
Agents of SHIELD: Recensione episodio 2×04 – Face My Enemy
Face My Enemy si apre con una buona dose di autoironia e ironia sul genere “spy” (i raggi a infrarossi, May che ride e flirta) e con una certa quantità di già visto. Si pensi al ballo per ispezionare la sala, al concetto del doppio, alla dura obbligata a fare la civettuola. Entrambe spariscono mano a mano che la puntata avanza, sia gli aspetti positivi, sia gli aspetti negativi.
Anzi, gli aspetti negativi (il già visto) permangono per maggior minutaggio, ma in realtà sono semplicemente una pausa fra una scazzottata e un’altra. Anche se, a dire il vero, la cosa più interessante dell’episodio è racchiusa nelle pause delle pause, ovvero la menata di Coulson che ha paura di diventare come Garrett e, come sempre, il miniplot di Fitz.
I bei vecchi tempi

Per il personaggio di Clark Gregg ogni momento è buono per dare il tormento a May. Lui vuole che lei lo uccida, lei vorrebbe spedirlo in una capanna e prendersi cura di lui. Il tutto in onore dei vecchi tempi. Invocare i bei vecchi tempi ormai è un cliffhanger di successo ampiamente abusato da Agents of SHIELD, ma alla fine questi bei vecchi tempi, a parte parlare dei giovani Coulson e May in azione di che altro parleranno mai ? Boh, forse un giorno lo sapremo.
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Così come forse un giorno sapremo se anche qualche altro personaggio sarà degno dell’attenzione di cui gode Fitz nei piccoli dettagli all’interno delle puntate. Le capacità affabulatorie con le donne di Hunter, usate durante l’inizio della missione recupero quadro antico, diventano la scusa per parlare delle relazioni passate con l’altro sesso. Un momento utile per cementare i rapporti fra i nuovi arrivati e la vecchia squadra del Coulson-team. Momento da cui, tuttavia, rimane fuori Fitz, sempre perso nel proprio infortunio-delirio.
La mancanza di Ward che si fa sentire
Il sabotaggio ai danni del “pulmino” diventa allora il mezzo attraverso il quale anche il piccolo grande genio perduto è costretto a relazionarsi con la parte maschile della squadra. Insomma quella che nelle logiche di gruppo ha sostituito Ward, andando a superare due “traumi” in un colpo solo. E mettendo da parte il cilindro che ha in mano, quasi a mettere da parte il laboratorio tutto e i suoi problemi personali, per un attimo. Il tradimento di Ward, l’unico amico di Leo all’interno della sua vita da agente speciale, e l’allontanamento di Simmons.
Prima accetta di bere una birra in compagnia, poi rivela di non avere aneddoti di ex ragazze, anche perché non esistono. E l’unica ragazza amata l’ha piantato in asso dopo averle rivelato i sentimenti, o così pensa lui. Una costruzione in tre scene di una realtà che complicherà e animerà il ritorno di Simmons nel gruppo come raramente Agents of SHIELD è stata in grado di mostrarci. Una costruzione che fa il paio con appunto la prima rivelazione dei sentimenti di Fitz nei confronti della compagna di laboratorio sul finire della stagione scorsa.
Alla base di tutto c’è un po’ una questione di fiducia. Fitz rappresenta la ferita più difficile da arginare, tradito dall’amico e dall’amore. Coulson è colui che chiede la fiducia degli altri, va in cerca della fiducia. In qualche modo la richiede a Talbot, col quale vorrebbe unirsi per dar battaglia all’HYDRA. E a May, l’unica nel team a cui rappresentare le sue precise volontà. Skye è colei che a proprie spese ha imparato cosa vuol dire dare fiducia troppo velocemente alle persone. Adesso non è certo disposta ad aprire a terzi. May, per ora, è sempre stata rappresentata come colei sulla quale si può fare affidamento.
Una situazione complessa, fuori e dentro il team


