Ci sono tanti modi per distinguere un ottimista da un pessimista. Ad esempio, la frase “abbiamo toccato il fondo, ora possiamo solo …” si può completare in due modi. Un ottimista aggiungerà “risalire”; un pessimista chiuderà con “iniziare a scavare”. Questi due modi opposti di affrontare una situazione oggettivamente difficile hanno animato anche i fan di American Horror Story in attesa della premiere di questa sesta stagione, appena adesso conclusasi.
Almeno, quelli che sono riusciti a sopravvivere al declino iniziato con Coven, proseguito a precipizio con Freak Show e sprofondato fino al proverbiale fondo con Hotel. Con My Roanoke Nightmare Ryan Murphy e Brad Falchuck, ideatori del format e autori anche di questa sesta stagione, riescono nella mirabile ma non necessariamente lodevole impresa di dar ragione sia agli ottimisti che ai pessimisti. Merito (o colpa?) di una stagione spezzata sostanzialmente a metà con una prima parte che prova ad essere innovativa e con una trama compatta e una seconda che ripete tutti gli stessi errori delle due stagioni precedenti quasi compiacendosene per tanto insistita è la costanza con cui vengono riproposti.
La Ragione degli Ottimisti
Eppure, l’idea iniziale era stata davvero promettente. Non per l’ambientazione in una casa infestata che non eccelle certo per originalità. E neanche tanto per il riferimento al mistero della colonia perduta di Roanoke, elemento del folklore americano su cui si sa talmente poco da lasciare ampia libertà agli autori di inventare senza scontrarsi con la realtà storica. Ma per la scelta intelligente di presentare il tutto sotto formato di mockumentary. Un finto documentario con il cast che si sdoppia per interpretare da un lato i membri di una famiglia sfuggita con coraggio e un fortuna a quei fantasmi sanguinari che sono diventati i coloni di Roanoke e dall’altro gli attori protagonisti della ricostruzione filmata. Sebbene vedere Shelby, Matt, Lee raccontare gli eventi passati automaticamente implicasse la loro sopravvivenza togliendo quindi il pathos alla storia narrata il cui lieto fine è già noto a priori, la tensione riesce ugualmente a restare alta grazie a scene che recuperano l’horror classico senza scadere in uno splatter superfluo o in arzigogolate mitologie create ad hoc. Tutti gli attori coinvolti riescono ad essere pienamente credibili sia che recitino le versioni finte dei protagonisti che le loro controparti reali.
Risaltano, in particolare, le performance di Lily Rabe, André Holland e Adina Porter che superano pienamente la difficile prova di comunicare le emozioni dei sopravvissuti restando immobili davanti alla camera del fittizio regista del documentario. Altrettanto convincenti sono Sarah Paulson, Cuba Gooding Jr e Angela Bassett nelle scene della ricostruzione filmata, mentre Kathy Bates eccelle nel personaggio della squilibrata posseduta a cui è ormai abituata. La scelta del documentario ha anche il pregio di costringere la trama a restare compatta presentando una sola storyline ed evitando quindi l’apertura di troppe sottotrame che finivano per essere inevitabilmente lasciate in sospeso diluendo l’attenzione dello spettatore e impedendogli di empatizzare con i personaggi perché spesso non approfonditi per nulla. E, per quanto possa sembrare una cattiveria da critico snob, inevitabile per chi scrive sottolineare quanto la prima parte si sia giovata anche del pochissimo spazio concesso a Lady Gaga che, da protagonista di Hotel, si ritrova a essere protagonista di un numero relativamente esiguo di scene (per quanto con un ruolo importante per lo svolgersi degli eventi).
E la Riscossa dei Pessimisti
Avevano ragione gli ottimisti, quindi? Purtroppo no. Perché i pessimisti sanno bene che Murphy è come quello studente capace ma svogliato che prende voti alti al primo compito in classe e alla prima interrogazione e poi smette di studiare convinto di poter vivere di rendita finchè viene nuovamente interrogato e deve arrabattarsi per strappare almeno la sufficienza a fine anno.
Il sesto episodio di Roanoke segna lo spartiacque tra il successo di questa stagione e il suo fallimento. Finito il mockumentary il cui successo viene celebrato con frecciatine a Empire e The Walking Dead, il produttore e regista decide di inventarsi un seguito riunendo nella stessa casa sia i protagonisti reali che gli attori che li hanno interpretati per iniziare un nuovo reality. Che già questa sia una idea a dir poco balzana (per non usare un termine più adatto ma troppo volgare) è già chiaro fin dall’inizio, ma sarebbe comunque perdonabile dal momento che l’intero genere horror si basa su comportamenti al limite dell’irragionevole.
Ma a far trionfare i pessimisti è quello che arriva dopo. Una girandola di luoghi comuni (l’attore giovane e bello che cerca il successo anche tramite il gossip, l’attrice che pensa solo ai fan anche quando sta per morire, l’attore emergente che vuole uno spinoff solo per sé, l’attrice alcoolizzata perché stressata dal ruolo interpretato), splatter a palate per coprire la mancanza di idee con scene che vorrebbero essere scioccanti ma hanno troppo di già visto (bifolchi cannibali, infermiere killer, fantasmi che camminano come ragni sulle pareti, vittime impalate e bruciate vive mentre agonizzano), dialoghi surreali o scontati (Lee vs Monet, Rory e Audrey, Shelby e Matt), fan service forzato per provare a distrarre lo spettatore da quello che sta vedendo (Taissa Farmiga che torna giusto in tempo per essere uccisa, Denis O’Hare che si fa una comparsata, Finn Wittrock che interpreta un personaggio sostanzialmente sprecato, Sarah Paulson che ripropone per l’ennesima volta Lana Winters in un finale inutile).
A rendere ancora più indigeribile il tutto la scelta di presentare gli eventi ancora una volta a posteriori attraverso i filmati girati dai protagonisti con i loro cellulari (che hanno una memoria e una batteria infinita e che i nostri non smettono di usare neanche mentre vengono fatti a pezzi da colpi di mannaia o da coltellate) o da videocamere nascoste (e passi che ci siano sul set ma non si capisce perché siano anche a casa di bifolchi che vivono nascosti nei boschi). Idea che risale ai tempi di Cannibal Holocaust (il finto snuff movie girato da Ruggero Deodato nel lontano 1980), mentre l’uso dei cellulari e delle videocamere portatili è chiaramente figlia di The Blair Witch Project. Il risultato però è una serie di inquadrature traballanti e che fanno girare la testa per il troppo abuso che se ne fa. Inutile, a questo punto, commentare il season finale che ricade nel tradizionale errore di essere un episodio in più che nulla aggiunge a quanto visto nel pre season – finale.
My Roanoke Nightmare diventa, quindi, la prova indesiderata che Murphy non sa ancora cosa fare della sua creatura. Che si sia reso conto o meno di aver toccato il fondo con le stagioni precedenti, non è ancora chiaro. Ma, se l’ha capito, di certo non dimostra di aver deciso cosa fare: risalire o cominciare a scavare.
VOTO: 2.5/5
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Vorrei vedere voi a viaggiare ogni giorno per almeno tre ore al giorno o a restare da soli causa impegni di lavoro ! Che altro puoi fare se non diventare un fan delle serie tv ? E chest' è !