
American Pastoral: la recensione del film di Ewan McGregor
Titolo: American Pastoral
Anno: 2016
Genere: Drammatico
Regia: Ewan McGregor
Sceneggiatura: Paul Romano (dall’omonimo romanzo di Philip Roth)
Cast principale: Jennifer Connelly, Dakota Fanning, Ewan MCgregor, Uzo Aduba, Rupert Evans, David Strathairn
Ci sono professioni che invidio molto, altre che sarei felice di fare per il resto della mia vita. Tra quelle non c’è assolutamente quella di una sceneggiatrice incaricata di adattare allo schermo un libro, di successo o sconosciuto che sia. Soprattutto se è un libro particolarmente noto al grande pubblico. Soprattutto se gli adattamenti cinematografici precedenti dei libri dello stesso autore sono risultati, per essere lusinghieri, poco adatti.
American Pastoral sfoglia questo libro magistralmente complesso, questo vincitore del premio Pulitzer e si affida a Paul Romano per una nuova e stravolgente storia. Forse non c’è aggettivo più adatto dei molti che si possono attribuire a questa pellicola, stravolgente somma molto bene l’insieme.
American Pastoral e le domande senza risposta di una trama difficile
Si tratta tuttavia di una storia che slitta dai binari dell’abitudine e prosegue sulla scia di un peccato che squarcia in due la famiglia e l’opinione pubblica. Quando la giovane Merry fa esplodere un negozio e un uomo rimane ucciso nell’atto, Seymour lo Svedese Levov (Ewan Mcgregor) e Dawn Miss New Jersey Levov vedono la loro intera esistenza crollare a pezzi. Perché mentre la loro principale preoccupazione resta trovare una figlia di cui non si sa più nulla, l’opinione pubblica critica la loro vita e la loro condizione. Critica una famiglia che non è più in cima alla lista degli invidiati d’America, ma che precipita rapidamente in fondo alla stessa.
Il nodo focale del film tuttavia, la storia ed il suo sviluppo, restano troppo statici ed eccessivamente riflessivi. Lo spunto di riflessione della storia, che dovrebbe essere una conseguenza, qui è invece la causa e il movente, che rende difficoltoso seguire la continuità degli eventi ma anche capirne, molto frequentemente, la profonda ragione e ragionevolezza.
Un cast da sogno per una storia che i sogni li frantuma
La sfumatura meglio definitiva della pellicola, che insieme ne è punto forte e difetto, è l’ambiguità dei personaggi, le loro scelte, il loro percorso. Se infatti ci sembra facile poter giudicare un’azione compiuta dagli altri, in questo caso è talmente sottile il confine tra bianco e nero che nemmeno il più acuto tra gli psicologi potrebbe uscirne indenne. Si tratta di una sequenza di gioie e dolori con scelte parzialmente condonabili dei personaggi.
È giusto che una madre dimentichi una figlia e vada avanti con la sua vita? È giusto che una ragazza che ha causato la morte di persone innocenti debba vivere, anche se con i suoi rimorsi, lontana da una prigione? È giusto che un padre perda tutto quello che ha perché sua figlia ha scelto una strada così diversa dalla sua? Non c’è una risposta ed è tutto qui il gioco di questo film, che senza gloria e senza infamia regala allo spettatore il migliore adattamento di un film di Philip Roth. Peccato che tra miglior adattamento e buon film ce ne sia di strada da fare.