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American Crime Story: The People vs. O.J. Simpson, recensione della prima stagione

Ryan Murphy colpisce ancora e si conferma uno dei migliori produttori del mondo della televisione, grazie ad una prima stagione di American Crime Story assolutamente straordinaria. In molti dubitavano sul fatto che questa serie potesse avere una buona riuscita, considerata la fine che le altre “figlie” di Murphy hanno fatto negli ultimi anni ed in particolare la serie “sorella” American Horror Story, ma si tratta di una preoccupazione priva di fondamenta perché, come è ormai prassi per il produttore ed il suo team, le serie partono sempre alla grande. Non è detto, però, che continuino così.

American Crime Story è solo all’inizio ed è un inizio con i fiocchi. Questa prima stagione, intitolata “The People vs. O.J. Simpson”rs_1024x759-160226070713-1024.people-v-oj-simpson.ch.022616 racconta gli avvenimenti e soprattutto il processo al noto campione di football americano che 22 anni fu accusato di aver ucciso la sua ex moglie, Nicole Brown Simpson e il cameriere Ronald Lyle Goldman. Ma come appare chiaro sin di primi episodi quello che era iniziato come un processo per duplice omicidio si trasformerà in una questione di razza. Ed è proprio questo a rendere la scelta di Ryan Murphy, di partire proprio da questa storia, una scelta appropriata per il periodo storico che gli Stati Uniti stanno vivendo negli ultimi anni. Il processo ad O.J. Simpson non fu altro che una battaglia tra emotività e logica, con la prima che prevalse ampiamente nel verdetto della giuria. Così mentre da un lato l’accusa ha cercato, anche erroneamente, di trattare “The Juice” come un qualsiasi presunto assassino, mettendo da parte il colore della pelle e la fama, dall’altro lato la difesa, soprattutto nei panni di Johnny Cochran, ha cercato di incentrare il processo sulla questione razziale, cavalcando l’onda della storia recente di Los Angeles.

La vittoria di O.J. Simpson non è altro che frutto della sua possibilità di ingaggiare alcuni tra i migliori avvocati dell’epoca, Robert Shapiro, interpretato da un discutibile John Travolta, e Johnnie Cochran, interpretato, invece, magistralmente da Coutney B. Vance. I due hanno intuito che l’unica strada per vincere contro la logica schiacciante che avrebbe voluto il campione colpevole era quella di buttare la faccenda sul razzismo. Ed è stata proprio la scelta di ingaggiare Cochran a cambiare le sorti del processo: avvocato nero impegnato a difendere i neri. Così quando gli si presenta l’occasione di trasformare il suo cliente da presunto assassino a vittima di un diffuso atteggiamento razzista da parte delle forze dell’ordine americane e non solo, non esita nemmeno un attimo a trascinare in aula delle intercettazioni che, pure, non erano in alcun modo collegate al processo. Ma con questa scelta ha conquistato la vittoria. Vittoria di cui lo stesso O.J. Simpson ha beneficiato nonostante inizialmente avesse manifestato il suo dissenso nel ridurre tutto ad una questione di razza dicendo a Shapiro: 160308-news-ojpaulsonIo non sono nero! Sono O.J.”.

La stagione, così come il libro da cui attinge gran parte delle informazioni, “The Run of his Life- The People versus O.J. Simpson” di Jeffrey Toobin, sottolineano come il merito o meglio la responsabilità dell’esito del processo sia soprattutto riconducibile alla diffusa ingiustizia raziale e alla sistematica violenza della polizia americana contro uomini e donne di colore. Dopo tutto il caso O.J. Simpson arrivava tre anni dopo le manifestazioni che avevano animato la parte Sud di Los Angeles dopo il pestaggio del tassista Rodney King da parte della polizia. Il merito della difesa è stato proprio quello di approfittare della memoria ancora fresca della comunità nera cercando di creare un parallelo.

Quella raccontata in questa prima stagione di American Crime Story è una storia che gli americani conoscono bene, gli altri forse un po’ meno; è sicuramente una storia che rimanda ad avvenimenti attuali in qualche modo, ma è comunque una storia sulla quale gli autori hanno potuto fare poco. Il tutto, però, è stato confezionato in maniera egregia grazie al lavoro della produzione e della regia chef59aab816acaf39866061d996b69995e0c8e11cb sono comunque riusciti a dare una diversa chiave di lettura, e soprattutto grazie ad un cast stellare. Cuba Goodwin Jr. ha portato sullo schermo un O.J. Simpson diverso da quello che tutti conoscevano. Ha messo da parte il carisma che lo caratterizzava, concentrandosi sul suo stato confusionale sempre in bilico tra rabbia e paura, ci ha mostrato un O.J. Simpson più umano di quanto si riesca ad accettare considerati i numerosi casi di violenza in cui è coinvolto, ma la sua interpretazione è stata così brillante che sembra assurdo anche soltanto pensare ad una sua esclusione dalle nomination agli Emmy. American Crime Story è la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di Sarah Paulson, nel ruolo di Marcia Clark, ancora una volta straordinaria, soprattutto nell’interazione con la sua spalla nel processo Sterling K. Brown, che vestiva i panni di Christopher Darden. Sorprendente, invece, David Schwimmer che ha dimostrato di non essere solo il Ross di Friends che tutti ricordiamo, ma di essere anche capace di interpretare ruoli drammatici e non semplici come quello di Robert Kardashian, che è l’esempio lampante che nonostante la scarcerazione, dopo il processo le cose non sono più tornate come prima, perché anche le persone più vicine ad O.J. hanno percepito l’ingiustizia. Chiudiamo con la nota stonata della stagione: John Travolta, decisamente sopra le righe.

Buona la prima, quindi, per American Crime Story, promossa a pieni voti sotto tutti i punti di vista. Così come American Horror Story è una serie antologica, per cui possiamo dire addio ad O.J. Simpson e prepararci per l’uragano Katrina, che sarà l’argomento della seconda stagione.

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Bibiana

"Shakespeare once wrote that life is about a dream, and that's exactly how i live my life. From one dream to the next."

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2 Commenti

  1. Mi dispiace ma la realtà di Netflix con Making a Murderer vince su Murphy e la sua serie da tre soldi secondo me. Per carità è una serie avvincente ma non è minimamente comparabile al prodotto di Netflix ed ha avuto la pecca di venire trasmessa dopo…sinceramente potevamo farne a meno.

  2. Per adesso è la miglior serie di quest’anno. Finalmente Murphy ha tirato fuori un prodotto come si deve dopo tanto trash (Scream Queen e AHS). Il lavoro fatto sugli attori è qualcosa di unico. Scelta giusta fatta dagli sceneggiatori perché già tutti sapevamo come la serie sarebbe andata a finire. Bravi, bravi tutti, a partire da un’insuperabile Sarah Paulson.

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