
Agents of SHIELD: Recensione episodio 1×13 – T.R.A.C.K.S.
Ok. Possiamo dirlo. Siamo all’assurdo o al delirio. O forse più semplicemente alla frutta.
La programmazione di Agents of SHIELD rispecchia la qualità del prodotto. L’ABC ormai sta usando la serie tv come tappa buchi: non sapendo bene come e quando programmare le puntate. Da dicembre SHIELD sta andando in onda una puntata al mese e anche il prossimo episodio, l’unico in stagione che abbia un aggancio valido e un cliffhanger da fidelizzare il pubblico (nonostante una puntata al limite della demenza)? Verrà trasmesso a marzo.
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Eppure centellinare in questo modo le trasmissioni sembra restituire qualche risultato. Dopo l’emorragia iniziale, gli spettatori stanno tornando quasi bramosi di iniettarsi la propria dose mensile di SHIELD, di cui poi si può fare tranquillamente a meno per quattro, cinque settimane, in attesa della riscrittura degli episodi. Il Whedon scarso e il suo team ce la stanno mettendo tutta per cercare di uscire da quel piattume iniziale che aveva caratterizzato la prima parte di stagione. Principalmente altalenando soluzioni di livello (il ferimento di Skye appunto) a uscite decisamente meno gloriose (quasi tutto il tredicesimo episodio).
L’originalità di T.R.A.C.K.S. è il suo primo punto debole, anzi debolissimo: raccontare la storia da diversi punti di vista. Da una parte spezza la monotonia del racconto, ma dall’altra, oltre ad essere un escamotage fine a se stesso che non porta da nessuna parte, appesantisce notevolmente la narrazione. Ci regala restituendoci in meno di trenta minuti la stessa storia attraverso quattro sguardi differenti. Ma soprattutto attraverso una serie di scene di involontaria (ahimè) comicità.
Un episodio originale e un cameo d’eccezione

Si parte con la discussione iniziale fra Coulson e l’agente Russo, senza senso poiché non si capisce su quale appiglio faccia leva Coulson (addirittura vantandosene) per convincere Russo ad accettare l’intromissione dello SHIELD nell’indagine delle forze italiane. Proseguiamo col cameo di Stan Lee che si intromette, così, gratuitamente (per non essere volgari), accompagnato da due gnocche a caso. Si fa largo in una discussione fra padre e figlia in realtà senza alcun senso per tutti gli altri passeggeri del treno, costretti ad ascoltarla (ma a noi piace il pretesto, non la sostanza).
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Con un accento inglese così poco spiccato, il travestimento migliore escogitato da Ward, altro non poteva essere se non quello di controllore italiano del treno (per la serie, suscitiamo pochi sospetti) e, non domo, alla prima bonazza che gli si para davanti, va in brodo di giuggiole manco fosse un novellino all’accademia, un super esperto di operazioni militari incapace di picchiare in faccia una donna (decisamente meglio una bella mazzata alla bocca dello stomaco! Bum!).
May alla prima difficoltà saluta tutti e se ne va (d’altronde, bisogna lasciare spazio anche agli altri)! Si paracaduta (?) giù dal treno e più tardi, in piena missione di soccorso, a bordo di un jet supersonico che impiega 10 minuti a percorrere centinaia di chilometri, il suo unico desiderio e bisogno rimane quello di una doccia rinfrescante. Insomma rispettare la coerenza dei personaggi a questo giro si è preferito evitarlo!
Una gara tra chi sta peggio

Ciliegina sulla torta, qualche dialogo assurdo qua e là, come lo scambio di battute fra Coulson e Russo: “La mia squadra è dispersa!” “I miei uomini sono morti!”. Probabilmente parodia di due poliziotti che fanno a gara di testosterone, e ancora Russo che si ritrova in mezzo ad un filare a domandare a May dove siano finiti Coulson e Ward. Entrambi ce li aveva a qualche centinaio di metri all’esterno della piantagione!
Non poteva certamente mancare un po’ di campanilismo in questa bocciatura senza mezze misura di T.R.A.C.K.S. : il treno scelto sembra essere uscito dagli anni ’60, da un film di Sordi, ma nonostante la sua antichità fa pensare il come si riveli essere molto più comodo e pratico rispetto ai gioiellini delle Ferrovie dello Stato di oggigiorno; ma l’orticaria maggiore è stata raggiunta alle cime di Lavaredo, rappresentate come tre colli Euganei che si stagliano nel cuore della pianura Padana. Eppure dicono siano meravigliose.
Le soluzioni di alto livello, purtroppo, invece, si contano sulle dita di una mano di un uomo che è rimasto mutilato in un incidente di lavoro. Il ferimento di Skye finalmente dona un po’ di sostanza alla narrazione (come, anche se in maniera notevolmente minore, le paure della ragazza di essere qualcosa di pericoloso), con climax e reazioni dei personaggi gestite decisamente meglio rispetto al rapimento di Coulson, di cui di certo è un doppione (si fonda sulla struttura “personaggio in pericolo, reazione dei compagni”), ma a due mesi di distanza chi ci fa caso se sono appena trascorsi tre soli episodi?
Un episodio salvato in extremis

