena il carrozzone americano, senza particolari trovate allucinanti, ma con una sapiente narrazione dell’azione diventa un prodotto godibile. Quando invece prova ad alzare il tiro e a farsi serio, deraglia completamente il proprio cammino e possono piovere solo pernacchie.

Morale della favola, se un prodotto del genere fosse stato dato in mano a Paul Verhoeven, ne sarebbe venuto fuori un capolavoro e un cult, sicuramente capito postumo, come spesso avvenuto per i migliori film del regista olandese. Anche perché APB spacca quando l’agente Murphy (il cui nome ricorda per altro Alex Murphy, il vero nome di Robocop, e la legge di Murphy. E infatti un po’ di sfiga la ragazza la porta con sé) mette da parte il fattore umano, che porta i poliziotti ad essere vicini alle vittime e ad empatizzare con i cittadini, e spara col taser ad una ragazza tenuta in ostaggio con una pistola puntata alla testa, solo per farla stramazzare al suolo e avere la visuale libera per sparare anche al criminale. E non contento, ci mostra pure l’ostaggio radioso per la decisione presa dalla poliziotta, zittendo sul nascere chi, al contrario, avrebbe potuto sollevare questioni morali.

E infine vi svelo un altro segreto per il quale APB avrebbe potuto spaccare se solo avesse avuto il coraggio di esasperare i toni del racconto, portando in scena una caricatura della società: nel cast è presente pure Ernie Hudson. CHI È ERNIE HUDSON ? È il Winston Zeddermore dei Ghostbusters (o il poliziotto di Il Corvo, se preferite), roba da far accapponare la pelle, spellarsi dal battere le mani e finire la saliva a suon di fischi e pernacchie. Un risultato che avrebbe potuto ottenere pure APB, se solo avesse avuto più coraggio e più senso critico e non fosse stata sta banalata ritrita da mentecatti.

Federico Lega

Fra gatti, pannolini, lavoro, la formazione del fantacalcio e qualche reminiscenza di HeroQuest e StarQuest, stare al passo con le serie tv non è facile ma qualcuno lo deve pur fare

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