Hunter, da ex mercenario, vacilla un po’ di qua e un po’ di là: gli si può dare fiducia? E quando alla prima domanda si risponde affermativamente, ne nasce una seconda: si può aver fiducia di lui al di fuori del suo campo d’azione? Gli altri due membri del team per ora non sono pervenuti, mentre Simmons rappresenta colei sulla quale la fiducia è ridotta all’osso, poiché l’ultima persona al mondo a cui s’addice il ruolo di infiltrato.
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In un certo senso sui due topi di laboratorio pende la medesima spada di Damocle: nelle rispettive condizioni in cui si trovano, infiltrato e danneggiato cerebrale, sono in grado di dare un apporto alla causa dello SHIELD o sono totalmente inutili? Ward infine è colui che la fiducia l’ha tradita, Talbot invece colui che attende numerosi attestati prima di riversarla. Un po’ quello che succede fra lo SHIELD stesso e il Governo. Un governo e un team che ancora si stanno “annusando” per conoscere da quale parte lotta l’altro gruppo.
Un ritmo che fatica ad ingranare
Il problema di questa seconda stagione di Agents of SHIELD è che dopo l’introduzione del nuovo quadro generale, poco o niente è cambiato dopo quattro puntate. Face My Enemy è un perfetto esempio di quello che intendo dire. In 50 minuti di puntata, più o meno, per quanto riguarda il plot narrativo della serie non succede niente.
Niente di quello che avviene sullo schermo fa procedere in avanti la storia, fino al colpo di scena finale. Arriva la scoperta di un secondo individuo capace di disegnare gli “scarabocchi” di Coulson. Un altro cliffhanger piazzato a fine puntata giusto per rilanciare l’attenzione per i prossimi episodi. Non di meno, un cliffhanger che se spostato ad inizio di Face My Enemy o addirittura in un’altra puntata precedente, non mette a rischio l’evolversi della storia così come l’abbiamo conosciuta (un po’ come in puntata due “il padre di Skye” e Raina e l’obelisco). Brutto segnale questo di uno schema monolitico molto anni ’90, che porta purtroppo a pensare negativamente. La verità è che si corre il rischio che anche in questa seconda stagione le idee che effettivamente fanno svoltare la serie si contano sulle punta delle dita di una mano sola.
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Un po’ come successo per la prima stagione, dove tutti i nodi focali della narrazione e le idee più interessanti anche solo per uno sviluppo verticale sono stati raggruppati nelle ultime puntate. Dando ad Agents of SHIELD decisamente un altro ritmo. In fondo, con una prima parte di stagione, e forse più, praticamente da buttare via tranquillamente senza mettere per questo a repentaglio lo sviluppo della storia stessa.
Simmons… dove sei finita?!


Purtroppo la direzione imboccata da questa seconda stagione sta per ora ricalcando queste orme, basti pensare che, appunto, dopo quattro puntate, Skye è stata praticamente inutile, Simmons, uno dei personaggi meglio costruiti della prima serie, non è praticamente mai apparsa, Ward è relegato ad Hannibal Lecter della situazione con un minutaggio ancora più ridotto del personaggio di Elizabeth Henstridge (apparizioni a parte) e i tre bell’imbusti chiamati a sostituirlo sono assolutamente nulli, privi di una caratterizzazione, di una storia e persino di una scena tutta loro, al punto tale che si fa fatica a descriverli come personaggi al di là di un semplice “uomo, muscoloso, agente segreto, esperto in azione”. Di 3 ancora non si è fatto mezzo personaggio.
Dall’altra parte, invece, si rischia, autori e spettatori, di fare confusione col nemico. Il non allineamento della Donna di Fiori con l’HYDRA è stato ribadito in coda a questo episodio. Ma rispetto alle inutile ripetizioni di questo inizio di seconda stagione, poteva godere di un trattamento più attento e meticoloso. Anche perché in una serie fumettistica e iconica che si rispetti molta parte del successo deriva da una decente caratterizzazione del cattivo. In questo senso, il Daniel Whitehall a capo dell’HYDRA rappresenta un villain molto, ma molto sfocato. Soprattutto per chi non ha visto il doppio Capitan America.
Intendiamoci, mancanza di originalità a parte, Face My Enemy non è un cattivo episodio, ma Agents of SHIELD ha già dimostrato l’anno scorso di sapere buttare giù 50 minuti di puro action. Al quinto capitolo della seconda stagione, tuttavia, ci auguriamo di trovare qualcosa di diverso.
Guarda qui il promo del prossimo episodio: 2×05 – A Hen in the Wolf House
2.04 – Face My Enemy
Fitz, Fitz e ancora Fitz il più interessante