
American Horror Story: Recensione dell’episodio 3.13 – The Seven Wonders
Delusione. C’è del buono nel finale di stagione di Coven, ma visto il penultimo episodio era lecito aspettarsi molto, moltissimo di più. Invece Douglas Petrie, scrittore dell’episodio, ha fatto il compitino e ha portato a casa la sufficienza. A poco vale la regia di Gomez-Rejon che mai come in questo caso non è in grado di suscitare interesse dove il copione non fornisce sufficiente mordente. Ryan Murphy… perché?
Spreco. Perché Coven è tra le tre storie di AMH quella che aveva più possibilità di dire davvero qualcosa. Non ho sbagliato verbo, intendo proprio “dire”, ovvero scatenare un dibattito, dare un punto di vista, un’opinione, su temi attuali e di valenza sociale. L’oppressione della donna, l’incapacità degli oppressi di unirsi contro gli oppressori, l’odio verso il diverso, il razzismo. Ce n’era di cose da dire. A cui si sono aggiunti temi più universali come l’angoscia della vecchiaia, il dramma della mortalità, il senso di maternità, il tentativo di compiacere dei genitori distaccati. C’era abbondanza di temi. Eppure alla fine, Coven non è riuscito ad approfondirne nessuno.
Frustrazione. C’era così tanto su cui potersi soffermare in questa stagione. Da un certo punto di vista, guardando indietro, Asylum era riuscita a dare un senso di compimento a tutte le sottotrame, nonostante fossero troppe e giustapposte così, a caso. Risulta paradossale quindi che Coven, che di sottotrame ne aveva infilate di meno, non ce l’abbia fatta ad ottenere lo stesso risultato. Troppe cose rimangono buttate lì, a farti chiedere “ma perché le hanno messe?”: la storia del vicino di casa Luke e la madre assassina, la faida tra streghe e voodoo, i cacciatori di streghe, Fiona che non ha un’anima, l’incontro tra il Minotauro e Queenie, lo stesso Spalding, che appare tutto a un tratto. Anche lui “così, a caso”. Ognuno di questi spunti poteva donare tanto: azione, accadimenti. In poche parole: interesse. Invece niente. Sono state inserite strumentalmente per riempire e fare un po’ di movimento, o per giustificare alcuni passaggi, ma con la sensazione che fosse semplicemente una deviazione dal bersaglio. Pensiamo ad esempio a Queenie. È evidente che ci sia un movimento interiore nel personaggio. Purtroppo però è solamente intuito e tratteggiato. Per essere poi messo da parte.
Inconsistente. Il soggetto alla base di Coven è semplice: in un mondo dove esiste la magia, un gruppo di streghe è sull’orlo del cambiamento quando la loro guida sta per morire. La regina non vuole cedere il passo e vuole scoprire chi sarà a succederle per ucciderla. Invece di seguire il soggetto, la serie sbava a destra e a manca, aumentando sicuramente l’effetto complessivo di paura, orrore e perversione, con sprazzi di sadomaso e di lieve splatter. Mentre Asylum era fondamentalmente basata sul mistero e la ricerca della verità (del resto la protagonista era una giornalista investigativa), la premessa di Coven è tutta diversa. Per cui, mentre prima l’aggiunta di elementi esterni era funzionale a rendere il mistero più intricato, adesso ci troviamo semplicemente a deviare dalla strada principale. E il risultato, ahimé, è proprio ciò che danna questo season finale.
Quello che è mancato a questa puntata era il senso di urgenza, il bisogno di scoprire cosa sarebbe successo. C’è in alcuni momenti, ma si spegne presto e non dura abbastanza. Il ritorno di Fiona ne è un esempio: stai per tutto il tempo a bordo sedia in attesa di un qualche colpo di scena, c’è tensione, si percepisce. Solo lì però. Perché? Perché pensi “qualcosa deve succedere!”. E invece no. La puntata, dopo aver fatto fuori le streghe una per una va via liscia. Chiude questa serie con semplicità. Delusione per lo spreco di materiale, mi crea frustrazione per la sua inconsistenza e la noia che deriva dal suo essere così insipida. Poteva affondare le unghie sui temi che ha lanciato all’inizio, poteva tracciare una storia che sarebbe risuonata come epica con una lotta tra streghe e cacciatori o tra streghe e voodoo. E invece accenna, ma non dibatte. Vuole essere fortemente immersa nel folklore di New Orleans senza però affondarci fino in fondo, senza farsi lasciare travolgere e sfruttandolo unicamente come spunto per una narrazione dilungata che si salva davvero solo per il comparto tecnico. Regia, fotografia, effetti speciali, costumi e recitazione sono certamente degni di numerose riverenze, avendo lavorato fino all’ultimo nonostante la sceneggiatura. Salutiamo quindi le streghe di Coven in attesa di scoprire cosa aspettarci dalla quarta stagione della serie, che tornerà l’anno prossimo con un’ambientazione anni ’50. Nel frattempo, dormite sonni tranquilli. C’è Papa Legba che veglia su di voi.
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IO l’avevo detto!!!!!!!! Cordelia suprema e fiona non morta…. ma pensavo mi sorprendessero e invece, manco la felicità di essere smentita 🙁 la tristezza estrema proprio. Rimane da dire solo una cosa: Olimpo delle penne ? Ma anche no!