
Alice nella città: Scout, la recensione a RomaFF10
Quando si abbassano le luci e si sentono in sala gli ultimi colpi di tosse un pensiero mi passa sempre per la testa. Speriamo che questo film mi lasci qualcosa. Bella o brutta che sia. Un sorriso, un pensiero negativo, una riflessione inaspettata.
Scout non è un brutto film, anzi. È un film ben girato, dai dialoghi ben dosati e dai colori puliti. Eppure non è riuscito a sorprendermi come pensavo. Perchè tra le tinte vivaci e i colpi di scena abbastanza scontati, non ha lasciato segni. Forse sarà che ho il doppio degli anni della protagonista o forse che Scout è un film fatto troppo bene.
Scout ha 15 anni, si tinge i capelli di rosa e indossa leggins strappati. Vive insieme alla bisnonna Gram, un’anziana donna malandata sul cui comodino campeggiano innumerevoli boccette di pillole e un posacenere pieno zeppo di cicche, e a Lulu, la sorellina di cinque anni a cui piace prendere il tè insieme ai suoi amici peluche. Vivono in una casa piuttosto fatiscente e malmessa e non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. La madre delle bimbe non c’è più e il padre è uno sciroccato che ha preferito abbandonare le figlie e lavorare in un luna park itinerante. Ma Lulu e Scout non sembrano infelici, almeno all’apparenza. Vivono alla giornata, riuscendo anche a sorriderne.
Quando la piccola Lulu ingerisce per gioco le medicine della bisnonna e finisce dritta in ospedale, i servizi sociali decidono che Gram non è più in grado di occuparsi di loro. Le sorelle per la prima volta nella vita vengono divise: la minore va a vivere con il padre e la nuova compagna molto incinta mentre per la più grande il destino è quello di finire in affidamento. Ma Scout non ha 15 anni, è molto più vecchia (persino della bisnonna, come lei stessa commenta) e non può lasciare che quell’uomo sconsiderato che per una vita ha fatto finta che loro non fossero sue figlie si prenda cura di Lulu solo per avere gli assegni mensili.
La ragazzina decide di partire alla ricerca della sorellina e lo fa insieme al suo nuovo amico Sam, un giovane newyorchese ricoverato di recente nell’ospedale psichiatrico nelle vicinanze. Scout lo aiuta a scappare e insieme intraprendono un viaggio che li unirà in una complicità sempre più crescente.
Non percepiamo quanto effettivamente sia stato difficile per Scout crescere senza un padre e una madre, doversi prendere cura della sorella e della bisnonna, farsi carico di un peso che i suoi quindici anni non dovrebbe nemmeno contemplare. Ne sentiamo parlare per un po’, la vediamo sbandare in una sola occasione. Ma persino la sua sofferenza sembra troppo perfetta.
Se l’intento era quello di dipingere di ottimismo temi così delicati come l’abbandono e il disagio sociale, questa leggerezza e freschezza finisce per rendere tutto un po’ finto. Scout rimane un bel film, un esperimento ben riuscito che una madre (Laurie Weltz) e una figlia (India Ennega, nella pellicola Scout) hanno realizzato insieme. Un film adatto ad una fascia di pubblico vicina a quella della protagonista. Che potrà far capire loro che infondo nulla nella vita è insuperabile, che se si vuole, se si combatte e ci si impegna gli ostacoli non esistono. Esistono solo giorni di pioggia e giorni di sole.