La disputa di Ward e Coulson col tavolo olografico si rivela un valido siparietto comico al confronto con la marea di involontario umorismo di cui è impregnato l’episodio, una valanga di disastri che riesce perfino a trasformare il clichè della reprimenda del caposquadra per la relazione sessuale fra i suoi due subalterni quasi in una battuta da citare ai posteri.
A salvare capra e cavoli arriva tuttavia l’universo Marvel a cui è possibile attingere a piene mani contando su un risultato sicuro. La genesi di Deathlok, antieroe di schizofreniana personalità, in continuo contrasto fra il proprio lato umano e il proprio lato robotico, consente fiumi di lacrime, birra e pop-corn nonostante il risultato finale del tredicesimo episodio sia abbastanza sconcertante. Non ci resta altro da dire se non che almeno abbiamo visto qualcosa di diverso, dove purtroppo il pretesto ha dominato sulla struttura e sui contenuti, ma il tempo di riscrittura evidentemente era scarso e si è stati costretti a buttar giù pagine in fretta e furia. A voler essere clementi.
Guarda qui il promo dell’episodio 1×14: TAHITI
1.13 – T.R.A.C.K.S.
involontaria comicità
Le tre Cime di Lavaredo. Non sono una meraviglia ?
Comunque la pochezza della cura delle ambientazioni in SHIELD è una cosa sempre presente e ne parlavo anche a inizio serie. Noi qui lo si è notato di più perché siamo Italiani, ma sono sempre stati così: episodio in Sud America dove ci sono giungle, rovine di cose a cazzo, guerriglieri con bandana; episodio nei Paesi dell’Est con villaggetti stile Conte Dracula e/o casermoni comunisti….. insomma, propinano la visione del mondo che ha l’americano medio di campagna che l’Europa ne ha sentito parlare ma non sa bene cosa o dove sia.
Tutta questa pochezza (gli accenti, l’incompetenza geografica, il non documentarsi sull’argomento di cui parli) per me è comunque abbastanza grave, anche se sei in una serie fumettosa, non ci vorrebbe molto, un minimo di impegno, ma evidentemente c’è sciatteria, che poi ritrovi in snodi di trama fatti random come dici tu nella recensione.
La parte della storia narrata da diversi POV non la trovo nemmeno così innovativa, se n’è vista parecchia nella storia del cinema.
Certo, poi ci mettono un bel finale, un omaggio al nerd side, ma troppo poco, secondo me, su 40 minuti
Mi correggo, la molteplicità di POV è innovativa per la serie, che è sempre stata molto monolitica sulla struttura, solo che appunto è stata gestita come se qualcuno fosse saltato su nella riunione di scrittura con “Ganzo! Facciamo punti di vista differenti” e poi è morta lì.
Per l’ambientazione è vero quello che dici. Infatti fa molto anni ’80-’90. In Sud America mi sembrava di vedere l’A-Team. Però negli anni ’80-’90 ci poteva anche stare. Oggi, per un prodotto mainstream, almeno ispirarsi a due foto su internet non avrebbe portato via molto tempo
Ah, ok, allora si, hai perfettamente ragione sul discorso POV. ahah… si, l’A-Team in Sud America, sono proprio uguali….. 😀
L’episodio migliore della serie.
Ma, appunto, lo è per gli standard del telefilm.
Un miglioramento c’è stato ma, sinceramente, comincio a pensare che Joss Whedon sia molto sopravvalutato (lo so, non è che li stia scrivendo lui, gli episodi, ma è un dubbio che mi assale).
Spero che smettano di spendere soldi per girare a Stoccolma o per fare un CG decente per l’aereo-bus ed inizino ad investire sui personaggi e sulla sceneggiatura. L’episodio è un notevole passo avanti per una serie del genere, finora soporifera e lenta, ma con un enorme potenziale dato dall’Universo Marvel nel quale si ambienta.
Quello che posso dire è, citando Coulson, “Tutti meritano una seconda chance. Ma non ce ne sarà una terza!”
Stefano, qua hanno già sprecato l’ottava o la nona di chance
Vada per la decima chance, allora.
Magari finalmente escono dal peggio degli anni ’90 e capiscono che si tratta di un telefilm del 2014.
Joss Whedon è un DIO. Purtroppo, appunto, non è lui alla penna. Né dietro la macchina da presa. Il che purtroppo comincia a risultare anche fin troppo evidente. Penso sia sbagliato, con un brand come questo per le mani, utilizzare il classico metodo di produzione americano, ovvero mille registi e un carnet di autori. Lo so che il sindacato degli autori americano lo pretende quando si lavora con i network. Ma ci vorrebbe un controllo più stringente. Si sente la mancanza della mano del nostro leader Joss Whedon.