
American Horror Story: Asylum – 2.01 Welcome to Briarcliff
Ogni volta ci cado sempre. Anche per la prima stagione mi ero promessa di non vedere questa serie perché, sono facilmente impressionabile, insomma senza girarci troppo intorno sono una fifona: non vedo mai film horror o niente che ci si avvicini a questo genere e se per caso capita, la visione è un vero parto e avviene sbirciando lo schermo dietro un paravento di fortuna: coperta, cuscino, giacca o come nel caso di American Horror story, le mie mani.
Voi vi chiederete, ma perchè lo guardi allora? Purtroppo, le cose che ci fanno paura o ci inquietano, ci attraggano, quindi esattamente come lo scorso anno, sono qui a recensire la premiere di questa seconda stagione che, se possibile è ben più inquietante della prima, almeno per quello che le premesse ci suggeriscono.
Dimentichiamo le fantasie sessuali contorte, feti deformati, uomini in lattice, American Horror Story: Asylum si svolge a Briarcliff Manor, un ex reparto di malati di tubercolosi che prima degli anni 60 ha salvato più di 46.000 persone, cioè prima che la Chiesa Cattolica lo trasformasse in un manicomio.
Apprendiamo queste informazioni da Teresa e Leo, una coppia che sta trascorrendo la luna di miele visitando i dodici posti più infestati d’America, durante la loro visita a Briarcliff Manor, avviene però qualcosa di agghiacciante: Leo perde un braccio, che gli viene letteralmente strappato da ‘qualcosa’ di non meglio identificato.
L’espediente narrativo non è molto originale e ricalca un po’ i B movie americani di genere Horror, ma serve come incipit per presentarci il ‘mistero’ della stagione: la creatura là di là della porta, la stessa che nel 1964 aggredì la giornalista Lana Winters e che veniva “nutrita” nel bosco da Sorella Eunice.
Ci ritroviamo quindi catapultati nel 1964, anno in cui è ambientata la seconda stagione, l’istituto è gestito da Timothy Howard con Suor Jude, Jessica Lange che come il solito lascia a bocca aperta per la sua interpretazione giù dopo pochi minuti dall’inizio e il Dr. Arthur Arden responsabile della ricerca scientifica e di cruenti esperimenti compiuti sui pazienti del manicomio.
I temi messi sul tavolo da Ryan Murphin sono tanti e interessanti.
Che cos’è la sanità mentale?
Per sorella Jude che rappresenta la visione cattolica degli anni 60, la malattia mentale non esiste, questa è solo “assenza di Dio”, non esistono le ninfomani e gli omosessuali sono degli “invertiti” a suoi dire. I matrimoni interetnici poi sono un vero abominio: Kit è sposato con Alma – per la cronaca si vedono insieme per massimo 4 minuti, ma io li shippo da pazzi – ma segretamente perché lei è afroamericana e l’unione non sarebbe ben vista, improvvisamente, però i due ragazzi sono rapiti dagli alieni.
Sì è un mezzo WTF alla Ryan Murphy, l’avvenimento ci porta un bel po’ fuori dalla storia e ci spiazza totalmente, ma non è importante (mi auguro!) serve per pretesto per mostrarci l’ingresso nel manicomio di Tate, Kit che viene internato perché accusato di essere Bloody Face: un serial Killer che squarta le donne. Kit si giustifica spiegando che lui e la moglie sono stati rapiti dagli ‘omini verdi’ e che lui ovviamente è innocente. Nessuno gli crede e le scene che lo riguardo, almeno per me, sono state le più disturbanti. L’aver visto come sono andati, i fatti ci hanno fatto empatizzare con Kit, grazie anche alla bravura Evan Peters che è un attore eccezionale, quindi le torture che subisce da tutti ma soprattutto dal Dr. Arthur Arden sono fastidiose perché totalmente ingiuste.
‘Piccoli Cesare Lombroso crescono’, Arden crede che la pazzia esista e che sia collocata nel lobo frontale, per questo, sottopone a strazianti interventi i suoi pazienti, durante quello riservato a Kit, rileva un chip al lato del collo, il chip si trasforma in un ragnetto e gli salta addosso… Sì, siamo sempre nel WTF, abbiamo fiducia che ciò non sarà decisivo ai fini della storyline generale. C’è da dire che nel 1964 s’inizia a parlare proprio di rapimenti alieni, molte persone in quegli anni riferivano di perdite di coscienza in cui dichiaravano di essere stati catturati da esseri non umani, ovviamente anche ora avvengono questi fatti e per lo più queste persone sono guardate con ‘sospetto’, visti come degli ‘svitati’.
Quello che risulta evidente subito in questa premiere è che l’intento è di concentrarsi su temi importanti e raccontare la situazione, per nulla facile, di chi per motivi diversi decideva nel 1960 di non conformarsi alla società.
Nel 1964 coloro giudicati dalla comunità ‘diversi’ venivano internati perché potessero pentirsi e redimersi e tornare sulla retta via. Quindi la sanità mentale è il conformarsi alla massa? L’intento è chiaro, c’è una volontà di sbatterci in faccia una condizione di sopruso, punizioni corporale, violenze e farci riflettere guardando a come oggi sono gestiti gli ospedali psichiatri. Solo un anno fa in Italia un’inchiesta aveva mostrato le condizioni disumane in cui vivono i ricoverati degli ospedali psichiatrici criminali negli anni 2000. L’obiettivo è anche quella di farci riflettere su quanto la società cerchi sempre di dettare delle regole di ‘normalità’, totalmente arbitrarie.
Il tema della follia su cui poggia questa stagione è en più cupo e serio di quello della prima e per questo motivo e per tutti quelli esposti prima, se pur ci incuriosisce maggiormente per lo sviluppo della trama ci fa anche preoccupare un po’. E’ noto a tutti quelli che conoscono le serie create da Ryan Murphy che lui ha dei problemi oggettivi a portare avanti in modo organico e coerente le sue idee, per questo le persone quando parlano di questo showrunner sono spesso divise tra amore e odio. Il discorso quindi è questo: da questa idea originale dalla quale è partito e dopo tutti questi spunti di riflessione che ha sollevato, riuscirà a non buttare tutto in malora?
Bisogna attendere sicuramente, intanto vale la pena vedere questa seconda stagione e avere fiducia almeno in Brad Falchuk che firma la serie con Murphy.