
Antigone: Sofocle ai tempi dei social – la recensione del film di Sophie Deraspe in anteprima alla Festa del Cinema di Roma
Titolo: Antigone
Genere: drammatico
Anno: 2019
Durata: 1h 44m
Regia: Sophie Deraspe
Sceneggiatura: Sophie Deraspe
Cast principale: Nahema Ricci, Rawad El – Zein, Antoine DesRochers
Certe domande sono destinate a essere riproposte ciclicamente. Anche quando una risposta l’hanno già ottenuta. Perché alle volte non basta sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Alle volte giusto e ingiusto sono categorie astratte che si scontrano con la realtà concreta di altri astratti. Con i sentimenti. Lo sapeva Sofocle nel 442 a.C. in cui metteva in scena la sua tragedia. Lo sa Sophie Deraspe nel 2019 in cui è ambientato il suo film. Millenni diversi e medium diversi per lo stesso titolo: Antigone.

Dalla Tebe di Sofocle al Canada di Deraspe
Candidato a rappresentare il Canada agli Oscar, Antigone è una rilettura per certi versi ardita della tragedia omonima del grande drammaturgo greco. Nel testo di Sofocle, Antigone seppelliva il corpo del fratello Polinice il cui cadavere il re tebano Creonte aveva ordinato fosse lasciato in pasto alle belve e agli uccelli. Per punizione, Antigone era, quindi, condannata a passare il resto dei suoi giorni in una caverna gelida e umida da cui sarà poi liberata dopo le insistenti richieste del coro. Troppo tardi, però, perché l’innocente si era già suicidata impiccandosi.
Nel riadattare in chiave moderna il testo originale, Sophie Deraspe sposta l’azione nel Canada di oggi facendo di Antigone (Nahema Ricci) una immigrata fuggita con la nonna Meni (Rachida Oussaada), la sorella Ismene (Nour Belkhiria) e i due fratelli Eteocle (Hakhim Brahimi) e Polynice (Rawad El – Zein) da un paese islamico dopo l’uccisione dei genitori. Nel liberale e accogliente paese nordamericano, Antigone è diventata una studentessa modella in una famiglia dove la sorella si arrangia a fare la parrucchiera e i fratelli provvedono a portare a casa i soldi senza che nessuno faccia troppe domande.
Antigone sembra trovare anche l’amore di Hemon (Antoine DesRochers) quando tutti improvvisamente precipita a causa della morte di Eteocle ucciso per errore dalla polizia durante l’arresto di Polynice. È in quel momento che tutto cambia e l’Antigone di oggi trova un modo tutto suo di riportare in vita l’Antigone di ieri.
Perché millenni sono passati e tutto è diverso. Tutto tranne una cosa.


La legge e il cuore
Quella cosa sono i sentimenti. L’amore per la famiglia. Il senso di responsabilità di chi è rimasto vivo quando altri sono morti senza colpa. Il desiderio di esserci per chi ami anche quando è l’altro ad essere colpevole. Il lasciare che siano gli affetti a comandare e non la ragione a scegliere. In Antigone, che sia la versione di Sofocle o quella di Sophie Deraspe, ad invadere la scena è il conflitto irrisolvibile tra la legge e il cuore. Tra ciò che razionalmente è giusto e ciò che intimamente non possiamo accettare.
Polynice è colpevole e, secondo quella stessa legge che ha consentito a tutti loro di essere accolti e di integrarsi, deve essere punito. Ma quando è che una legge giusta diventa ingiusta? Quando la sproporzione tra la colpa e la punizione è tanto manifesta da trasformare la giustizia in tirannia? Violare la legge per impedire che la legge stessa condanni alla persecuzione invece che indirizzare verso la redenzione è un gesto da vituperare o da lodare? Domande che lo spettatore è invitato a porsi oggi come se le posero secoli addietro coloro che sedevano nei teatri dove gli attori declamavano i versi di Sofocle. E che sono ancora lì immutate nonostante le legioni di giuristi e le migliaia di pagine da loro scritte per rispondere a questi dilemmi etici.
Che paradossalmente non interessano proprio ad Antigone. Per la quale Polynice e Eteocle sono e resteranno sempre i suoi fratelli. Il bambino spaurito che chiedeva di essere preso in braccio in cerca di quell’affetto che gli era stato negato. Il rassicurante fratello maggiore a cui tutti si aggrappano quando cercano una baia in cui ripararsi aspettando che passi la tempesta. Questo erano Polynice ed Eteocle per Antigone. E questo continueranno ad essere perché lei possa battersi per loro. Che siano o meno davvero questo anche agli occhi degli altri e soprattutto della legge che avrebbe dovuto proteggerli tutti indistintamente.
Antigone è il cuore che si scontra con la legge in un conflitto che nasce ieri ma che non smette di restare vivo. Addormentandosi a volte, ma morendo mai.


Il coro di Sofocle e i social di Sophie
Come in ogni tragedia greca, un ruolo importante nell’opera di Sofocle era giocato dal coro. Era, infatti, questo a convincere, seppure troppo tardi, Creonte a liberare Antigone. Ed è nell’attualizzare questo concetto che il film di Sophie Deraspe fa una scelta apparentemente dissonante con i toni intimi e drammatici di Antigone. Quel coro diventa, infatti, la grande rete dei social. La morte di Etocle genera video su video e foto modificate ad arte. La protesta di Antigone vive di frasi dette apposta per diventare motti per Twitter. La folla si veste dei colori e dei marchi che Hemon per primo diffonde.
Il film si trova, quindi, a seguire questa onda pop alternando la lentezza dei momenti riflessivi con la frenesia delle immagini che inondano la rete. Altrettanto, fa la regia che parcellizza lo schermo a dimensione di cellulare o tablet lasciandosi dominare dal dilettantismo di selfie e istant videos. Una operazione coraggiosa che alleggerisce il film rendendolo però disomogeneo. Soprattutto perché il passaggio repentino dalla giocosità di questa protesta alla moda, alla riflessività drammatica della storia di Antigone produce un effetto straniante non sempre facile da accettare.
Antigone è un film da vedere anche per la bravura della sua interprete principale Nahema Ricci che si carica il peso di una operazione difficile eppure complessivamente riuscita. Prendere un testo classico cogliendone la sostanza più profonda. Cambiando tutto per dire con parole nuove lo stesso messaggio di un drammaturgo greco di mille anni fa. Che la legge può decidere cosa sia giusto o sbagliato, ma non può imporre al cuore di non fare di tutto per chi si ama.